sabato 14 dicembre 2013

Tutta la luce che illumina il giorno, un tempo dormiva in un punto solo

La luce, lo sappiamo, si propaga in linea retta. Pensate ai raggi che entrano dalla finestra di una stanza in penombra, così ben definiti. A guardare una sorgente luminosa da lontano, essa ci apparirà quindi come un punto brillante che irraggia luce in ogni direzione dello spazio. Come una stella. Guardarla direttamente fa quasi male agli occhi, guardare la sua luce allontanarsi invece è più facile. Questo perché i raggi tendono a divergere gli uni dagli altri, disperdendosi. Per cui mano a mano che ci allontaniamo dalla sorgente, la luce è sempre meno concentrata. È come quando si soffia dentro ad un palloncino su cui sono stati disegnati dei puntini. Quanto più si gonfia, tanto più i puntini si allontanano tra di loro.



Ora ribaltiamo il nostro punto di vista. Pensiamo di voler raccogliere la luce che ci arriva da quella stella. Più che rincorrere ogni raggio di luce mentre scappa nella sua direzione, perché non pensare di catturarla all'origine? Come? Avvolgendo la fonte in qualcosa di sferico, una sorta di retino caccia-luce. Quanto grande? Dipende da quanto siamo lontani dal centro. Più ci avviciniamo al nucleo infatti, al cuore pulsante della stella, e più potremo ridurre le dimensioni del nostro retino visto che l’energia è tutta lì, non si è ancora dispersa. Posto che il nostro retino resista a quell'intensità energetica, si farebbe peraltro molta meno fatica che ad averne uno gigantesco che avvolga la stella intera.

Problem busters
È un po’ quello che succede con i problemi. Poniamo di avere 1’000 problemi da risolvere. Se ci accorgiamo che in realtà questi derivano da una causa comune, non ha senso risolverli uno a uno. Nè ha senso aspettare che si ingigantiscano o si disperdano, prima di fare qualcosa. Per essere davvero efficaci, bisognerebbe invece andare quanto prima alla causa comune e cercare risolverli tutti una volta per tutte.
D'altronde è banale, semplice logica. Eppure lo dimentichiamo, continuamente. Lo facciamo tendenzialmente perché confondiamo la causa con l’effetto, la fonte di energia con la forma in cui questa si propaga, l’idea con la sua realizzazione. Pensiamo che la lampadina accesa e la luce che emana siano la stessa cosa. Non lo sono.  E allora diamo la caccia col nostro retino ad ogni singolo problema come se fosse in sé una causa primaria, mentre in realtà non è che l’effetto di una causa più profonda e per questo meno visibile. Soprattutto ad occhi superficiali. Soprattutto ad occhi distratti.
Succede quindi che per risolverli tutti, quei 1’000 problemi, dobbiamo spendere 1’000 volte energia. Talmente tanta che spesso lasciamo perdere. Magari usiamo perfino 1’000 retini diversi. Il tutto mentre la loro causa profonda – irrisolta – continua a pulsare, a irraggiare e a crearne altri – di problemi – che noi torneremo a cacciare come sempre. “Problemi irrisolvibili”, ci diciamo allora. Oppure: “Ce ne sono troppi, da dove iniziare?” Oppure ancora, “Ne arriverà comunque un altro, tanto vale evitare di dannarci a risolvere questo”. E loro, nel frattempo, restano lì a tormentarci. È evidente che si capisse che esiste, e dove sta, una causa comune sarebbe tutto molto più semplice.
Perché a volte non immaginiamo nemmeno che esista. Altre volte, pur intuendo che debba esserci un nucleo che irraggia da qualche parte, non riusciamo a trovarlo. Magari cerchiamo nella direzione sbagliata. O seguiamo percorsi troppo tortuosi anche se, l’abbiamo detto, i raggi di luce viaggiano in linea retta. Per cui osservando dove si incrociano ci sono buone possibilità di trovarne la fonte. E se funzionasse così anche con i problemi?

