giovedì 5 gennaio 2012

La mia terra


Se leggete qui, dovrete intendere terra così, come terra. La terra di una volta, quella che ci raccontano i nonni, o quella di cui si legge a fatica descritta in qualche libro pieno di ricordi che non dovrebbero morire.

Quella era la terra che dava il pane, sì, ma non troppo. Che non serviva. Era la terra che si coccolava più che violentarla, poco a poco, come piaceva a lei. Dopotutto, era la terra sulla quale anche noi si viveva. Anche, non solo. Né soprattutto.
Era la terra che nascondeva gioie e dolori, lavoro duro e sensazioni primordiali. Era la terra che ti regalava quello che aveva, ti invitava a prenderlo. E se eri bravo, di sorrideva mentre ti accorgevi di come poterti organizzare per prendere appena un po’ di più.
Mai troppo però. Era quella terra che ognuno la vedeva coi suoi occhi: chi ci camminava sopra, chi ci correva e chi ci si gettava a dormire. Chi andava a caccia, sentendosi non più di un’altra mano nel regolare quell’equilibrio che la manteneva in salute, alla terra. Chi invece andava a pescare. Chi coltivava, chi aveva le galline e scambiava uova col pane di un altro. Chi aveva le bestie, e allora poteva lavorare più duro e offriva latte e formaggio e, a volte, pure carne. Quella terra era il teatro di una comunità di persone. Non di un gruppo di persone. Persone che avevano bisogno l’uno dell’altro per vivere. E ne avevano bisogno in un modo che oggi forse fatichiamo a comprendere: in un modo felice.
Era la terra che dava e toglieva. Che andava rispettata prima di tutto, non temuta perché mai agiva per dispetto. Era la terra che ti manteneva in sano e in forma, perché era lì dove gli uomini erano nati per vivere. Uomini che vivevano assieme e assieme provvedevano ai bisogni di tutti. Senza doverlo discutere, definire o pianificare. Perché quello che la terra gli insegnava, era che ce n’era abbastanza per tutti. Ma mai tanto da potersi permettere di sprecare. Tutto quello che gli passava tra le mani in un modo o in un altro doveva tornare alla terra. E da lì  sarebbe tornato di nuovo a loro. Una vita in simbiosi.

E quelle persone si volevano bene. Forse perfino in maniera disinteressata. Quasi sicuramente in maniera molto sincera.

Era un vincolo quello tra uomo e terra che non esiste più. Un vincolo che si rifletteva sul modo di vivere della stessa comunità umana. Un vincolo che passava al regno animale intero, e a quello delle piante. Un vincolo che univa tutta la sfera vivente, la biosfera. La univa perfino al sistema delle cose inanimate: l’acqua del fiume, del lago o del mare. L’aria da respirare. Le rocce e le pietre da costruzione. Il carbone per scaldarsi. Era un circolo che coinvolgeva in ogni aspetto della vita tutte le componenti del mondo che si aveva attorno. E che lo vedevi da dove venivano. Quel mondo attorno che si fermava molto presto, senza andare troppo in là, verso mete inesplorate. Era un mondo che già da quel che trovavi attorno a te, ti forniva tutto quello di cui avevi bisogno per vivere. Per isolare le case dal caldo e dal freddo, per accendere un fuoco e scaldarla, per mangiare cose buone e sane, per essere felice con le cose semplici. Tante di quelle che tanto fatichiamo a trovare oggi.



Certo, non vuol essere questo un pianto antico in memoria di un mondo mitico perduto in cui tutto era meglio. Non voglio dire questo. Oggigiorno abbiamo più salute, più cultura, più conoscenza, più comodità, un mondo in più di possibilità, viviamo pi a lungo. Ma viviamo davvero meglio? Forse vale davvero la pena farsi questa domanda. Forse dovremmo sforzarci e fare il possibile per recuperare quanto di buono ci siamo lasciati alle spalle, senza nemmeno pensarci troppo. Accecati da una luce che progresso, in realtà, non é. Forse vale la pena ricordarsi che non si raggiunge mai la perfezione, che si può solo tendere ad essa. E che questa tensione nessuno ci dice che vada sempre e necessariamente in avanti. Forse é bene mantenere gli occhi aperti anche sulla memoria, per vedere se ci siamo davvero lasciati sfuggire tra le dita qualcosa di importante.

Era un mondo in cui gli anziani non erano vecchi, avevano solo vissuto più degli altri. E per questo avevano da insegnare. Tanto da insegnare. Erano venerabili, figure rispettate e guardate dai più piccoli con la reverenza di chi ha visto il mondo dritto negli occhi. Era anche un mondo che lasciava i ragazzi entrarci dentro senza nemmeno pensarci troppo, senza troppe difficoltà dopotutto.




Quella era la terra cui si apparteneva. Su cui si era cresciuti. Quella che si conosceva. Quella che ti teneva a doppio filo legato ad essa. Quella da cui dipendevi e che da te dipendeva. Lo scenario di vita della propria comunità, chiamata così perché quel qualcosa che si aveva in comune era proprio la terra. Quella era la terra che si rimpiangeva, a dover partire. Perché simboleggiava tutto, simboleggiava la vita stessa. Eri tu. Era la terra che uno ricordava con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi a guardare all’infinito e l’anima persa. Era quella terra che assumeva una dimensione trascendentale e poetica, senza per questo essere fallacemente o  smodatamente caricaturata. Era la tua terra.

