martedì 16 ottobre 2012

Collasso!


Recentemente ho letto un articolo di Ugo Bardi, di ASPO Italia (l’associazione che studia il picco del petrolio). L’articolo, lungi dall'essere catastrofista, analizzava lucidamente il collasso di una civiltà a noi molto vicina, l’Impero romano, secondo la teoria dei sistemi. E lo faceva a titolo di esempio, visto che la stessa analisi potrebbe farsi per qualsiasi altra civiltà, ma non a caso.

Tuttora ci sentiamo i discendenti diretti dell’Impero romano, li guardiamo con ammirazione e a volte perfino con nostalgia. Li vediamo come una società pura e retta, libera da fronzoli e in cui valori erano profondi e la disciplina ferrea. Pensiamo che fu questo a permettergli, a dargli il quasi sacro diritto, di esportare la cultura in tutto il mondo allora conosciuto. Già, esportare la cultura. Iniziate a capire dove voglio andare a parare?

L’Impero romano sono le nostre radici, la culla della civiltà moderna si direbbe. Erano grandi ingegneri, hanno unito l’Europa con le loro strade, i loro acquedotti le hanno dato da bere e i loro anfiteatri ne hanno portato i fasti fino ai giorni nostri. Il diritto per come lo conosciamo l’hanno inventato loro. Si tende a dimenticare però una piccola cosa: anche quella volta, i romani, non erano gli unici in Europa, né probabilmente i più civilizzati. Erano civilizzati in quel modo, punto. Il problema è che la storia la scrivono sempre i vincitori. E pertanto tutti gli altri erano non più che barbari in attesa di essere civilizzati dai nostri amici a suon di gladio.

A guardar bene l’epopea romana, come fa il signor Bardi, si notano tante analogie con qualcosa che continua a succedere al giorno d’oggi, proprio sotto il nostro naso. I romani erano costretti ad espandersi per poter sostenere la loro struttura imperiale, la macchina burocratica, i lussi dei palazzi e le potentissime legioni. Avevano bisogno di oro da dare in pasto ai legionari, in modo che questi continuassero a combattere per loro, per difendere le frontiere. E che le terre conquistate producessero per Roma, tenendosi per loro non più che gli avanzi. Ma quest’oro come se lo procuravano? Conquistando nuove terre e saccheggiandole. Espandendosi. L’Impero romano, per sopravvivere, doveva crescere. La crescita prima di tutto dunque, interessante no?

E crescere significava semplicemente appropriarsi con la forza delle risorse di altri popoli, per poter mandare avanti un carrozzone che da solo non si sarebbe mosso di un dito. Era un Impero drogato, dipendente dall'oro e dalle conquiste di nuove terre, dalla sottomissione di nuovi popoli. Ricorda molto da vicino un nostro tipo di dipendenza, quella da petrolio.  Anche oggi ci espandiamo, con guerre manifeste o mascherate, per soddisfare questa nostra assuefazione e mantenere in moto l’economia petrolizzata. Una macchina che senza oro nero non girerebbe più: campi senza frutto e ridotti a deserti, strade vuote, supermercati vuoti, luci e acqua razionate... il collasso della nostra civiltà così come la conosciamo.

Ma prima di parlare di collasso, occorre definire di che cosa si tratta. Nell'articolo si riprende una definizione illuminante data da un antropologo studioso di collassi di civiltà, il dr. Joseph Tainter. Il dr. Tainter definisce il collasso come “la perdita di complessità di un sistema”. Bellissima definizione, chiarissima. Quando una società collassa, vuol dire che è costretta a diventare più semplice. Vista così, non è poi tutto sto ché no? Le società reagiscono agli stimoli esterni, alle crisi, e lo fanno normalmente aumentando la loro complessità, dotandosi di leggi e strutture più dettagliate e comprensive. Lo fanno per mantenersi in equilibrio sopra il baratro. Arriva però un momento in cui questo aumento di complessità non produce più nessun ulteriore beneficio per la società. Anzi, quando lo sforzo per mantenere in piedi la baracca così com’è (senza nemmeno più espandersi) non viene ripagato da un guadagno... allora è quando una società collassa. Semplice ed efficace. Si torna indietro, un bel po’ magari, fino al punto in cui il sistema è in grado di auto-mantenersi e perfino di creare un surplus, per cui conviene ancora alzarsi la mattina e faticare. Altrimenti che lo facciamo a fare?