Geometria conoscitiva
Pensiamo di stare su di una sfera immaginaria, la sfera delle questioni irrisolte. Una sfera fatta di tutti i problemi che ci tormentano, come puntini sulla superficie collegati tra loro da una rete. Sforziamoci di conoscerla, questa rete, di tessere le relazioni tra una questione e l’altra in modo da contestualizzare, da relativizzare, da associare e dissociare, da mettere in prospettiva. Ma non fermiamoci lì. Ogni questione irrisolta è infatti collegata alla sua causa profonda, quella che sta al centro della sfera. Il nucleo pulsante di ogni questione, che si materializza in mille forme diverse nel suo irradiare problemi come raggi di luce. Ognuno dei quali diventa un puntino sulla superficie della sfera, nel suo propagarsi. Proprio come una stella. Chiaramente, lo avrete capito, è uno schema molto semplificato, ma funziona. Possiamo pensare a diversi livelli di aggregazione, passando da un problema ben concreto su cui indagheremo più in dettaglio fino alle questioni fondamentali che tratteremo in maniera necessariamente più generica. A volerla complicare di più, si tratta in realtà sempre di sfere nelle sfere. Sfere più piccole contenute in quelle più grandi. Ma lasciamo perdere per il momento. Quello che ci interessa veramente ora è di unire tutti i puntini con il centro della sfera, con la loro causa profonda. Quella che poi, l’abbiamo detto, laggiù tende a essere la stessa per tutti. Perché ci interessa? Beh, ma è molto semplice: per costruire un retino abbastanza resistente da poterla ingabbiare, quella causa, il più possibile vicino all'origine.

Il menù del giorno
Oggi viviamo costantemente immersi in una miriade di problemi che ci angosciano e non ci lasciano tregua. Basta accendere la tv per saperlo (è solo un esempio, in realtà non fatelo per favore). Crisi, disoccupazione giovanile, aziende che chiudono, tasse che aumentano. E poi guerre, terroristi, delinquenti e degrado urbano. E poi frane e alluvioni, i morti e i feriti, le emergenze continue. E il governo che non fa, la politica che non rappresenta, l’economia che non va. E poi ancora l’ambiente, il cambio climatico, la deforestazione e tutto il resto. Tutti temi importanti. Tutti difficili da risolvere. Quanti soldi – ci chiediamo –  quante risorse, quanta volontà politica servirebbe per tappare tutte queste falle? Che poi ognuno ha la sua idea sul come fare. E magari poi va a finire che per una che ne tappi ne saltano fuori altre 10. Eccoci caduti nella solita spirale di disperazione inconcludente...

Proviamo però a tracciare la nostra mappa conoscitiva. La nostra rete sferica. Ci accorgeremo presto, relativamente presto, che si evidenzia un centro comune a tutte queste questioni. Un nucleo da cui propaga e si espande tutto quello di cui veniamo continuamente bombardati. Un nucleo che è rappresentato dal nostro sistema socio-culturale, ossia l’insieme delle leggi e convenzioni umane su cui abbiamo basato la nostra società. In altre parole: quello a cui diamo importanza, e quello a cui non ne diamo, senza nemmeno sapere il perché.
Perché (ad esempio) si lavora sempre di più, anche quando ormai ci si riesce a garantire la copertura delle proprie necessità, a scapito del tempo libero? Passare tempo con la famiglia e gli amici, attività ricreative e rilassanti, culturali... perché sembra non esserci mai tempo per queste cose? Sembra stupido anche solo farsela, una domanda del genere: la risposta è talmente ovvia! “Perché bisogna lavorare”. E se si diventa bravi e serve meno tempo per fare la stessa cosa non vuol dire che si può lavorare meno tempo, vuol dire che si potrà – a conti fatti – lavorare di più nello stesso tempo. È solo un esempio, piuttosto attuale, ma solo un esempio. Viviamo costantemente immersi in tutto questo, da sempre. Convenzioni sociali e leggi umane. Tutte create da noi. Non ce ne accorgiamo nemmeno più, tanto che è davvero difficile metterle in discussione. Sono i fondamenti della nostra civiltà, quelli da cui tutto il sistema in cui siamo nati e cresciuti dipende. Per immaginare alternative serve un notevole capacità di astrazione. E serve conoscenza. Eccoci al punto della questione: la conoscenza.

