martedì 23 settembre 2014

In marcia per il nostro futuro

Pubblico di seguito il mio intervento integrale in occasione della Marcia per il Clima a Rimini, Giovedì 18 Settembre 2014. Quel giorno abbiamo inaugurato una serie di manifestazioni a livello globale sfociate domenica 21 Settembre in più di 2'600 eventi organizzati in 156 paesi diversi, per un totale di oltre 165'000 persone scese in piazza a dimostrare la loro determinazione a vivere in un Mondo pulito e rinnovabile al 100%.

La testimonianza di quella giornata è un gruppo di persone come te che si sta organizzando a Rimini per continuare la mobilitazione, la sensibilizzazione e la promozione di attività che aiutino a migliorare le nostre prospettive future. Aspettiamo anche il tuo contributo, qualsiasi esso sia sarà il benvenuto. Per info ci trovi su:

Facebook: Marcia Globale per il Clima a Rimini
Twitter: @climarimini

Chi non avesse voglia di leggere tutto si porti a casa almeno questo messaggio:

"Capite quello che sta succedendo attorno a voi, e poi guardatevi dentro e capite quanto sia importante agire. E allora iniziate, ognuno per sé, a fare la vostra parte. Fate la cosa giusta, la gente seguirà il vostro esempio e la storia vi darà ragione. E allora davvero saremo in tanti. E non potranno non ascoltarci. Ma faccio qui una scommessa: in quel momento, nel momento in cui saremo davvero in tanti a fare quello che serve, non ci importerà più essere o meno ascoltati. Perché avremo già risolto il nostro problema."


Marcia Globale per il Clima a Rimini, ci trovi su Facebook e su twitter come @climarimini

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In marcia per il nostro futuro

“Oggi è quando inizia la nostra storia, la storia di un momento unico nel cammino dell’uomo. Non l’abbiamo scelto, ci è capitato. Ogni generazione ha avuto le sue gatte da pelare, a noi ne è toccata una bella grossa. È la lotta del nostro tempo. Siamo i primi a sentire gli effetti dello sconvolgimento climatico, e allo stesso tempo gli ultimi a poter fare qualcosa per fermarlo. Siamo chiamati ad affrontare un problema che in futuro determinerà dove vivremo, come vivremo, e se vivremo.”

Parlare da qui oggi per me è molto importante, perché posso fare la mia parte. In quanto cittadino di questo pianeta, esattamente come voi, ho il potere e il dovere di fare la mia parte, esattamente come voi.

Per parlare dei cambiamenti climatici dobbiamo capire razionalmente cosa sta succedendo prima di tutto, dobbiamo parlare di scienza. Ma capire non basta, bisogna fare qualcosa, e per fare servono le motivazioni, la voglia, la passione. Per questo oggi proverò sí a parlare ai vostri cervelli, ma per una volta anche ai vostri cuori.

Conoscete l’IPCC? È l’agenzia intergovernativa sul cambio climatico, il più autorevole organismo internazionale sul tema. È composto da scienziati di tutto il mondo che in maniera volontaria raccolgono ed esaminano dati scientifici (pubblicati in tutto il mondo) per capire essenzialmente tre cose. La prima: esiste il cambio climatico, e se si, è dovuto alle azioni dell’uomo? La seconda, quali sono gli impatti, le conseguenze, e come possiamo fare noi per adattarci ad esse. E la terza: possiamo addirittura mitigarle, cioè ridurle, visto che ormai tornare indietro del tutto non si può?
Piú o meno ogni 5 anni dal 1990 l’IPCC rilascia un rapporto che è un po’ la bibbia del cambio climatico, visto che descrive la nostra attuale conoscenza di una materia incredibilmente complessa. Conoscenza che poi deve servire a stabilire una base comune a livello globale affinché la politica possa prendere decisioni informate ed efficaci, su una questione che riguarda tutti.
Bene nell’ultimo rapporto, rilasciato proprio quest’anno, l’IPCC ci dice che un paio di cose fondamentali sono diventate finalmente chiare. Si, il cambio climatico è una realtà, esiste, non se lo sono inventato gli hippies. E si, non per volerci autoflagellare, ma abbiamo anche capito che è palesemente dovuto alle nostre azioni.
Nel 2007 l’IPCC ha vinto il premio Nobel per la pace, assieme ad Al Gore, autore del film “An inconvenient truth”, tradotto in italiano come una scomoda verità. Questo perché studiando un problema così grande da riguardare il mondo intero, si prevengono letteralmente le future guerre per le risorse. Ma anche perché a soffrire maggiormente degli impatti del cambio climatico saranno, manco a dirlo, i più poveri e vulnerabili. E quindi cercare modi per risolverlo è un modo per aumentare la giustizia e l’eguaglianza a livello mondiale.


