martedì 31 gennaio 2012

Recuperiamo la nostra sovranitá alimentare


Siamo abituati, soprattutto quelli che vivono nelle grandi cittá, all’impersonalitá. Si esiste solo come numero, come dato statistico. Si esiste a malapena anche per i propri vicini. Si esiste solamente per i propri amici e per la propria famiglia, in qualche caso.
Quando cammini per strada nessuno nemmeno ti vede, sei un fantasma. Troppa gente. Troppe facce. Non dico che non ci sia la curiositá di conoscere le altre persone, semplicemente in molti casi manca l’opportunitá. Manca il tempo. Si corre. Tutti, si corre. Ma dove si corre? Si corre a lavorare, perché bisogna arrivare a fine mese, bisogna guadagnarsi in qualche modo il pane per vivere. E poi anche una serie di altre cose che ci hanno detto ci rendereanno felici. E quando non si corre a lavorare? Si corre da qualche altra parte, perché dopo lavorare di tempo per il resto ne resta poco, e bisogna pur sfruttarlo al massimo.
Una società asettica, in cui non ci si mischia piú, in cui non si condivide nulla. In cui si preferisce immergersi in uno schermo da 3 pollici piuttosto che parlare con chiunque del mare di persone in cui sei immerso. Si ha paura. Qualcuno potrebbe prenderti per pazzo, sentirsi importunato.
Non é tutto cosí, certamente. Sto esagerando le cose. Ma é solo per fare capire il punto della questione. Impersonaitá. Asetticismo. Sterilizzazione. Ma é tutto di facciata. Sotto questa pellicola trasparente continua a vivere la stessa gente di sempre. Continua il bisogno di contatto umano, continua il calore, continua la passione e la voglia di raccontare, di condividere e di farsi due grasse risate. Il mondo sotto una pellicola trasparente.
Voglio prendere ad esempio di questa situazione un ambiente che tutti conosciamo perfettamente. Un paradigma della nostra societá urbana: il supermercato. Senza volermi addentrare nei meandri dei centri commerciali, per caritá, fermiamoci al supermercato alimentare.

Siamo quello che mangiamo.

Ci hanno insegnato che i supermercati sono una bella cosa. Si ha tutto a portata di mano. Si ha tutto a basso costo. Sono puliti e affidabili. Devono rispettare norme igieniche ben precise. Abbiamo sostituito le facce delle persone per le marche. Se una volta, lo possono solo immaginare o ricordare vagamente dalla mia infanzia, si andava a comprare il coniglio dalla Marisa perché ce l’aveva buono, o la verdura dalla Gina perché c’aveva un gran sapore...oggi le stesse cose ce le dice una scatola piena di immagini che parlano; ci dice di prendere quello e quell’altro, e noi ci crediamo e ce le andiamo a cercare nei banchi del supermercato. E cosí sia.
Viene fuori un giorno che ci hanno un po’ fregato con sta storia. A qualcuno gli viene in  mente che per avere tutto a cosí poco e nello stesso posto e in tutti i posti contemporaneamente ci dev’essere sotto un’inghippo. E allora viene fuori che invece che tirar su i conigli come faceva la Marisa, o coltivare la terra come faceva la Gina, qualcuno ha iniziato a metterci dentro della roba chimica. Oppure li ingozza tutto il giorno senza farli muovere. Insomma riesce a far crescere tutto piú veloce, frutta verdura animali pesci...tutto. E poi viene fuori anche che sono un po’ costretti a fare cosí, visto che per averceli ovunque i loro prodotti, e per costarci poco noi, bisogna trasportarli in giro un bel po’...e son costi. Costi che qualcuno dovrá pur pagare, e allora perché tutti guadagnino tutti guadagnano meno. E per non rimetterci troppo l’unica cosa che gli viene in mente ai produttori é di produrre piú veloce. E allora si scopre che quella roba chimica é un grande aiuto. Se prima gli pagavano 100 per 10, adesso gli pagano sempre 100, ma per 100. Noi non ce ne accorgiamo mica, la nostra scatola parlante non ci dice niente e continuiamo a comprare tutto come se niente fosse, contenti di pagare meno di quanto abbiamo mai pagato e di avere tutto in ogni momento. Il problema peró é che sto sistema finisce per strozzarlo al contadino. Perché succede che la terra non gli produce piú come prima, e allo stesso tempo quei signori che gli vengono a prendere il raccolto per trasportarlo e distribuirlo gli hanno detto che invece che 100 lo possono pagare solo 96, perché ormai tutti pagano cosí. Cosa vuoi che faccia il povero contadino? Comprare ancora piú di quella robaccia chimica e iniziare a produrre 104...si entra in un circolo vizioso. Produrre sempre di piú per garantire prezzi sempre bassi contribuisce a impoverire sempre di piú la terra. Nel frattempo, mentre noi ci abituiamo a prezzi bassi e non ci sognamo neanche lontanamente di pagare di piú, la qualitá dei prodotti diminuisce. Perché tanto il conigilo quanto i pomodori a crescere piú in fretta hanno meno tempo per assimilare bene i nutrienti che gli servono, e per questo hanno bisogno delle loro droghe chimiche o ormonali per essere venduti in tempo. Succede anche un’altra cosa curiosa: nel frattempo ci dimentichiamo che in realtá non é neanche vero che i prezzi sono poi cosí bassi, visto che quello che si pagava direttamente alla Marisa e alla Gina adesso gliene diamo un po’ anche a chi trasporta, a chi gestisce e a chi gestisce chi gestisce.  Per farla corta, meno qualitá, meno sano, piú caro, meno giusto per chi lo produce. Cornuti e mazziati.