Oggi, la tua terra, non c’é più. Oggi la tua terra é la Terra. Oggi siamo cittadini del Mondo, per necessità e per virtù. Se oggi la lasciamo siamo pressoché certi di poterci tornare altrettanto facilmente; il distacco non é così duro perché avviene solo a livello fisico. Grazie alle tecnologie di comunicazione, sì. Ma forse anche perché di tutto il resto é rimasto ben poco. Certo, rimane quel pizzico di nostalgia, ma non ti sai nemmeno spiegare più il perché tante volte. Tante volte sembrano futili motivi, dopotutto. Inutili piagnistei destinati a morire col tempo. In realtà abbiamo radicato qualcosa nel profondo che nemmeno sappiamo, qualcosa che deriva dai giorni antichi in cui i nostri piedi camminavano a contatto con la nostra terra. Non ci scivolavano sopra.

È inutile dire qual é il trattamento che oggigiorno le stiamo riservando. È inutile dire che la guardiamo come si guarda una puttana, più che una madre. È inutile menzionare la mancanza di rispetto, la mancanza di conoscenza, l’assenza di dignità che le riserviamo ogni giorno. È desolante vedere come tutto questo sia accaduto così velocemente, nello spazio di appena due generazioni. E quanta poca attenzione riceva ogni giorno da parte nostra o di chi decide quello che ci deve importare. È arrivato il momento per sentirsi responsabili anche, e soprattutto, di lei, della nostra terra. Ognuno di noi, della sua terra. Tutti, della nostra Terra.




Si deve passare attraverso la riscoperta delle proprie radici. La cultura che ci lasciamo alle spalle e che ci abbandonerà presto, coi nostri nonni. Facciamocela raccontare. Tramandiamola ai nostri figli. Scriviamola nei libri e che non ne vada persa nemmeno una briciola. Non guardiamoli con accondiscendenza quando ci raccontano i loro aneddoti, perché sono forse una delle cose più preziose che ci siano rimaste. Non consideriamole solo storielle. Dobbiamo goderne come di racconti di altri tempi sì, con quel sapore agrodolce che hanno, tra il nostalgico e il divertito. Ma dobbiamo anche saper leggere tra le righe la loro vera saggezza. Il messaggio è in codice. È una caccia al tesoro, il tesoro di quella saggezza popolare che gli consentiva di vivere in armonia e in equilibrio con la loro terra. Che rendeva il loro mondo ecologico e sostenibile molto prima ancora che questi termini diventassero di uso comune.




Abbiamo il grandissimo vantaggio di anni di progresso vero. Di una maggior conoscenza dei problemi e delle loro cause. Di milioni di nuove soluzioni che ci aiuteranno a risolverli. E di un incessabile e incredibile qualità: l’intelletto umano. Quello che ci spinge alla conoscenza. Quello che ci spinge a ingegnarci per risolvere i problemi. Lo stesso che ci grida forte ora che non ha senso perdere qualcosa tanto importante così, senza batter ciglio.


Pensiamoci noi.



Buon anno a tutti, e che possa portarci la saggezza di cui abbiamo tanto bisogno.









3 commenti:

  1. ..quest'anno è iniziato con una specie di coltre cupa su tutto.. Mi pare di avvertire un senso di inquietuine, la puzza dell'ambizione che si affanna a scavarsi un varco, l'ansia di ottenere tanto, il terrore di perdere tutto..

    ..forse se partissimo davvero dalla terra, sarebbe più facile fare ordine e rigerarchizzare le priorità e perfino la crisi, che tanto ci atterrisce impedendoci di gioire veemente per un nuovo anno che la vita ci regala, perfino l crisi non farebbe poi così paura.. e la cura di questa terra, l'intero ecosistema, ripartirebbero dal senso di comunità..

    un felice felice 2012, l'augurio è di continuare a perseguire i tuoi intenti e soprattutto godere sempre e appieno delle tue priorità!

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  2. ...Ricordo che erano i tempi delle scuole elementari e c'era un vasto terreno poco distante da casa mia. Mio nonno ne possedeva una parte e io mi recavo insieme a lui in estate e lo osservavo mentre coltivava la sua terra. Anche io mi divertivo ad aiutarlo e a raccogliere i frutti che gli alberi offrivano. Li vicino c'era una vecchia casa di campagna, ricordo ancora l'odore particolare che si poteva avvertire appena entrati in quella casa...un odore che oggi non riesco più a sentire da nessuna parte...solo nei miei ricordi. Capitava spesso che la sera, attorno a quella casa, gli anziani si radunassero semplicemente per stare insieme. Sono passati solo 20 anni e oggi al posto di quei campi e di quella casa c'è la zona industriale della mia città, industrie, magazzini e strade. Cemento ovunque...e anche io sono finita per trovare lavoro all'interno di uno di quegli edifici di cemento che come tutti gli altri oggi fa fatica ad andare avanti...Col senno di poi forse quei campi non erano poi così male e a volte penso a quanto sarebbe bello averli ancora davanti agli occhi. Forse i nostri ricordi e quelli dei nostri genitori e dei nostri nonni potrebbero esserci d'aiuto in un momento complesso come quello che stiamo vivendo oggi. Forse dovremmo ripartire proprio da qui.

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  3. È una consapevolezza sempre più diffusa, quella di dovere fare un passo indietro nel tempo per tante cose. Perché prima di tutto ci stiamo perdendo tanto (vedi bambini che credono che i polli nascano nei supermercati già imballati) ma anche perché se qualcuno staccasse davvero la spina dobbiamo sapere come reagire ed essere pronti a farlo. La cosa bella è che anche nelle città ormai si fanno sempre più strada gli orti urbani :-)

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