Fatti non foste a viver come bruti
Il fulcro irradiante di tutti maggiori i problemi che vediamo oggi è proprio il paradigma socio-culturale su cui si basa la nostra società. Il capitalismo cannibale, di cui il consumismo sfrenato e compulsivo non è che il braccio armato. Da lì nascono le guerre e la fame nel mondo. Da lì nascono povertà e ingiustizia sociale. Da lì nasce l’economia del saccheggio, quella che non è in grado di sostenersi sul lungo periodo. Da lì nasce la corruzione e l’inadeguatezza della classe politica, collusa con i poteri forti economici. Da lì nasce l’omologazione culturale e l’appiattimento, l’eradicazione delle diversità. E da lì nasce il più importante degli strumenti di controllo: l’ignoranza.

Come per ogni sistema dominante in ogni epoca storica infatti, anche quello odierno tende a preservare sé stesso, propagandosi nel tempo e nello spazio. Per farlo ha bisogno di propaganda, ha bisogno di supporters e tifosi ciechi. Gente che deve svolgere il compito che gli è stato assegnato senza avere una visione d’insieme, senza preoccuparsi del resto. Ingranaggio di una macchina perfetta, progettata dall'alto. Gente che deve conoscere solo il lato buono del sistema, rimanendo all'oscuro di tutto il resto. Ed eccovi servita l’ignoranza. Eccovi servita la distrazione. Eccovi servito il futile. Eccovi servita la sfera intricata dei 1’000 problemi apparentemente indipendenti da dover risolvere. Ma anche la matassa inestricabile delle preoccupazioni quotidiane che non ci lascia né tempo né modo di andare oltre, di giungere alla fonte. Quella che ci succhia ogni energia, rendendoci impossibile destinarne una parte men che minima a indagare questioni che vengono infatti percepite come secondarie, inutili perché lontane, troppo astratte. La fonte viene ignorata, perché non se ne conosce l’importanza. Laddove dovremmo concentrare le nostre energie per far crollare come un castello di carte il costrutto di tutti i nostri tormenti, lasciamo che siano sporadiche incursioni a farla da padrone, motivate più dalla noia o dal senso di colpa che altro. È così che la fonte si protegge. E continua a irraggiare su tutte le nostre vite.

La conoscenza è l’arma più potente che abbiamo a nostra disposizione per scardinare questo schema che ci vede subalterni. Per riacquisire la nostra dignità e tornare a decidere per noi stessi. Per il bene nostro e di tutta la comunità di persone a cui teniamo. Grande o piccola che essa sia. Conoscenza è tessere una rete solida che unisca i puntini sparsi sulla nostra sfera. E sapere che al tirare un filo ne seguono altri, mentre altri rimangono immobili. Ma è anche andare in profondità, verso la fonte, collegandovi ogni puntino. Dalla superficie al cuore, che è uno solo. Ed è lì che la conoscenza diventa coscienza. Ed è solo con la coscienza profonda che si conducono e si vincono le battaglie. È solo con una grande coscienza che si diventa forti nel portare avanti le proprie cause. 

È solo con la coscienza che si progredisce e si immaginano, poi si creano, le condizioni per un mondo migliore. 

Perché conoscere è sapere di potere.


martedì 23 luglio 2013

L’emergenza della vita sulla Terra

Una notte stellata, guardando il cielo. Quel silenzio che porta consiglio e aiuta la riflessione. Vi siete mai chiesti qual è il nostro ruolo in tutto questo? Vi siete mai sentiti piccoli e inutili, impotenti, di fronte alla vastità delle galassie e del cosmo? Avete mai provato quel senso di irritazione per il fatto che ci consideriamo così importanti, quando in realtà altro non siamo se non un insignificante puntino disperso in uno spazio senza limiti? È bello, è perfino utile a volte, provare questo senso di vertigine, aiuta a dare una prospettiva a tutto quello che facciamo. Personalmente, penso che tutto abbia un senso. Il fatto è che forse non dovremmo cercarlo a priori. Forse ce l’ha, ma è ancora nascosto. È lì, ma deve ancora sbocciare. Glielo darà poi la storia.