I FATTI

Ma di cosa stiamo parlando? Spesso si fa confusione tra cambiamento climatico, riscaldamento globale, effetto serra... queste cose non sono la stessa cosa, ma una la causa dell’altra: il cambio climatico è provocato dal SURriscaldamento gobale, che a sua volta è provocato dall’effetto serra.  In realtà funziona un po’ come una coperta: immaginatevi l’intero pianeta avvolto in una coperta di lana, va a finire che si scalda. Quella coperta è fatta di CO2 e di altri gas detti climalteranti, che assorbono il calore che la Terra emette dopo esser stata riscaldata dal Sole e lo rimbalzano di nuovo verso il basso contribuendo a scaldarla. Oltre alla CO2 i più importanti sono il vapore acqueo, il metano e il protossido di azoto. Questo effetto coperta non è un male in sé, giacché senza di esso non si potrebbe abitare questo pianeta perché sarebbe troppo freddo. Il problema è quando la coperta di lana si ispessisce sempre di più: va a finire che si scalda troppo, surriscaldamento globale. È provato, l’abbiamo misurato, abbiamo capito fuori da ogni dubbio che tutto questo è dovuto principalmente alle nostre attività.


Le cause

C’è stato un momento nella storia dell’uomo, a partire da metà 800’, in cui abbiamo scoperto di avere sotto i piedi una fonte di energia incredibile, concentratissima e ampiamente disponibile: i combustibili fossili, carbone, gas naturale e petrolio. Erano talmente abbondanti e densi di energia da farci ubriacare, energia praticamente gratis. E siccome senza energia non si fa nulla, ma con l’energia si può fare tutto, ecco la rivoluzione industriale, lo sviluppo tecnologico e l’emergere della società moderna. Qualsiasi cosa che facciamo o che usiamo oggi dipende in tutto e per tutto da consumi spropositati di energia fossile: per arrivare fin qui, per scaldare e illuminare le nostre case, per scaldare l’acqua e ormai perfino per tostare il pane a colazione.
Ma da quell’ubriacatura non ci siamo mai veramente ripresi, ci siamo abituati talmente bene che ne usiamo molta più di quella che ci serve, semplicemente perché possiamo. Ecco allora nascere, più che la società dei consumi, la società degli sprechi: oggi divoriamo quantità enormi di energia, spesso in maniera del tutto inutile e spesso male, usandone di piú di quella che realmente ci servirebbe.
Ma tendiamo a dimenticarci, e non dovremmo, di un’altra conseguenza dell’utilizzo dell’energia fossile, cioè che per produrla stiamo bruciando combustibili che inevitabilmente liberano la famosa CO2. 

Ecco da dove ha inizio tutto: il nostro stile di vita, combinato con un sistema che si basa sui combustibili fossili, ci costringe a liberare sempre più CO2 in atmosfera, da cui il surriscaldamento globale, da cui il cambio climatico.


Alcune conseguenze

Avete presente i tifoni e le tempeste tropicali? Sapete perché si chiamano tropicali? Perché avvengono ai tropici, e avvengono ai tropici perché ai tropici fa caldo, e allora l’acqua evapora molto di più e si concentra in atmosfera provocando proprio la nascita di queste tempeste che non fanno altro che scaricare l’eccesso di energia accumulato dalla terra. Già da qui capiamo che non si tratta di andare a lavorare in infradito anche di inverno, c’è molto di più: è molto probabile che di questo andazzo gli eventi estremi aumentino di frequenza e intensità, arrivando anche in regioni dove prima non si verificavano. E quindi mareggiate, inondazioni, piene eccezionali e frane provocate dal dissesto idrogeologico.

Altre cose che ci possiamo aspettare è la trasformazione degli ecosistemi tradizionali, visto che la vita dovrà adattarsi a condizioni climatiche diverse da quelle che abbiamo connosciuto finora. Questo include la desertificazione di aree prima fertili, con conseguente diminuzione della produzione agricola e difficoltà negli approvvigionamenti idrici. In poche parole: meno cibo e meno acqua, oppure cibo e acqua più cari che poi è la stessa cosa. Ma anche la proliferazione di malattie tropicali in zone dove un tempo non vi erano, l’innalzamento del livello del mare che a sua volta favorisce le mareggiate e inondazioni, lo scioglimento dei ghiacci: tutto questo richiederà alle economie del futuro di adattarsi a condizioni che prima non conoscevano. Cosa succede se dove si sciava non c’è più la neve, oppure se dove si andava al mare non c’è più la spiaggia o dove si pescava non c’è più pesce? Tutto questo, è inutile dirlo, porterà a migrazioni. E già si verificano le prime che riguardano qualche sperduta isola del pacifico di cui a nessuno importa nulla, ma di cui ci ricorderemo tutti quando forse sarà troppo tardi e ci renderemo conto di quanto siamo stati miopi.

Prevenire è meglio che curare si diceva. Il problema è che nel nostro caso inizia a essere troppo tardi per prevenire, dobbiamo imparare a convivere con le conseguenze e cercare di non fare altri danni in futuro.
Per questo a livello internazionale è stato stabilito un accordo di di cui forse avrete sentito parlare, per non innalzare la temperatura media globale di oltre 2 °C rispetto ai livelli del 1990. È un limite che piace perché è un numero tondo e fa sembrare tutta la questione semplice, ma non ci assicura nessuna sicurezza: renderebbe accettabile gli impatti e i rischi, permettendoci con grandi sforzi di adattarci in qualche modo, ma evitando probabilmente il punto di non ritorno.