Allora qualcuno si stufa e dice che torna a fare come si faceva una volta. Nasce la produzione biologica. Roba da matti. Come se esistesse un altro tipo di produzione. In inglese é ancora meglio, perché si chiama organica. Come se il resto che ci mangiamo fossero sassi. Ma vi rendete conto che ci stanno rubando anche le parole? Ci prendono in giro continuamente e noi accettiamo ciecamente tutto. Secondo me dovrebbero chiamarsi semplicemente produzione naturale e produzione industriale, o chimica, o sporca che ne so. Fatto sta che dalla buona intenzione con cui nasce, la produzione biologica dsi trasforma, come no, in business. Gli affari li fanno peró, ancora una volta, i grandi produttori e le catene di distribuzione. Quelli che sicuramente non fanno affari sono i cosidetti consumatori. Badate bene a questa parola: consumatori. Cioé coloro che consumano. Macchine da consumo. Coloro che altro scopo non hanno che consumare. Ci stanno rincoglionendo con le parole e noi non ce ne rendiamo conto.
Fatto sta che per mangiare qualcosa come dio comanda, adesso bisogna spendere 3 volte quello che si spende per mangiare prodotti piena di roba chimica che in alcuni casi nemmeno sappiamo. Perdipiú siamo arrivati al controsenso che ci costa di meno mangiare verdura prodotta in Cina che non a 100 metri da casa nostra. C’é ben poca gente che se ne rende conto quando va al supermercato.

Il fatto é che il supermercato, paradigma della nostra vita, é completamente impersonale. Quello che vediamo sono solo i prodotti. Ma non sappiamo cosa c’é dietro. Non vediamo le centinaia di litri di carburante spesi per trasportarlo. Non vediamo lo spreco di energia e di materiali che c’é dietro ad ogni imballaggio. Spreco perché totalmente inutile: fino a 3 imballaggi consecutivi tra scatoloni, scatole e busta di plastica che hanno sin dal momento della loro progettazione e creazione una sola destinazione: la spazzatura immediata. Nonostante questo produrli costa un enorme quantitá di energia e materiali. Idiozia industriale. Asetticismo. Come quello che i rassicuranti pavimenti piastrellati dei supermercati ci fanno sognare. Igiene e pulizia come sinonimo di qualitá. Poi non sappiamo le zucchine che compriamo come ci finiscono dentro a quelle confezioni di polistirolo e pellicola di plastica. Come vengono maneggiate. Non abbiamo minimamente idea dei processi di raccolta, immagazzinamento, trasporto e distribuzione a livello industriale. Le sole parole faticano ad assumere un significato concreto per chi non vi é in qualche modo familiarizzato, sono solo concetti.

Arrivati a questo punto, mi sembra chiaro come sia dal punto di vita energetico, sia della salvaguardia delle risorse e dell’ambiente, sia etico, i prodotti biologici (se vogliamo chiamarli cosí), soprattutto quando locali, oltre che materia organica contengono anche molto piú buonsenso.
Rimane peró spesso lo scoglio del prezzo. Ed é qui che stanno nascendo iniziative veramente interessanti.