La storia, quel susseguirsi di puntini uno dietro all'altro in fila indiana, così piccoli e insignificanti a guardarli da vicino. Così meravigliosamente importanti e significativi a guardarli in successione, a vedere in che direzione puntano nel loro complesso. La storia é un po’ come la vita, ha senso solamente a guardarla dalla fine, all'indietro. Chi può infatti dire di conoscere la vita, o di comprenderla, a priori? Chi può dire che quell'ammasso di molecole, di elementi, di particelle che sono i mattoncini costitutivi della vita, abbia un qualsiasi senso per noi, se non osservando il risultato di miliardi di combinazioni andate a male e di altrettante andate bene, fino a formare il risultato compiuto e meraviglioso che abbiamo davanti agli occhi? Chi può interpretare gli avvenimenti in partenza? Chi comprende la prospettiva ultima che li definisce, o l’orizzonte temporale sconfinato sul quale agiscono? Dio, risponderà qualcuno; nessuno, risponderà qualcun altro. Non é questo il punto.

Per noi uomini, così limitati, non è possibile né forse lo sarà mai. Per noi, pur capaci di raggiungere vette cognitive ammirevoli, picchi filosofici e scientifici incredibili, c'è qualcosa che rimane necessariamente inesplorato e sempre lo rimarrà. Per noi, in grado di meravigliarci di fronte alla vastità e immensità dell’universo dentro e fuori di noi, in grado di porci domande eterne e senza risposta. Per noi che non ci rassegniamo alle frontiere che da sempre limitano la nostra conoscenza... per noi, in definitiva, non esiste altro che il qui e l’ora. Esiste quello che conosciamo in questo momento e le nostre azioni sono – spesso – guidate da questo tipo di sapienza, necessariamente e inesorabilmente limitata. Eppure, a guardarli con gli occhi del tempo, le nostre piccole azioni in fila indiana possono avere conseguenze inimmaginabili. Conseguenze che vedremo solo dopo, mai prima.

Perché è cosi che funziona l’intero universo. Funziona in base a leggi molto semplici, ma mai banali. Parrebbe, a guardarlo al microscopio, che funzioni in maniera meccanica, priva di intelletto o di scelte da compiere. Se in maniera orchestrata o del tutto casuale, dopotutto, non ci interessa. Il punto è che funziona in maniera molto semplice, ma su scale cosi enormi, nello spazio e nel tempo, che queste semplicissime leggi fisiche si sommano, si uniscono, si potenziano e generano l’inaspettato e l'inaspettabile. Emergono nuove proprietà ogni volta che saliamo di livello, ogni volta che la complessità del sistema aumenta. Ogni volta che cambiamo la lente e dal microscopio passiamo dapprima all'occhio e poi al telescopio nuovi mondi nascono, regolati da quelle che sembrano nuove leggi ma non lo sono. Cambia solo il modo in cui le interpretiamo, il modo in cui le capiamo. Il tutto non corrisponde mai alla la somma delle parti, c'è sempre qualcosa di più, un valore aggiunto. Si chiama emergenza: all'ampliare la prospettiva di osservazione, all'aggregare componenti e aumentare la complessità del sistema indagato emergono tratti inaspettati, comportamenti nuovi e imprevedibili. Succede con l’universo intero e con qualsiasi sistema complesso osserviamo; succede con la storia e persino con i sistemi creati dall'uomo come l’economia e la finanza; succede con la vita: è l’emergenza della vita, il sorgere di forme di vita sempre più complesse e splendidamente adattate al loro ambiente, partendo da mattoncini insignificanti e inanimati. È il meccanismo su cui appoggia l’evoluzione.

Ed è la bellezza della vita. La bellezza, ciò che noi interpretiamo come simmetria, come equilibrio, come armonia; ciò che vediamo come un fine, un qualcosa di prefissato da raggiungere, sta in realtà tutta qui. Sta nel fatto che nel tempo, in seguito a miliardi e miliardi di prove e di tentativi, le cose si sono infine evolute sino allo stadio in cui noi oggi le vediamo, le conosciamo, e che interpretiamo come bello proprio perché perfettamente adattato ed in sintonia col proprio ambiente. La bellezza dentro e fuori di noi è il risultato di miliardi di miliardi di puntini messi in fila, di prove andate più o meno a buon fine, di sbagli poi rimediati, fino a che un altro sistema migliore non è più possibile, per cui quello che esiste deve essere per forza armonioso, in equilibrio, perfetto. Bello. Non c'è un fine in tutto questo, ci sono regole molto semplici che si ripetono e ci conducono fino a dove siamo oggi. Siamo noi, poi, a cercarlo un fine in tutto questo. E spesso c'è, ma non è proprio là dove lo stavamo cercando. Ma questo si capisce solo dopo, mai prima.