Perché tanta fretta?

Già, perché se una cosa abbiamo capito è che la questione è tremendamente complicata e potrebbe sfuggirci di mano. La Terra è un sistema che si auto-regola, ma che potrebbe farlo su scale che non sono compatibili con la nostra vita su di essa. Le variabili in gioco qui sono tantissime, ma iniziamo a intravvedere alcune situazioni che dobbiamo assolutamente evitare, in cui gli effetti di un processo vanno a rafforzare le cause del processo stesso, in una spirale di causa-effetto in cui il processo si amplifica sempre di più. E proprio per questo, diventa estremamente urgente risolvere questo problema.

Vi faccio tre esempi:
  1. Lo scioglimento delle calotte polari: è dovuto al surriscaldamento globale e a sua volta lo amplifica, visto che fa diminuire la percentuale bianca del pianeta che come uno specchio riflette la luce senza assorbirla. Se dove c’era del ghiaggio oggi c’è un bell’oceano blu scuro, l’energia solare non viene riflessa ma assorbita, contribuendo ancora di più al riscaldamento globale che scioglierà ancora più i ghiacci etc.
  2. Lo scioglimento dei ghiacci perenni della tundra in siberia, da cui si libererebbero grandi quantità di metano, un gas climalterante 33 volte più potente della CO2. Se il riscaldamento globale scioglie i ghiacci della tundra libera il metano che contribuisce ancora di più a surriscaldare il pianeta.
  3. L’acidificazione degli oceani, il più grande serbatoio al mondo di CO2 (più della foresta amazzonica) ma che diventano sempre più acidi assorbendola, impedendo a specie alla base della catena alimentare (come il plankton e i coralli) di sopravvivere, con conseguenze enormi per gli ecosistemi acquatici ma anche terrestri. Inoltre recenti studi ci dicono che proprio il fitoplankton è la maggior fonte di composti che in atmosfera favoriscono la formazione delle nuvole, che riflettendo parte della luce solare aiutano a mitigare il riscaldamento globale. Percui anche l’acidificazione degli oceani potrebbe innescare un meccanismo di feedback positivo.

Tre esempi che vi danno un’idea di quante cose ci sono da capire, e quante variabili da considerare, e di quanto sia seria la questione e quandto sia facile che sfugga al nostro controllo. Per cui capirete ora quanto è importante rispondere a questa sfida, farlo bene e farlo il prima possibile. Sono 20 anni invece, dalle prime conferenze sul clima, che si parla molto e si stringe poco.
Per risolvere sfide come queste, serve un livello di cooperazione internazionale mai visto prima. Fino ad oggi invece, quello che abbiamo ricevuto è stata tanta ipocrisia. Basta pensare che gli stessi firmatari dell’accordo sui 2 °C hanno approvato misure che porteranno complessivamente ad un innalzamento di 6 °C della temperatura media globale, un livello a cui la civilità come oggi la conosciamo non sarà più possibile. Per non arrivare a questo punto dobbiamo lasciare l’80% delle riserve conosciute nel suolo. Capite come questo sia difficile sia per noi che per le compagnie petrolifere.


COSA FARE?

A questo punto la vostra domanda dovrebbe essere: cosa facciamo? Ve lo dico io cosa facciamo: ci rimbocchiamo le maniche e invece che stare ad aspettare la fine col telecomando il mano iniziamo a fare tutto quello che possiamo per rallentare questo processo (perché fermarlo ormai non riusciremo) e per adattarci al meglio alle sue conseguenze.

Non possiamo aspettare che qualcuno da qualche parte prenda qualche decisione. I politici che facciano le leggi giuste, gli scienziati che inventino miracoli tecnologici o i preti che mettano una buona parola per noi con chi conta lassú. Certo, anche loro dovranno fare la propria parte, e siamo qui oggi anche per questo. Ma non possiamo pretendere che risolvano i problemi che abbiamo contribuito a creare se non facciamo anche noi la nostra. Serve che ognuno di noi si attivi e prenda in mano il proprio destino. Pensateci: siamo stati noi che, consapevoli o meno, con le nostre azioni quotidiane abbiamo provocato tutto questo. Com’è stato possibile? Ci siamo messi daccordo per farlo? C’era da qualche parte scritto un piano per arrivare nel 2014 in questa situazione, con l’acqua alla gola? O forse qualcuno ha iniziato a scavare, a usare l’energia fossile, ha visto che conveniva e gli altri hanno semplicemente seguito? E allora vi chiedo: cosa ci impedisce di fare esattamente lo stesso, ma in una direzione migliore, intraprendendo una strada che non vada cozzare contro la natura ma ci vada a braccetto, la rispetti e ne possa trarre giovamento?

