mercoledì 4 giugno 2014

Il tempo del tutto e del nulla

Il senso di questo articolo

Penso che il problema più grosso che abbiamo in Italia oggi sia la deriva culturale. Da una parte chi per capacità potrebbe rappresentare una guida di spessore e arricchire gli altri vede presto sprecati i propri sforzi per disinteresse degli interlocutori; per cui presto abdica al suo ruolo sociale, peraltro non scelto ma conseguente alle proprie capacità. Dall'altro la stragrande maggioranza delle persone è distratta dalle questioni che contano veramente, cioè quelle che in un modo o nell'altro determinano la qualità della loro vita. Troppo spesso si preferisce il futile e l’inutile alla cultura e all'impegno civile, gli slogan all'analisi seria, la faciloneria alla serietà.

In questo clima - ricordandoci che in democrazia ogni voto vale uno - è chiaro che l’espressione della maggioranza spesso non sia la più qualificata ad amministrare la società e a prendere le decisioni per tutti. Non è un problema della democrazia, ribadisco, è un problema di abbruttimento culturale. La cultura dominante tende continuamente al ribasso. Per cui sia la classe dirigente che quella politica, non essendo altro che uno specchio della società che rappresentano, non possono fare altrimenti.

Quale soluzione? Non esiste la pillolina magica indolore, bisogna impegnarsi a restituire alla cultura l’importanza che merita, riscattandola da decenni di denigrazione pubblica che in alcuni casi sfiora il disprezzo. Uscire dai luoghi comuni fasulli e dare applicazione reale a tutto questo, recuperando lo spirito civico e l’impegno in prima persona. Iniziare a percorrere la lunga e difficile strada che conduce al rinnovamento non del vertice della piramide, ma dell’intera base. Un percorso tortuoso e mai finito di costante autocritica, l’unico a mio avviso in grado di condurci a risultati duraturi. Tutto il resto temo sia destinato ad essere una speranza passeggera, più o meno infondata.

Qui sotto qualche riflessione più articolata.




NUBI DI IERI SUL NOSTRO DOMANI ODIERNO (cit.)

Nel commentare la debacle della sinistra (più o meno) radicale alle elezioni politiche del 2013 (Il pedone e il giocatore di scacchi), mi chiedevo come fosse possibile che praticamente uno su tre di quelli che erano andati a votare si fossero lasciati abbindolare ancora una volta dalle promesse farlocche del  signor Berlusconi. Mi chiedevo anche come mai tanti altri non capissero che fossero l’iniquità nella distribuzione delle risorse, l’ingiustizia sociale, la mancata presenza di un senso civico contrapposto al mero opportunismo le maggiori cause della triste situazione in cui versa il nostro Paese. Ma soprattutto, in tutto questo, mi interrogavo sul ruolo dei cosiddetti intellettuali di sinistra. Ossia quella schiera di studiosi e sagaci osservatori della realtà che, dall'alto della propria invidiabile cultura, certamente sarebbero in grado di aiutare molti a districarsi nella giungla dell’analisi politica. Nonostante tutto, spesso e volentieri queste persone faticano a scendere a parlare al mondo dei comuni mortali, nella loro lingua. Come se non li riguardasse, come se non fosse compito loro. Come se fossero vinti da un’atavica pigrizia a sporcarsi le mani con l’uomo medio, a sostenere 1'000 volte e altre 1'000 ancora la stessa, stucchevole e magari inutile, conversazione. Non per convincere, ma per far luce su aspetti fino a quel momento magari sconosciuti, per aiutare a riflettere. Perché mi chiedevo tutto questo? Semplice: perché in democrazia ogni voto vale quanto l’altro. Il voto degli illuminati vale esattamente quanto quello dell’uomo della strada, dell’incolto e dello zoticone. Per cui questi signori dalla ampie vedute non possono venir meno a una funzione sociale di cui nessuno li ha investiti, ma che nonostante tutto hanno la responsabilità (e l’onore) di ricoprire, certamente in gran parte per meriti propri. Nel non farlo erano proprio loro a permettere la debacle di quella rappresentanza cui appartengono, che più di altre rifugge l’analisi spicciola per abbracciare invece vedute ad ampio raggio nel tempo e nello spazio. E che proprio per questo ha bisogno di una costante e infaticabile azione di diffusione e divulgazione, informativa e riflessiva. In alternativa vince il populismo e la demagogia, ammesso che esista ancora qualcosa che non lo sia in politica.

Di tutto questo mi lamentavo allora e, a un anno ed una tornata elettorale di distanza, posso osservare che nella sostanza nulla è cambiato, ma che forse qualcosa in più si muove. Siamo sempre di fronte ad un’occasione da cogliere per mettere in pratica quel cambiamento impellente che richiede una partecipazione informata di tutti alla cosa pubblica. Siamo sempre ad aspettare che, ognuno per sé, si capisca che fare politica non significa né candidarsi né mettere una X di tanto in tanto, ma parlare, discutere, ragionare, ascoltare, capire e riflettere assieme. Che far politica è un atto quotidiano di partecipazione civile che spetta a tutti. Nel frattempo qualche intellettuale la faccia ce l’ha messa, e il progetto della lista civica della sinistra radicale si è ripetuto prendendo qualche voto in più. Son cose che fanno ben sperare, ma non basta.