E allora ha senso cercare di interpretare tutto questo a priori? Di fronte al mare di sconfinate possibilità, alle infinite rappresentazioni  che può assumere un evento davanti ai nostri occhi inesperti, ai miliardi di strade che può prendere la vita e la storia ad ogni singola frazione di secondo, come possiamo pretendere di intravvedere seppur per un istante l’orizzonte del tempo? Non possiamo vedere il futuro, ma possiamo imparare dal passato e vivere il presente. Il presente, uno appena di quei miliardi di puntini in successione perpetua che fanno la storia. Vivere il presente con cognizione di causa è tutto quello che possiamo fare, per poi – un giorno – voltarci all'indietro e capire la portata di quel puntino tracciato quasi per caso, capire dove effettivamente avrebbe diretto la storia, capirne il peso e l’importanza. Ma lì per lì, no. In questo siamo limitati, dobbiamo capirlo. Ma non per questo serve porci altri limiti. Perché non fare semplicemente il nostro, ciò che riteniamo in ogni momento la scelta migliore, la scelta più giusta, e aspettare poi di vedere come si combinerà inaspettatamente con i miliardi di miliardi di altre scelte simili lungo i meandri dello spazio e del tempo?

L’emergenza della vita sulla Terra significa la vita che nasce ogni giorno dalla successione degli eventi, dalle scelte che si fanno, dalle strade che si percorrono, senza che ce ne rendiamo conto. Ma anche, secondo un gioco di parole beffardo, il fatto che la vita sulla terra, oggi, è in uno stato di emergenza. Di eccezionale rischio e instabilità. Di straordinario pericolo. Ed è qui che nasce, infine, la questione della sostenibilità. Dobbiamo fare qualcosa per rendere il nostro mondo più sostenibile, aumentare le nostre probabilità di sopravvivere nel tempo assieme col nostro pianeta e tutto quanto ci circonda, visto che senza di esso non potremmo, in ogni caso. Ma attenzione: dobbiamo non perché lo decidiamo noi, ma perché non c'è altra scelta. Insostenibile non significa infatti moralmente o eticamente sbagliato, significa semplicemente che non può continuare, che lo vogliamo o no. Ma anche volendo, come potremmo farlo se in fin dei conti non riusciamo a vedere il futuro, non possiamo immaginare cosa succederà e non abbiamo in ogni caso il controllo sulle conseguenze profonde di ciò che facciamo? Se siamo così piccoli che ci sentiamo schiacciati a confrontarci con gli eventi? Se ci sentiamo insignificanti di fronte a problematiche globali e ad orizzonti sconfinati? Cosa potrebbe fare una singola persona come me, o un insignificante gruppo di persone come noi, di fronte a simili magnitudini?

Quando vi ponete queste domande, guardatevi allo specchio. Voi stessi siete la prova vivente dell’emergenza della vita sulla Terra. Se gli elettroni si chiedessero che differenza farebbe ruotare o no attorno ai nuclei degli atomi, se le molecole che avete all'interno del vostro corpo pensassero che dissociarsi per liberare energia all'interno delle cellule fosse inutile, se il cuore si chiedesse che senso abbia continuare a battere... voi oggi non sareste qui. Non potreste guardarvi allo specchio. Ognuno fa la sua parte nell'universo. E la fa, semplicemente, perché quello é il suo ruolo. Il cuore batte senza chiedersi il perché, perché è semplicemente quello fa per costituzione: batte. Perché i tessuti di cui si compone si contraggono e rilassano ritmicamente, così che lui non deve in realtà decidere nulla, ma per noi è fondamentale che lo faccia.