Sono le nostre azioni che determinano, che lo vogliamo o no, il futuro che vivremo. Che ne siate o meno consapevoli, è quello che fate oggi che definisce quello che sarete o che potrete fare domani. Che danno forma al mondo in cui vivrete. E allora pensate al vostro stile di vita, pensate a come potete consumare di meno e consumare meglio. Energia, cibo, rifiuti, acqua, trasporti... tutto conta, perché per tutto serve energia, e quindi tutto contribuisce al cambio climatico e tutto può mitigarlo. Per cui vi prego, non sentitevi stupidi nel cambiare le piccole abitudini, perché sono proprio quelle a lungo andare che fanno la differenza. Sono quelle che contagiano chi vi sta attorno ed arrivano a raggiungere le grandi scale, molto piú di un like su Facebook!
Anche se vi può sembrare assurdo, fate molto di più piantando uno dei piccoli alberelli che vi abbiamo dato oggi, o cambiando le abitudini di quello che fate ogni giorno. Prendete la bici o camminate se potete. Mangiate meno carne possibile, comprate prodotti biologici e locali. Fate attenzione a quello che comprate, comprate solo quello che veramente vi serve. Usate meno energia per fare quello che vi serve, e fate attenzione che provenga il più possibile da fonti pulite e rinnovabili. Tra di queste vi ricordo che c’è la vostra energia muscolare, che non fa male tornare ad usare di più perché tiene in allenamento. Parlate ai vostri amici ed educate i vostri figli a convivere in armonia con la natura, a rispettarla.
Tutto questo, sommando assieme quello che ognuno di noi nel suo piccolo può fare, a grande scala può davvero fare la differenza. E soprattutto, dipende solo da voi e la vostra volontà di vivere in un futuro migliore. Non dovete aspettare niente o nessuno per farlo.


L'emergenza della vita

Quest’ultima parte è dedicata in particolare a quelli che ancora non sono convinti da questo discorso da boy-scout. C’è una cosa, in natura, che si chiama emergenza. Non intendo qui uno stato di eccezionale e improvvisa necessità, ma quando qualcosa che prima non c’era emerge inaspettatamente da un’associazione di molte cose più semplici. La vita stessa è un fenomeno emergente: molte cellule assieme fanno un tessuto e molti tessuti fanno un organo, molti organi fanno un organismo: voi. Ognuno di voi è un fenomeno emergente, la prova vivente che unire le forze di quei miliardi di cellule conveniva. La nostra capacità di volere e di pensare, di provare emozioni è qualcosa che non esiste a livello delle molecole che formano il nostro corpo. Possiamo solo provarle una volta che diventiamo persone. Allo stesso modo, questa piazza è qualcosa di emergente. Ognuno di voi può fare delle cose come dicevamo, ma una piazza come questa può fare cose che trascendono quello che chiunque di voi può fare individualmente.

E allora perché diciamo che oggi #contaesserci, perché in una giornata così ci guardiamo attorno e ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, di emergente appunto. Ci sentiamo parte di una piazza intera. E in questi giorni, in tutto il mondo, in mille altre piazze come questa milioni di persone come noi si staranno guardando negli occhi, facendo emergere qualcosa che prima non c’era, qualcosa di straordinario, di mai visto prima. Una coscienza collettiva che basta aspettare, bisogna agire, bisogna fare qualcosa.
Siamo qui per chiederlo ai politici, certo. Quello è il loro lavoro, li paghiamo per per ascoltarci e rispondere alle nostre esigenze, e non ce ne dimentichiamo. Ma queste piazze in connessione oggi e domani dovranno arrivare ben oltre. Dovranno arrivare a connettere ciascuno di noi, con quello che sappiamo e con quello che facciamo. Abbiamo di fronte un compito straordinario e verremo ricordati in futuro come quelli che hanno risposto ad una delle più grandi sfide della storia.


La lotta di tutti

Ma non pensiate che sia una questione per ambientalisti, è anche e forse soprattutto una questione di diritti umani e di giustizia sociale. Questo è un movimento che ha mille sfaccettature, perché è talmente importante da poterle riunire. C’è un enorme varietà e diversità in questa piazza oggi e ci sarà domenica in tutte le piazze del mondo. Movimenti per la sovranità alimentare, per il diritto all’acqua, per le energie rinnovabili, per la giustizia sociale, per l’equità nello sviluppo... tutte assieme con un unica voce, quella del più grande movimento mai visto nella storia dell’uomo. Quello di una specie che chiede in coro a un pugno dei suoi eletti di darsi la possibilità di sopravvivere.
E di farlo nell’unico posto in cui sappiamo esser possibile: il pianeta Terra. Cercate di capire l’eccezionale bellezza e unicità della situazione che viviamo oggi: la Terra è un sistema unico nell’Universo conosciuto. Un sistema meraviglioso che ci permette di vivere. Non potremmo farlo in nessun altro posto, gli unici che hanno qualcosa da perdere siamo proprio noi. Qui non si tratta di salvare il pianeta. Significa di salvare noi. In qualche modo, magari martoriato, il pianeta sopravviverà altri miliardi di anni, magari molto diverso da come lo conosciamo ma sopravviverà. Ma noi? Cosa faremo se si creeranno, anche per effetto delle nostre azioni, delle condizioni in cui vivere non sarà più così facile come abbiamo sempre conosciuto, o addirittura non sarà possibile?