A Bologna l’associazione Campi Aperti (http://www.autistici.org/campiaperti/) ha iniziato con una serie di mercati di quartiere in cui gli agricoltori e produttori locali vendono direttamente i loro prodotti. Altre iniziative simili si stanno sviluppando in tutta Italia e anche all’estero. Non si tratta di fiere agroalimetari di prodotti tipici, ma di veri e propri mercati dove la gente puó fare la spesa. Il vantaggio é che i produttori, saltando tutti i processi intermedi, possono vendere ad un prezzo finale piú basso pur riuscendo ad avere un guadagno maggiore. Niente follie, semplicemente un guadagno giusto, che gli permette di andare avanti e mantenersi con quello che fanno. Per chi compra il vantaggio é finalmente di avere cibi piú sani e prodotti in maniera piú etica e giusta, anche in cittá. In questo caso chiunque puó diventare ago della bilancia, rivoltando in faccia al sistema che mette il profitto prima dell’etica e della nostra stessa salute il grande potere che sta alla base del suo stesso funzionamento: il potere d’acquisto. Evolvendo da consumatori a consumatori critici, scegliamo che vogliamo certi prodotti piuttosto che altri, tagliando tutto quello che, in mezzo, non serve.
Tutti abbiamo produzioni locali vicino a casa nostra, che senso ha comprare gli stessi prodotti quando vengono da centinaia o migliaia di km di distanza? E soprattutto, che senso ha pagarli di meno?! Il buonsenso significa pagare quello che veramente vale la pena, ossia la qualitá. Il buonsenso significa sostenere i piccoli produttori che lavorano la terra e allevano gli animali rispettandoli, rispettando cosí la vita stessa. Il buonsenso nasce nel capire che vale la pena produrre e consumare localmente, anche perché in questo modo le risorse e la ricchezza circoleranno all’interno della nostra comunitá, facendo girare l’economia locale per quanto possibile, e non quella globale di cui non abbiamo alcun controllo. Il buonsenso sta nel capire che se un giorno per qualche decisione sciagurata dovessero aumentare i prezzi del petrolio improvvisamente (cosa che peraltro prima o poi succederá comunque, rassegnatevi), i nostri signori biologici non batterebbero ciglio mentre i grandi supermercati si svuoterebbero di colpo. Il buonsenso sta nel recuperare la nostra sovranitá alimentare, ossia essere padroni di cosa mangiamo. Poter decidere che lo vogliamo sano, di qualitá, da produzione etica e a un prezzo giusto. Nel poter decidere a chi comprarlo. Nel recuperare anche il contatto umano che abbiamo perso.

L’alimentazione é una necessitá primaria per l’uomo, forse la piú importante in assoluto. Il cibo si potrebbe anche intendere come la medicina che prendiamo a piú dosi nella nostra vita (circa 3 volte al giorno ogni giorno), perció forse vale la pena pensarci. Qualcuno lo sa bene quanto sia fondamentale, percui ha messo in piedi un sistema per controllarla e guadagnarci un sacco di soldi a spese della nostra salute e della nostra qualitá di vita. Sono le multinazionali e le grandi distribuzioni alimentari. Chi prova a fare le cose in maniera diversa fa fatica a continuare a lungo. Possimo decidere quale dei due sistemi supportare. La scelta é solo nostra.

Recuperiamo la nostra sovranitá alimentare. Anche questa é una questione di democrazia. Decidiamo come vivere. Decidiamo cosa é importante.




Per chi volesse approfondire consiglio questo film: Genuino Clandestino





sabato 14 gennaio 2012

Un’azione politica


È arrivato il momento di toccare un tema scottante: la politica. Origini, prospettive il senso di questa parola nel momento storico che stiamo attraversando.

Partiamo da una considerazione banale: politica e democrazia non sono la stessa cosa, ma spesso si confondono. Entrambe derivano, come parola e come concetto, dal greco. Dalla antica Grecia.

Nell’antica Grecia della cittá-stato, la polis, la politica (che proprio da polis deriva) consiste nell’attività di gestione e amministrazione della cosa pubblica per il bene della comunità, il che si lega necessariamente a doppio filo con l’esercizio del potere decisionale. Ossia il Potere con la P. Ma non solo, é bene sottolineare infatti che l’attività politica non si riduce alla politica attiva, ma anche all’espressione delle proprie opinioni per il miglioramento della societá in cui si vive. Ció include anche la protesta contro delle decisioni prese, o manifestazioni di qualsiasi tipo.

Giusto per non lasciare niente di scontato, lo Stato é semplicemente una convenzione, una delle tante, adottata dall’uomo e, come tale, una sua invenzione. Ci si accorge a un certo punto che gli uomini da soli non riescono in maniera efficace a soddisfare tutti i propri bisogni, percui decidono mettersi insieme, di organizzarsi e “firmare un contratto” (il cosiddetto contratto sociale) in cui tutti cedono una parte della loro libertà e del loro potere di autogestirsi (parte della loro sovranità) a un entità tutto sommato astratta, ma operata da uomini, che provvederà cosí meglio al bene di tutti. È bene ricordare quindi che l’unica ragione d’esistere di uno Stato è quindi perseguire il bene della comunità che lo compone, attraverso la soddisfazione di quei bisogni che i singoli individui non potrebbero soddisfare con la stessa efficacia. O perlomeno non tutti. Garantire cioé beni e servizi essenziali e minimi a tutti, quali cibo, energia, istruzione, sanità, trasporti e casa, verrebbe da dire. Poi sul come ci si puó mettere d’accordo.