Capiamoci. Il problema non è poi dei singoli, è della società. Una società distratta e senza fiato, che arriva alla sera sfiancata da lavori ingrati e spesso alienanti, che non vuole ragionare di massimi sistemi perché ha già abbastanza problemi ogni giorno per sbarcare il lunario. Che per la testa di questioni pratiche da risolvere ne ha già tante ed è abituata a delegare qualsiasi cosa trascenda la propria individualità. È lo scacco matto alla partecipazione. È questa la società settaria del disinteresse per i beni pubblici e per la cultura “che non si mangia”. È questa la società della mancanza di civismo e compassione, del cinismo e del parassitare. È il paese che ha paura di guardarsi allo specchio perché ha vergogna di quello che potrebbe vedere. Molto meglio nutrirsi dei sogni degli altri che provare a seguire i propri, il rischio è quello di fallire.

Certo, è la società intera a doversi sollevare, a invertire una marcia debosciante ed abbruttente che dura da fin troppo tempo. Ma la società è fatta dai singoli, per cui se non sono loro in primis ad abbracciare il cambio di rotta, a condividere il proprio coraggio con gli altri trovandovi una sponda (magari inattesa), a sostenersi gli uni con gli altri amplificando la propria voce fino a diventare una marea che tutto travolge... allora non si vede come le cose possano migliorare. Migliorare certo, cambiare non basta. Sempre che interessi a qualcuno.


RUMORE

Un problema grosso da risolvere è che pare essere scomparso il concetto di importanza relativa. Ogni giorno affoghiamo nel calderone dell’era dell’informazione e della controinformazione senza sapere che direzione prendere. Siamo saturi di tutto e del contrario di tutto e rischiamo di rimanerci invischiati come a nuotare in un barattolo di miele. Servirebbe una guida. Si da il caso che l’evoluzione ci abbia dotato di uno strumento straordinario per orientarci, uno strumento spesso dimenticato che ha dimora tra le nostre orecchie: il cervello. È l’uso della ragione e della critica costante che potrebbe guidarci meglio di qualsiasi altra cosa attraverso il labirinto del web e del mondo globalizzato a portata di click. È il rimanere attivamente coinvolti nel ricercare l’informazione che ci serve a rappresentare oggi la vera possibilità di rivoluzione del pensiero, al di là del supporto tecnologico che di per sé non è che uno strumento.

Attivamente coinvolti, non passivamente recettivi di qualsiasi contenuto sia bombardato in nostra direzione... In questo il web offre sicuramente possibilità nuove di interagire coi contenuti, molto più della scatola magica televisiva che rappresentava (e tuttora rappresenta) semplicemente il veicolo di un pacchetto preconfezionato sparato contro l’homus da divanum a riempire lo spazio tra le orecchie di cui sopra. Ma di per sé il web non salva nulla. Pur offrendo per definizione più spazio alla selezione critica dei contenuti, e persino alla loro creazione, è uno strumento anche quello e va usato bene.

Ecco perché penso che uno problema grossissimo della società di oggi sia la perdita delle priorità. Lo spazio cerebrale viene riempito egualmente da cagnolini che abbaiano o gattini che tirano la catena del wc, di nani e ballerine, casi umani e fenomeni da baraccone che aspirano ai loro 5 minuti di celebrità, di tette culi e pornografia spicciola, di gente che altro merito non ha se non di potersi comprare fama e rispetto, dell’infotainment strabordante di politici che non si sa dove in effetti trovino il tempo per fare gli amministratori pubblici, dell’uomo della strada che grida compiaciuto e con la bava alla bocca contro tutto e tutti che così non va e nonsipuòandareavanticosì... mi scuserete per il qualunquismo, ma di qualunquismo si tratta. Qualunque cosa ci diano, ce la ingoiamo senza chiederci se abbiamo fame o no, e di che cosa. Si perdono le priorità, non si capisce più cosa abbia importanza e cosa no, a cosa vale la pena dedicare le proprie (limitate) energie, di cosa dispiacersi e di cosa no, dove interessarsi e dove tralasciare, dove cambiare canale e dove alzare il volume. Ed è una tragedia. Anzi, una traggedia (rafforzativo). Perché questa dispersione di attenzione, di risorse cerebrali, di interesse e di azione fa esattamente il gioco di un sistema che della partecipazione non se ne fa nulla, anzi. Un sistema che vuole solo creare l’illusione della partecipazione, per poi distrarre dalle questioni principali dirottando le energie sul futile e sul del tutto inutile, continuando ad occuparsi di ciò che conta per davvero nei club privati più o meno esclusivi.

Esiste un antidoto a tutto ciò? No. Ma c’è una strada faticosa e lunga da percorrere che varrebbe la pena iniziare ad imboccare: quella della cultura e del dialogo. Non dell’indottrinamento e delle urla. Quella che legge e riflette per mettere in fila quello che ha imparato; quella che prima di parlare ascolta; quella che rimane vigile, sempre, nel farsi domande e nell'usare il proprio raziocinio per rispondere; quella che stabilisce delle priorità e le segue; quella che guarda lontano e si lascia scivolare addosso lo stucchevole e volgare teatrino che ogni giorno ci bombarda per renderci pecore; quella che non ha paura di esprimere un dissenso costruttivo e che ha la forza di mantenere le proprie posizioni, ma solo finché ragionando su elementi nuovi non cambierà idea o non avrà altri elementi da aggiungere. È una strada da insegnare ai nostri bambini e ai nostri ragazzi, certo, ma da far scoprire anche agli adulti e a chi oggi regge in piedi il mondo. È una stradina scivolosa e tortuosa da fare con umiltà e coraggio, ma non ne conosco di migliori da percorrere.

Non mi resta che augurare a tutti i naviganti buon viaggio.





Nessun commento:

Posta un commento