Chi ha figli pensi che a quanti anni avranno tra 15 o 20 anni, quando dovremo verificare se abbiamo o meno ragginto gli obbiettivi che ci diamo oggi, e se sono stati o meno efficaci. Pensi a come vivranno loro allora, per le scelte che noi avremo o non avremo fatto oggi.

Ora non siete più un gruppo di persone, siete una piazza. E tra qualche giorno leggete le notizie, vi accorgerete che non solo siete una piazza, siete una rete mondiale. Non molleremo, sempliceamente perché non possiamo. Non molleremo, semplicemente perché se non lo facciamo noi, e voi con noi, non lo fará nessuno al posto nostro.

Capite quello che sta succedendo attorno a voi, e poi guardatevi dentro e capite quanto sia importante agire. E allora iniziate, ognuno per sé, a fare la vostra parte. Fate la cosa giusta, la gente seguirà il vostro esempio e la storia vi darà ragione. E allora davvero saremo in tanti. E non potranno non ascoltarci. Ma faccio qui una scommessa: in quel momento, nel momento in cui saremo davvero in tanti a fare quello che serve, non ci importerà più essere o meno ascoltati. Perché avremo già risolto il nostro problema.

Grazie di cuore per esserci stati.


#sosteniamoci   #marciaperilclimarimini   #contaesserci   #peoplesclimate

mercoledì 4 giugno 2014

Il tempo del tutto e del nulla

Il senso di questo articolo

Penso che il problema più grosso che abbiamo in Italia oggi sia la deriva culturale. Da una parte chi per capacità potrebbe rappresentare una guida di spessore e arricchire gli altri vede presto sprecati i propri sforzi per disinteresse degli interlocutori; per cui presto abdica al suo ruolo sociale, peraltro non scelto ma conseguente alle proprie capacità. Dall'altro la stragrande maggioranza delle persone è distratta dalle questioni che contano veramente, cioè quelle che in un modo o nell'altro determinano la qualità della loro vita. Troppo spesso si preferisce il futile e l’inutile alla cultura e all'impegno civile, gli slogan all'analisi seria, la faciloneria alla serietà.

In questo clima - ricordandoci che in democrazia ogni voto vale uno - è chiaro che l’espressione della maggioranza spesso non sia la più qualificata ad amministrare la società e a prendere le decisioni per tutti. Non è un problema della democrazia, ribadisco, è un problema di abbruttimento culturale. La cultura dominante tende continuamente al ribasso. Per cui sia la classe dirigente che quella politica, non essendo altro che uno specchio della società che rappresentano, non possono fare altrimenti.

Quale soluzione? Non esiste la pillolina magica indolore, bisogna impegnarsi a restituire alla cultura l’importanza che merita, riscattandola da decenni di denigrazione pubblica che in alcuni casi sfiora il disprezzo. Uscire dai luoghi comuni fasulli e dare applicazione reale a tutto questo, recuperando lo spirito civico e l’impegno in prima persona. Iniziare a percorrere la lunga e difficile strada che conduce al rinnovamento non del vertice della piramide, ma dell’intera base. Un percorso tortuoso e mai finito di costante autocritica, l’unico a mio avviso in grado di condurci a risultati duraturi. Tutto il resto temo sia destinato ad essere una speranza passeggera, più o meno infondata.

Qui sotto qualche riflessione più articolata.




NUBI DI IERI SUL NOSTRO DOMANI ODIERNO (cit.)

Nel commentare la debacle della sinistra (più o meno) radicale alle elezioni politiche del 2013 (Il pedone e il giocatore di scacchi), mi chiedevo come fosse possibile che praticamente uno su tre di quelli che erano andati a votare si fossero lasciati abbindolare ancora una volta dalle promesse farlocche del  signor Berlusconi. Mi chiedevo anche come mai tanti altri non capissero che fossero l’iniquità nella distribuzione delle risorse, l’ingiustizia sociale, la mancata presenza di un senso civico contrapposto al mero opportunismo le maggiori cause della triste situazione in cui versa il nostro Paese. Ma soprattutto, in tutto questo, mi interrogavo sul ruolo dei cosiddetti intellettuali di sinistra. Ossia quella schiera di studiosi e sagaci osservatori della realtà che, dall'alto della propria invidiabile cultura, certamente sarebbero in grado di aiutare molti a districarsi nella giungla dell’analisi politica. Nonostante tutto, spesso e volentieri queste persone faticano a scendere a parlare al mondo dei comuni mortali, nella loro lingua. Come se non li riguardasse, come se non fosse compito loro. Come se fossero vinti da un’atavica pigrizia a sporcarsi le mani con l’uomo medio, a sostenere 1'000 volte e altre 1'000 ancora la stessa, stucchevole e magari inutile, conversazione. Non per convincere, ma per far luce su aspetti fino a quel momento magari sconosciuti, per aiutare a riflettere. Perché mi chiedevo tutto questo? Semplice: perché in democrazia ogni voto vale quanto l’altro. Il voto degli illuminati vale esattamente quanto quello dell’uomo della strada, dell’incolto e dello zoticone. Per cui questi signori dalla ampie vedute non possono venir meno a una funzione sociale di cui nessuno li ha investiti, ma che nonostante tutto hanno la responsabilità (e l’onore) di ricoprire, certamente in gran parte per meriti propri. Nel non farlo erano proprio loro a permettere la debacle di quella rappresentanza cui appartengono, che più di altre rifugge l’analisi spicciola per abbracciare invece vedute ad ampio raggio nel tempo e nello spazio. E che proprio per questo ha bisogno di una costante e infaticabile azione di diffusione e divulgazione, informativa e riflessiva. In alternativa vince il populismo e la demagogia, ammesso che esista ancora qualcosa che non lo sia in politica.