La democrazia é infine solo un modo organizzare l’attività politica, un sistema escogitato per gestire e amministrare lo Stato. Non si tratta dell’unico sistema, né tantomeno del migliore in sé. Letteralmente significa che il potere lo esercita il popolo. Esiste anche un altro sistema in cui l’attivitá politica viene esercitata da un gruppo di persone, detto aristocrazia. Questo termine si é progressivamente usato sempre piú per descrivere un sistema in cui questo gruppo di persone viene scelto per diritto di nascita (i cosiddetti nobili) e non per meriti propri, come probabilmente in origine era. La degenerazione dell’aristocrazia é nota come oligarchia, in cui il gruppo al potere lo esercita non piú per il bene di tutta la società ma per il bene proprio. Esiste poi la monarchia in cui un solo individuo esercita il potere per il bene di tutti e la relativa degenerazione, la tirannia.

Bene. Detto ció, col tempo abbiamo deciso e accettato universalmente che ci conviene vivere in uno Stato, è che la democrazia é il sistema col quale lo vogliamo gestire. Quello che ci piace di piú per far politica. Perché ci sembra il piú giusto. Il fatto é che é una faticaccia farlo funzionare. Bella l’idea, peró serviva trovare un metodo per applicarla e si é dovuto, fin da subito, scendere a compromessi.

Si é dovuto delegare. La differenza introdotta qui é colossale, quasi paradossale. Nell’antica Grecia (ma anche nei comuni medievali italiani) la limitata dimensione dello Stato permetteva infatti quello che si conosce come democrazia diretta, ossia che tutti i cittadini si potessero riunire nella piazza principale della polis (l’agora) e partecipare nel processo decisionale. E quindi all’esercizio del potere pubblico.
Con l’estensione degli Stati al di fuori delle città questo é diventato semplicemente impossibile. Si é dovuto delegare. Non si tratta peró qui di contratto sociale, niente viene ceduto in maniera definitiva. Si delega l’esercizio del potere decisionale a dei rappresentanti eletti dal popolo periodicamente e temporalmente, che lo eserciteranno perseguendo gli interessi per cui il popolo li ha eletti. Nasce la democrazia rappresentativa. Ed é qui che le cose possono iniziare a distorcersi sensibilmente. È qui che bisogna rimanere svegli e vigili, perché le cose non entrino in putrefazione.

Va detto che la democrazia diretta era resa possibile anche dal fatto che una minima parte della popolazione di etá adulta era ammessa al suo esercizio (schiavi e donne ne erano tagliati fuori). Il passare del tempo ha favorito il fiorire delle democrazie moderne, caratterizzate dai principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, di separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), suffragio generale, laicità dello Stato, fino alla necessitá di garantire l’esistenza di un quarto potere, una stampa libera e indipendente. È senza dubbio un bel progresso.
Vale peró come sempre la pena di farsi la domanda scomoda “si é forse raggiunta la perfezione?” Ovviamente no. Si è migliorato un sistema rendendolo applicabile a vasta scala, a popolazioni enormemente maggiori, ma é sotto gli occhi di tutti il fatto che questo sistema abbia in sé una inconfutabile tendenza alla corruzione. Al raggiungimento e perpetuazione di un’artistocrazia/oligarchia mascherata da democrazia.
Tanto piú quando la commistione con altri sistemi piú subdoli, come il sistema monetario dominato dalla logica del profitto a tutti i costi e controllato dal potere corporativo multinazionale, ne determinano il triste decadimento che oggi é sotto gli occhi di tutti.
Oggigiorno gli Stati sono costretti a servire il potere finanziario prima di soddisfare le necessità primarie dei propri cittadini. La politica é il braccio destro del corporativismo, strumento di perpetuazione di un sistema degenerato in cui non ci si ricorda nemmeno piú il senso o il perché delle parole. Questa politica nulla ha piú a che fare con il bene della società, é sempre piú solo uno strumento di controllo. Dandoci l’illusione di avere in mano il potere riesce a perseguire i propri scopi reali alla luce del sole, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Ringraziando perfino. Contribuisce ogni giorno di píú alla corruzione morale della società e all’accumulazione delle ricchezze e dei benefici nelle mani di pochi. Pochissimi.