Bene, per l’Impero romano questo momento giunse quando non poterono più espandersi, o non gli conveniva più. A nord i Germani erano tipi troppo tosti e troppo poveri da combattere per quel poco che potevano offrire. A ovest c’era l’Oceano. A est i Persiani avevano un esercito sconfinato. A sud c’era il deserto. Risultato? Niente più oro e ricchezze facili, la macchina si ferma e ci si rende conto che senza poterla più alimentare per andare avanti, non vale nemmeno più la pena mantenerla in piedi. Collasso. Si semplifica signori.
La cosa affascinante è che la riduzione di complessità a guardarla bene fu molto simile a quella che ci potremmo aspettare oggi, dovesse succedere una cosa del genere: decentralizzazione del potere, i militari che tornano da frontiere lontane per difendere i nuclei abitati, il ri-sincronizzare produzione e consumo di risorse. In altre parole, il medioevo. Con i suoi feudi e le sue città fortificate, con la sua economia cittadina autosufficiente, senza la burocrazia imperiale.

Non che debba succedere anche a noi, ma almeno analizziamo la cosa fuori dai denti: i romani dipendevano dall'oro, noi dal petrolio. Nessuno dei due possiede abbastanza di quel di cui più ha bisogno. Entrambi siamo quindi destinati a crescere ed espanderci per poter sopravvivere. Entrambi ci siamo inventati una bella scusa per sottomettere i poveri barbari: loro esportavano la cultura, noi la democrazia. Entrambi per mantenere il controllo tendiamo ad accentrare il potere aumentando la burocrazia e l’inerzia del sistema. Non basta per farsi delle domande?
Per di più: si potrebbe pensare che cause simili per problemi simili lascino intravvedere soluzioni altrettanto simili. Già oggi in molti, compreso il sottoscritto, sostengono la necessità per la nostra società di tornare alla localizzazione, al decentramento del potere e della gestione diretta della propria sovranità, al consumo legato alla produzione, entrambi locali. All'affievolire quantomeno la dipendenza dalla droga che mantiene in vita la nostra società, prima che finisca per davvero.

Per i romani la soluzione, forse loro malgrado, fu il medioevo. Per noi invece? Il fatto poi che il medioevo sia generalmente considerato come un periodo buio della storia occidentale, a torto o a ragione, non dovrebbe trarci in inganno, ma farci fare un passettino ancora in più. La storia e la fisica seguono semplicemente il loro corso. Forse i sistemi sono inesorabilmente destinati a collassare, arrivati a un certo punto. Forse è inevitabile, è il modo che il mondo ha per mantenersi in equilibrio. Fatto sta che a vederlo in anticipo, al contrario di quanto fecero i romani, magari si potrebbe reagire in qualche modo che renda la transizione verso quella società più semplice un po’ meno traumatica. Si potrebbero evitare cose tipo il sacco di Roma, strade divelte, case in fiamme, razzie, stupri eccetera. Si potrebbe perfino sperare che quella perdita di complessità che ci aspetta si possa ridurre. Magari loro avrebbero potuto salvare qualche antica sapienza, qualche opera d’arte, qualche libro in più.

Non lo sappiamo. Però sappiamo tante altre cose, e varrebbe la pena di pensarci, di farsi domande del tipo: a che punto siamo? A che punto è la nostra società sull'autostrada che l porterà inevitabilmente al collasso? Possiamo almeno frenare prima di schiantarci contro quel muro?
Io, e come me tanti, tantissimi altri, credo di sì. Ma credo anche che per riuscirci c’è bisogno di aprire gli occhi e vederlo, quel muro. E di tenerli sempre bene aperti, mentre iniziamo a pigiare sul quel freno, che è ora.



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Per chi volesse approfondire (tutto il materiale è in inglese):

  • L’articolo di U. Bardi (versione corta, versione estesa)
  • Un altro interessante articolo sul tema: “How civilization falls, a theory of catabolic collapse - J. M. Greer, 2005”
  • Video di una conferenza di J. Tainter “Why societies collapse  (and what it means to us)”, International Conference on Sustainability: Energy, Economy, and Environment, 2010.




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