Di tutto questo mi lamentavo allora e, a un anno ed una tornata elettorale di distanza, posso osservare che nella sostanza nulla è cambiato, ma che forse qualcosa in più si muove. Siamo sempre di fronte ad un’occasione da cogliere per mettere in pratica quel cambiamento impellente che richiede una partecipazione informata di tutti alla cosa pubblica. Siamo sempre ad aspettare che, ognuno per sé, si capisca che fare politica non significa né candidarsi né mettere una X di tanto in tanto, ma parlare, discutere, ragionare, ascoltare, capire e riflettere assieme. Che far politica è un atto quotidiano di partecipazione civile che spetta a tutti. Nel frattempo qualche intellettuale la faccia ce l’ha messa, e il progetto della lista civica della sinistra radicale si è ripetuto prendendo qualche voto in più. Son cose che fanno ben sperare, ma non basta.

Capiamoci. Il problema non è poi dei singoli, è della società. Una società distratta e senza fiato, che arriva alla sera sfiancata da lavori ingrati e spesso alienanti, che non vuole ragionare di massimi sistemi perché ha già abbastanza problemi ogni giorno per sbarcare il lunario. Che per la testa di questioni pratiche da risolvere ne ha già tante ed è abituata a delegare qualsiasi cosa trascenda la propria individualità. È lo scacco matto alla partecipazione. È questa la società settaria del disinteresse per i beni pubblici e per la cultura “che non si mangia”. È questa la società della mancanza di civismo e compassione, del cinismo e del parassitare. È il paese che ha paura di guardarsi allo specchio perché ha vergogna di quello che potrebbe vedere. Molto meglio nutrirsi dei sogni degli altri che provare a seguire i propri, il rischio è quello di fallire.

Certo, è la società intera a doversi sollevare, a invertire una marcia debosciante ed abbruttente che dura da fin troppo tempo. Ma la società è fatta dai singoli, per cui se non sono loro in primis ad abbracciare il cambio di rotta, a condividere il proprio coraggio con gli altri trovandovi una sponda (magari inattesa), a sostenersi gli uni con gli altri amplificando la propria voce fino a diventare una marea che tutto travolge... allora non si vede come le cose possano migliorare. Migliorare certo, cambiare non basta. Sempre che interessi a qualcuno.


RUMORE

Un problema grosso da risolvere è che pare essere scomparso il concetto di importanza relativa. Ogni giorno affoghiamo nel calderone dell’era dell’informazione e della controinformazione senza sapere che direzione prendere. Siamo saturi di tutto e del contrario di tutto e rischiamo di rimanerci invischiati come a nuotare in un barattolo di miele. Servirebbe una guida. Si da il caso che l’evoluzione ci abbia dotato di uno strumento straordinario per orientarci, uno strumento spesso dimenticato che ha dimora tra le nostre orecchie: il cervello. È l’uso della ragione e della critica costante che potrebbe guidarci meglio di qualsiasi altra cosa attraverso il labirinto del web e del mondo globalizzato a portata di click. È il rimanere attivamente coinvolti nel ricercare l’informazione che ci serve a rappresentare oggi la vera possibilità di rivoluzione del pensiero, al di là del supporto tecnologico che di per sé non è che uno strumento.

Attivamente coinvolti, non passivamente recettivi di qualsiasi contenuto sia bombardato in nostra direzione... In questo il web offre sicuramente possibilità nuove di interagire coi contenuti, molto più della scatola magica televisiva che rappresentava (e tuttora rappresenta) semplicemente il veicolo di un pacchetto preconfezionato sparato contro l’homus da divanum a riempire lo spazio tra le orecchie di cui sopra. Ma di per sé il web non salva nulla. Pur offrendo per definizione più spazio alla selezione critica dei contenuti, e persino alla loro creazione, è uno strumento anche quello e va usato bene.