È ora di aprire gli occhi e dire basta. È ora di ripensare a come genstire il nostro potere.
A cominciare dal restituire il senso alle parole: Stato, politica, democrazia.

È stata una scelta necessaria, quella della democrazia rappresentativa, ma forse non lo é piú. Ogni sistema nasce, si sviluppa e muore in un contesto storico. Cambiano le condizioni di fondo, cambiano gli strumenti, cambiano le priorità, cambia il sistema. Il progresso, la sempre presente aspirazione dell’uomo all’innovazione e alla ricerca di soluzioni per vivere meglio, ci spinge ora a chiederci: la democrazia rappresentativa é oggi un sistema obsoleto?

Il progresso tecnico-scientifico ci ha resi spettatori di cambiamenti epocali nello spazio di appena qualche decina d’anni. Cambiamenti prima d’ora semplicemente inimmaginabili, fantascientifici. Lo sviluppo delle telecomunicazioni e internet hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere. Contemporaneamente abbiamo assistito ad una sempre maggiore democratizzazione della tecnologia e all’aumento della scolarizzazione. L’informazione non é piú quella che era prima. La cultura non é piú quella che era prima. L’industria non é piú quella che era prima, con un’attenzione sempre maggiore per il mercato dei servizi. Il concetto stesso di relazione umana é radicalmente cambiato, con l’affermarsi sempre piú perentorio di modelli a rete sui vecchi modelli a cascata. Sistemi in cui tutti si é nodi di un qualcosa di globale, che trascende qualsiasi individualismo. Sistemi in cui ognuno di noi diventa consumatore e produttore allo stesso tempo. Viviamo nella società delle reti. Viviamo immersi in un mondo di informazione.
Abbiamo a nostra disposizione la maggior quantità di sapere che sia mai stata disponibile a qualsiasi essere umano. Ed é gratis, e viaggia alla velocità della luce. Abbiamo a disposizione sistemi che ci permettono capacità di analisi mai viste prima. Possiamo maneggiare moli di dati incredibili e con un minimo sforzo. Abbiamo a nostra disposizione sistemi che ci permettono di far sentire la nostra voce, di organizzarci, di scambiare idee e opinioni. Di avere una risonanza a livello globale, in un battito di ciglia. Sistemi in continua evoluzione. Sistemi di democratizzazione e di politica.

Cambiano le condizioni di fondo, cambiano gli strumenti, cambiano le priorità, cambia il sistema.

Possiamo finalmente avere un opinione informata su virtualmente qualsiasi argomento ci interessi. Possiamo scambiare idee e opinioni, modificarle e svilupparle attraverso una sorta di intelligenza collettiva. Possiamo contarci e organizzarci in tempo reale. Possiamo parlare del nostro futuro e prendere decisioni insieme. Possiamo fare politica. Possiamo riprenderci la democrazia diretta.

Oggi abbiamo gli strumenti, le possibilitá per farlo.

Non ne abbiamo forse anche bisogno?








*************************************************************************

Un esempio: wikicrazia 2.0

Partiamo da alcune considerazioni piú dettagliate:

  •      Oggi deleghiamo il nostro potere decisionale a rappresentanti eletti, principalmente, sulla base di ideologie. Si tratta di persone che, pur in buona fede, come chiunque altro avranno delle competenze in qualche campo, ma mai in tutti. Si tratta altresí di persone che saranno chiamate a decidere e votare leggi di ogni tipo e argomento. Certo, si circonderanno di professionisti in ogni campo di interesse che li possano assistere laddove non abbiano competenze. È bene rendersi conto che non abbiamo nessun controllo su questi ultimi. Oggigiorno nello specifico non ne abbiamo nemmeno sui primi. Si tratta in ogni caso di persone privilegiate, che non hanno nessuna convenienza ad abbandonare questa condizione di privilegio da cui derivano tanti altri privilegi collaterali. Tutto lascia presupporre che sia facile lasciarsi corrompere dalla situazione (accadrebbe a chiunque probabilmente, l’occasione fa l’uomo ladro), emergendo la corruzione intrinseca di questo modello. 
  •  La stragrande maggioranza dei problemi che dobbiamo affrontare sono di natura tecnica, e come tali possono essere descritti e andrebbero affrontati. Per fare ció é necessario:
1.       competenza in materia
2.       assenza di conflitti di interesse volti al raggiungimento di benefici personali
3.       raccogliere quanta piú informazione possibile
4.       capacitá di analisi dei dati
5.       autoritá per prendere le decisioni per il bene di tutti

Va da sé che quanta piú competenza, quanta piú neutralitá, quanta piú informazione raccolta, quanta piú capacitá di analisi, migliori saranno le decisioni che si prederanno per risolvere qualsiasi problema.