Ecco perché penso che uno problema grossissimo della società di oggi sia la perdita delle priorità. Lo spazio cerebrale viene riempito egualmente da cagnolini che abbaiano o gattini che tirano la catena del wc, di nani e ballerine, casi umani e fenomeni da baraccone che aspirano ai loro 5 minuti di celebrità, di tette culi e pornografia spicciola, di gente che altro merito non ha se non di potersi comprare fama e rispetto, dell’infotainment strabordante di politici che non si sa dove in effetti trovino il tempo per fare gli amministratori pubblici, dell’uomo della strada che grida compiaciuto e con la bava alla bocca contro tutto e tutti che così non va e nonsipuòandareavanticosì... mi scuserete per il qualunquismo, ma di qualunquismo si tratta. Qualunque cosa ci diano, ce la ingoiamo senza chiederci se abbiamo fame o no, e di che cosa. Si perdono le priorità, non si capisce più cosa abbia importanza e cosa no, a cosa vale la pena dedicare le proprie (limitate) energie, di cosa dispiacersi e di cosa no, dove interessarsi e dove tralasciare, dove cambiare canale e dove alzare il volume. Ed è una tragedia. Anzi, una traggedia (rafforzativo). Perché questa dispersione di attenzione, di risorse cerebrali, di interesse e di azione fa esattamente il gioco di un sistema che della partecipazione non se ne fa nulla, anzi. Un sistema che vuole solo creare l’illusione della partecipazione, per poi distrarre dalle questioni principali dirottando le energie sul futile e sul del tutto inutile, continuando ad occuparsi di ciò che conta per davvero nei club privati più o meno esclusivi.

Esiste un antidoto a tutto ciò? No. Ma c’è una strada faticosa e lunga da percorrere che varrebbe la pena iniziare ad imboccare: quella della cultura e del dialogo. Non dell’indottrinamento e delle urla. Quella che legge e riflette per mettere in fila quello che ha imparato; quella che prima di parlare ascolta; quella che rimane vigile, sempre, nel farsi domande e nell'usare il proprio raziocinio per rispondere; quella che stabilisce delle priorità e le segue; quella che guarda lontano e si lascia scivolare addosso lo stucchevole e volgare teatrino che ogni giorno ci bombarda per renderci pecore; quella che non ha paura di esprimere un dissenso costruttivo e che ha la forza di mantenere le proprie posizioni, ma solo finché ragionando su elementi nuovi non cambierà idea o non avrà altri elementi da aggiungere. È una strada da insegnare ai nostri bambini e ai nostri ragazzi, certo, ma da far scoprire anche agli adulti e a chi oggi regge in piedi il mondo. È una stradina scivolosa e tortuosa da fare con umiltà e coraggio, ma non ne conosco di migliori da percorrere.

Non mi resta che augurare a tutti i naviganti buon viaggio.





domenica 16 febbraio 2014

Le parole sono importanti

C’è una regola d’oro a cui tutti dovremmo cercare di non venire a meno: stare in silenzio quando non abbiamo nulla da dire che non possa interessare i nostri interlocutori.

Parliamo di comunicazione. Comunicazione di qualsiasi tipo in qualsiasi forma: stiamo parlando di un binario a doppio scambio. C’è qualcuno che vuole condividere qualcosa, ma per farlo deve anche trovare qualcuno disposto ad accogliere il messaggio. Come succede in un sistema antenna-ricevitore: la comunicazione, lo scambio di informazioni, non avviene se manca uno dei due. Purtroppo ultimamente ce ne dimentichiamo spesso. E allora parlare, scrivere, fare foto, disegnare, danzare o qualsiasi altro mezzo si scelga di usare perde la sua funzione comunicativa. Non è più veicolo di un messaggio, non porta informazioni a qualcun altro. Rimane semplicemente una forma di espressione di sé stessi. Non che non sia utile, anzi. L’espressione di quello che si ha dentro, anche quando non si trova nessuno disposto ad ascoltare, è una necessità di chiunque e ci ha spesso regalato alcuni dei capolavori più grandi della storia dell’arte. Senza dar sfogo alla necessità di esprimere noi stessi il mondo sarebbe piatto, freddo, grigio. La necessità di espressione personale non solo è fonte di arte, ma anche di innovazione e di progresso. È quella cosa che ci fa stare al passo coi tempi e rende ogni periodo storico un argomento a sé, degno di essere studiato e approfondito. L’espressione di sé diventa in questo modo, essa stessa, una forma di comunicazione del proprio tempo, ma allo stesso modo da forma al proprio tempo.

Quando però l’espressione di sé perde il fuoco che le impone di uscire fuori, quando non viene prima digerita a dovere per trovare la forma che meglio le si adatta, quando diventa puramente auto-celebrativa e immediata, ripetitiva, istantanea, sterile e usa-e-getta... allora credo che abbiamo qualche problema. Perché significa che tutti parliamo, e di continuo, ma nessuno ascolta. E in questo modo, penso davvero che faremmo tutti meglio a stare zitti. Il messaggio, in ogni caso, non arriva. Risparmieremmo energie e, probabilmente quello che è più importante, la delusione di non essere ascoltati o capiti. Di non ricevere l’attenzione di cui abbiamo bisogno.

Cosa pretendo di fare allora mentre sto scrivendo? Lo stesso che mi propongo di fare quando parlo con qualcuno. Condividere un qualcosa – sentimenti, emozioni, informazioni, opinioni, dati – che ritengo importanti per entrambi. Non solo per me, altrimenti che senso avrebbe comunicarle a qualcun altro? Basterebbe parlare di fronte a uno specchio. Sarebbe un nutrirsi di visibilità per soddisfare il proprio ego. Nulla di tutto ciò. Faccio quello che faccio perché (a torto o ragione) lo ritengo importante. Penso che tutto questo possa avere una funzione, sia di una qualche utilità anche per chi legge. Per i contenuti che veicolo e le informazioni che condivido, certo. Ma anche perché prendendomi la briga di farlo in prima persona ciò mi permette di avere una funzione sociale, un qualcosa che va al di fuori della mia individualità. Ma affinché tutto questo sia possibile, le informazioni che condivido devono avere un valore anche per l’ascoltatore. Devono essere utili anche al lettore. Devono riuscire a spronarlo in qualche modo, devono farlo riflettere, devono aiutarlo conoscere cose che prima ignorava.

Uso volutamente il termine condividere e non dare. Dare un informazione presuppone l’esserne il depositario unico e generare un flusso unidirezionale. In tutta onestà non penso che questo possa essere possibile, per nessuno. Condivisione significa sentirsi allo stesso tempo antenna e ricevitore di un qualcosa che sappiamo non essere statico, ma in continua evoluzione: la conoscenza/coscienza. Condividerla assume quindi il significato di prendersi per mano e dire “so che abbiamo un cammino infinito che ci aspetta davanti, e che probabilmente quello che ti dico oggi non varrà più domani. Ma nonostante tutto penso che valga la pena iniziare a farlo assieme, imparare l’uno dall’altro ad arricchirci delle nostre reciproche esperienze. Quando poi si riveleranno obsolete, le aggiorneremo, le miglioreremo”. Ancora una volta è il metodo quello che conta. Il modo in cui lo si fa.

Comunicare è un esigenza naturale delle persone, che nasce dal bisogno di fare comunità, di vivere in società, assieme. Di condividere. Informazioni importanti alla sopravvivenza del gruppo, ad esempio. L’espressione di sé stessi è anch’essa un qualcosa di innato e importante. Spesso, ma non sempre, queste due cose si incrociano. Ma non sono la stessa cosa.




Oggi i social network e internet ci mettono di fronte alla continua e costante ostentazione del proprio ego, resa possibile alla velocità di un click. Espressione immediata che si pretende spesso ammantata di un arte che non possiede. Semplicemente, non ne ha avuto il tempo. L’arte, l’espressione profonda di sè stessi, richiede anche il tempo della riflessione, dell’interiorizzazione e dell’affinamento della tecnica. Il mondo cibernetico che viaggia alla velocità della luce non ce lo permette. Per cui ci troviamo sempre piú spesso a trangugiare bulimicamente bit di informazione frammentata e sporadica. Informazione che spesso non ha l’obbiettivo di comunicare qualcosa, non le interessa sapere se stiamo o no ascoltando. Le basta specchiarsi ed uscire dai polpastrelli delle dita. Le basta contare i pollici all’insù e le visualizzazioni. A tanto siamo arrivati, a contare quantità delle reazioni e non più qualità delle interazioni.

È un informazione non richiesta, che nasce e muore immediatamente, che non arreca nessuna utilità a chi ne fruisce. È un informazione sterile e noiosa, autocelebrativa e vanitosa, standard e dozzinale. Tutti ne siamo capaci eppure ci sentiamo sempre gli unici, i migliori, i più importanti. Datemi i miei 5 minuti di celebrità, datemi la mia dose di visibilità. Lasciatemi usare quella parola che ho appena imparato e che fa tanto cool. Mi rifiuto di considerare tutto questo una forma di espressione. È solo un disperato bisogno di attenzione, piuttosto faremmo bene a chiederci il perché di tutto questo.

A maggior ragione, non ha niente a che vedere con la comunicazione. Se non mi stai dicendo qualcosa che serve anche a me, non c’è condivisione, non c’è comunicazione. Se stai parlando da solo, il tuo messaggio non troverà la strada per arrivare a me. Se non mi stai offrendo l’opportunità di arricchirmi in qualche modo, non mi interessa grazie. Non è snobismo, è ricordarsi del significato delle parole. Le parole sono importanti. La manipolazione, il lavaggio del cervello spesso partono proprio dall’usare le parole in un contesto in cui non c’entrano niente.

Comunicare oggi lo fanno davvero in pochi. Quello che vedo sempre più, tristemente anche nelle conversazioni private, è l’autocelebrazione dell’ego. Avanti così, se vi pare. A me non interessa.


Piuttosto, me ne sto zitto.