·      I problemi vanno affrontati per risolverli e in maniera efficace. Ogni problema necessita competenze e un approccio diverso per essere risolto. È pertanto sciocco considerare come base comune per la risoluzione di tutti i problemi che uno Stato puó trovarsi ad affrontare una semplice linea ideologica. È anacronistico affidarsi a vecchie ideologie per risolvere problemi concreti, che andrebbero valutati caso per caso e non una volta per tutte ogni 4 anni.


Detto questo, credo che oggigiorno sia possibile implementare nella nostra società un sistema di democrazia diretta gestito informaticamente on-line, in cui ogni cittadino puó partecipare alla discussione e risoluzione dei problemi dello Stato e alla legiferazione in maniera volontaria e non retribuita. Niente privilegi, la partecipazione al bene della società é una ricompensa giá di per sé ampiamente sufficiente. Si limiterebbe in questo senso la spesa pubblica in questo settore, destinandone una quota alla gestione dei sistemi e delle infrastrutture informatiche necessarie.

In questo contesto consideriamo il fatto che internet consente l’accesso all’informazione. Come giá detto, ognuno puó farsi un opinione informata su qualunque tema gli possa interessare.

Internet inoltre ci permette di sviluppare il dibattito politico in modo che chiunque possa partecipare, organizzandolo per temi e contribuendo mano a mano allo sviluppo e miglioramento progressivo delle leggi in modo da considerare i punti positivi di ogni proposta.
Chiunque sia interessato a una qualunque problematica puó partecipare al dibattito, apportando competenze in materia o anche semplicemente senso comune. Qualcuno potrebbe partecipare anche solo per puro e semplice interesse. Tutti possono partecipare al dibattito politico, come in una vera democrazia. Questo avviene indipendentemente dalla professione o dalle competenze. Qui si verificherebbe infatti un fenomeno che potrebbe richiamare molto da vicino la selezione naturale darwiniana, chiamiamola selezione razionale:
Se non ho né le competenze né l’interesse nel discutere di un tema saró naturalmente incline a non farlo. Dopotutto non ci guadagno niente, lo farei investendo del tempo e a gratis. Potrei in ogni caso volerlo fare, e in questo caso puó succedere che quello che dico non abbia molta rilevanza. In questo caso gli altri partecipanti al dibattito me lo fanno notare e la questione é chiusa. È improbabile che torni a perdere tempo in questo modo, concentrandomi invece sulle questioni che ritengo di capire e cui credo di poter contribuire in qualche modo. Potrebbe comunque accadere che venendo dal di fuori del campo in discussione si abbia una visione meno “indottrinata” e piú fresca della questione, cosa che chi vi é immerso da tempo ha ormai perso, e che quindi sia comunque in grado di apportare un parere costruttivo al discorso.
Questo aggiunge una pluralitá di opinione alla discussione, arricchendola e garantendo allo stesso tempo un punto di vista olistico, generale e non di settore della questione. Di qualsiasi questione.

In ogni caso é la maggioranza a decidere, siamo in democrazia. Avendo chiunque la libertá di partecipare in qualsiasi discussione, siamo in una democrazia diretta.
Ogni decisione registrata in una legge sará presa perché votata dalla maggioranza dei partecipanti, ognuno dotato di firma elettronica. Ogni decisione sará presa perché motivata da basi tecniche. Qualora dovessero nascere conflitti di interesse, il carattere aperto del dibattito provvederá naturalmente a bilanciarli in favore del bene pubblico. L’unico conflitto d’interesse che passerebbe in una legge sarebbe necessariamente quello di interesse pubblico, proprio perché votato a maggioranza da tutti i componenti dello Stato.

Computer, basi di dati e sistemi informatici garantirebbero la gestione, l’elaborazione  e lo scambio di una tale quantitá di dati e informazioni, organizzandola e riducendo progressivamente il ventaglio delle alternative a disposizione, a seconda delle voltazioni a maggioranza degli utenti. Ogni alternativa avrá dei pro e dei contro, che verranno spiegati in maniera neutrale, squisitamente tecnica (non per questo avendo un linguaggio impossibile), il che selezionerá il relativo bacino di utenza tra quelli in grado di capire di cosa si sta parlando.

Ogni questione sará discussa partendo dal livello locale, deducendo poi leggi a livello piú generale ma lasciando per quanto possibile autonomia locale. È infatti a livello locale che si vive, le leggi a livello regionale o Statale servirebbero ad assolvere la funzione di garantire un sistema organico e ordinato di leggi, nonché una gestione economica unitaria.

Questo sistema ha l’enorme beneficio di riavvicinare l’uomo alla dimensione politica, di renderlo responsabile in prima persona di come funzionano le cose nella propria societá. Si tratta di un sistema volontario, non retribuito.
Sono convinto che dall’adozione di un sistema di questo tipo deriverebbe la diminuzione drastica dei conflitti d’interesse, diminuirebbe la corruzione, deriverebbe un maggior benessere sociale, maggior democrazia e un maggior rispetto per lo Stato, derivante da una partecipazione piú attiva.

Certo, é solo un idea. Va sicuramente migliorata (proprio in accordo con l’idea stessa!). Ad esempio in termini di tempi, procedure e modalità. Ma sono convinto che vale la pena lavorarci sopra per proporre un sistema alternativo di gestione della cosa pubblica, in cui le risorse (naturali e umane) sarebbero amministrate in maniera piú giusta, equa ed efficace.







giovedì 5 gennaio 2012

La mia terra


Se leggete qui, dovrete intendere terra così, come terra. La terra di una volta, quella che ci raccontano i nonni, o quella di cui si legge a fatica descritta in qualche libro pieno di ricordi che non dovrebbero morire.

Quella era la terra che dava il pane, sì, ma non troppo. Che non serviva. Era la terra che si coccolava più che violentarla, poco a poco, come piaceva a lei. Dopotutto, era la terra sulla quale anche noi si viveva. Anche, non solo. Né soprattutto.
Era la terra che nascondeva gioie e dolori, lavoro duro e sensazioni primordiali. Era la terra che ti regalava quello che aveva, ti invitava a prenderlo. E se eri bravo, di sorrideva mentre ti accorgevi di come poterti organizzare per prendere appena un po’ di più.
Mai troppo però. Era quella terra che ognuno la vedeva coi suoi occhi: chi ci camminava sopra, chi ci correva e chi ci si gettava a dormire. Chi andava a caccia, sentendosi non più di un’altra mano nel regolare quell’equilibrio che la manteneva in salute, alla terra. Chi invece andava a pescare. Chi coltivava, chi aveva le galline e scambiava uova col pane di un altro. Chi aveva le bestie, e allora poteva lavorare più duro e offriva latte e formaggio e, a volte, pure carne. Quella terra era il teatro di una comunità di persone. Non di un gruppo di persone. Persone che avevano bisogno l’uno dell’altro per vivere. E ne avevano bisogno in un modo che oggi forse fatichiamo a comprendere: in un modo felice.
Era la terra che dava e toglieva. Che andava rispettata prima di tutto, non temuta perché mai agiva per dispetto. Era la terra che ti manteneva in sano e in forma, perché era lì dove gli uomini erano nati per vivere. Uomini che vivevano assieme e assieme provvedevano ai bisogni di tutti. Senza doverlo discutere, definire o pianificare. Perché quello che la terra gli insegnava, era che ce n’era abbastanza per tutti. Ma mai tanto da potersi permettere di sprecare. Tutto quello che gli passava tra le mani in un modo o in un altro doveva tornare alla terra. E da lì  sarebbe tornato di nuovo a loro. Una vita in simbiosi.

E quelle persone si volevano bene. Forse perfino in maniera disinteressata. Quasi sicuramente in maniera molto sincera.

Era un vincolo quello tra uomo e terra che non esiste più. Un vincolo che si rifletteva sul modo di vivere della stessa comunità umana. Un vincolo che passava al regno animale intero, e a quello delle piante. Un vincolo che univa tutta la sfera vivente, la biosfera. La univa perfino al sistema delle cose inanimate: l’acqua del fiume, del lago o del mare. L’aria da respirare. Le rocce e le pietre da costruzione. Il carbone per scaldarsi. Era un circolo che coinvolgeva in ogni aspetto della vita tutte le componenti del mondo che si aveva attorno. E che lo vedevi da dove venivano. Quel mondo attorno che si fermava molto presto, senza andare troppo in là, verso mete inesplorate. Era un mondo che già da quel che trovavi attorno a te, ti forniva tutto quello di cui avevi bisogno per vivere. Per isolare le case dal caldo e dal freddo, per accendere un fuoco e scaldarla, per mangiare cose buone e sane, per essere felice con le cose semplici. Tante di quelle che tanto fatichiamo a trovare oggi.



Certo, non vuol essere questo un pianto antico in memoria di un mondo mitico perduto in cui tutto era meglio. Non voglio dire questo. Oggigiorno abbiamo più salute, più cultura, più conoscenza, più comodità, un mondo in più di possibilità, viviamo pi a lungo. Ma viviamo davvero meglio? Forse vale davvero la pena farsi questa domanda. Forse dovremmo sforzarci e fare il possibile per recuperare quanto di buono ci siamo lasciati alle spalle, senza nemmeno pensarci troppo. Accecati da una luce che progresso, in realtà, non é. Forse vale la pena ricordarsi che non si raggiunge mai la perfezione, che si può solo tendere ad essa. E che questa tensione nessuno ci dice che vada sempre e necessariamente in avanti. Forse é bene mantenere gli occhi aperti anche sulla memoria, per vedere se ci siamo davvero lasciati sfuggire tra le dita qualcosa di importante.

Era un mondo in cui gli anziani non erano vecchi, avevano solo vissuto più degli altri. E per questo avevano da insegnare. Tanto da insegnare. Erano venerabili, figure rispettate e guardate dai più piccoli con la reverenza di chi ha visto il mondo dritto negli occhi. Era anche un mondo che lasciava i ragazzi entrarci dentro senza nemmeno pensarci troppo, senza troppe difficoltà dopotutto.




Quella era la terra cui si apparteneva. Su cui si era cresciuti. Quella che si conosceva. Quella che ti teneva a doppio filo legato ad essa. Quella da cui dipendevi e che da te dipendeva. Lo scenario di vita della propria comunità, chiamata così perché quel qualcosa che si aveva in comune era proprio la terra. Quella era la terra che si rimpiangeva, a dover partire. Perché simboleggiava tutto, simboleggiava la vita stessa. Eri tu. Era la terra che uno ricordava con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi a guardare all’infinito e l’anima persa. Era quella terra che assumeva una dimensione trascendentale e poetica, senza per questo essere fallacemente o  smodatamente caricaturata. Era la tua terra.

Oggi, la tua terra, non c’é più. Oggi la tua terra é la Terra. Oggi siamo cittadini del Mondo, per necessità e per virtù. Se oggi la lasciamo siamo pressoché certi di poterci tornare altrettanto facilmente; il distacco non é così duro perché avviene solo a livello fisico. Grazie alle tecnologie di comunicazione, sì. Ma forse anche perché di tutto il resto é rimasto ben poco. Certo, rimane quel pizzico di nostalgia, ma non ti sai nemmeno spiegare più il perché tante volte. Tante volte sembrano futili motivi, dopotutto. Inutili piagnistei destinati a morire col tempo. In realtà abbiamo radicato qualcosa nel profondo che nemmeno sappiamo, qualcosa che deriva dai giorni antichi in cui i nostri piedi camminavano a contatto con la nostra terra. Non ci scivolavano sopra.

È inutile dire qual é il trattamento che oggigiorno le stiamo riservando. È inutile dire che la guardiamo come si guarda una puttana, più che una madre. È inutile menzionare la mancanza di rispetto, la mancanza di conoscenza, l’assenza di dignità che le riserviamo ogni giorno. È desolante vedere come tutto questo sia accaduto così velocemente, nello spazio di appena due generazioni. E quanta poca attenzione riceva ogni giorno da parte nostra o di chi decide quello che ci deve importare. È arrivato il momento per sentirsi responsabili anche, e soprattutto, di lei, della nostra terra. Ognuno di noi, della sua terra. Tutti, della nostra Terra.




Si deve passare attraverso la riscoperta delle proprie radici. La cultura che ci lasciamo alle spalle e che ci abbandonerà presto, coi nostri nonni. Facciamocela raccontare. Tramandiamola ai nostri figli. Scriviamola nei libri e che non ne vada persa nemmeno una briciola. Non guardiamoli con accondiscendenza quando ci raccontano i loro aneddoti, perché sono forse una delle cose più preziose che ci siano rimaste. Non consideriamole solo storielle. Dobbiamo goderne come di racconti di altri tempi sì, con quel sapore agrodolce che hanno, tra il nostalgico e il divertito. Ma dobbiamo anche saper leggere tra le righe la loro vera saggezza. Il messaggio è in codice. È una caccia al tesoro, il tesoro di quella saggezza popolare che gli consentiva di vivere in armonia e in equilibrio con la loro terra. Che rendeva il loro mondo ecologico e sostenibile molto prima ancora che questi termini diventassero di uso comune.




Abbiamo il grandissimo vantaggio di anni di progresso vero. Di una maggior conoscenza dei problemi e delle loro cause. Di milioni di nuove soluzioni che ci aiuteranno a risolverli. E di un incessabile e incredibile qualità: l’intelletto umano. Quello che ci spinge alla conoscenza. Quello che ci spinge a ingegnarci per risolvere i problemi. Lo stesso che ci grida forte ora che non ha senso perdere qualcosa tanto importante così, senza batter ciglio.


Pensiamoci noi.



Buon anno a tutti, e che possa portarci la saggezza di cui abbiamo tanto bisogno.