Noi siamo uomini, abbiamo il privilegio di poter ragionare, di poterci meravigliare, di poter tendere alla conoscenza, di poter decidere se agire o non agire. Questo è il nostro privilegio e questo è il nostro ruolo. Quello di avere un impatto sul nostro ambiente in molti modi diversi. Ma il nostro dovere é sempre lo stesso. Fare ciò che ci viene richiesto nelle circostanze in cui ci troviamo. E allora nel momento in cui vi guardate allo specchio pensate anche alle conseguenze di tutto quello che voi, e altri 7 miliardi di esseri simili a voi, stanno avendo su questo pianeta, su questo enorme sistema complesso che é la Terra, che assieme a noi ospita milioni di altre specie viventi e che vive secondo una grandezza che per noi risulta appena comprensibile. E smettete di pensare al fatto che qualsiasi vostra azione, in comparazione, possa essere insignificante. Semplicemente, agite. Fate come gli elettroni, come le molecole, come gli organi. Noi uomini ci interroghiamo, poi capiamo, poi agiamo. Non preoccupatevi di cosa verrà dopo, fate ciò che credete giusto. Muovete il vostro puntino di presente nella direzione che la vostra coscienza vi indicherà come giusto. Il resto seguirà, emergendo ancora una volta dalle righe della storia. E allora, ma solo allora, al girarvi all'indietro, comprenderete la potenza di quel gesto così insignificante. Comprenderete cosa, per davvero, voleva dire sostenibilità.

Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, di cui siete la prova vivente. Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, che vi spinge ad agire. Il resto, poi, verrà da sé. Nel momento in cui tu stesso sei la prova del successo, agire diventa un dovere per chiunque.





venerdì 12 luglio 2013

Pubblico qui la traduzione in italiano della prefazione alla mia tesi di dottorato, il cui tema è l'energia ondimotrice (quella delle onde del mare). Spero possa essere uno stimolo ad unire i puntini di quello che stiamo vivendo, nonché una fonte di determinazione a prendersi la propria parte di responsabilità.

* * *

Il Mondo dell’energia a buon mercato è finito

benvenuti in un futuro più luminoso

Sin dalla rivoluzione industriale del XIX secolo la fame del Mondo di energia a basso costo che potesse alimentare un’economia in continua crescita è aumentata a un ritmo costante. I combustibili fossili diventarono presto la nostra principale fonte di energia, essenzialmente per via di una densità energetica estremamente alta e della loro facilità di trasporto ed accumulo. La disponibilità di una simile fonte di energia in abbondanza permise la crescita esponenziale dell’economia e il progresso tecnologico nei cosiddetti paesi sviluppati. Allo stesso tempo, tuttavia, determinò a livello globale conseguenze negative di tipo ambientale, sociale e politico, che sono state ampiamente sottovalutate per molti decenni. Tra di esse le più evidenti sono forse l’esaurimento delle risorse, l’inquinamento, la diseguaglianza e instabilità geo-politica; tutte comunque radicate profondamente nel paradigma consumista e nella sottostante ipotesi della possibilità di una economia in perpetua crescita, alla quale l’era dell’abbondanza di combustibili fossili ha abituato tutti noi. Con la crisi sistemica che il Mondo occidentale sta attualmente affrontando, è diventato evidente che questo tipo di paradigma è vecchio e ha bisogno di essere aggiornato.

Le energie rinnovabili non rappresentano solo una nuova forma di energia, ma rappresentano il necessario cambio di approccio richiesto all'umanità nei confronti del proprio ambiente.

Essendo molto meno dense energeticamente, più difficili da immagazzinare e fortemente connesse nella loro disponibilità alle condizioni geografiche locali, la loro implementazione richiede un diverso tipo di infrastruttura. Ci si dovrà evolvere da un sistema centralizzato, dall'alto verso il basso, a un sistema distribuito più democratico e flessibile, riflettendo lo sviluppo dei nostri modelli sociali nell'era di internet. Saranno necessarie reti intelligenti locali che garantiscano una più efficiente e dinamica coordinazione tra la fornitura e la domanda di energia, ma anche super-reti in grado di promuovere la cooperazione tra diverse regioni geografiche e in grado di fornire in modo dinamico un cuscinetto di energia, qualora richiesta. I trasporti dovranno essere ridotti drasticamente, evolvendo verso sistemi di trasporto collettivi e tendenzialmente elettrici. In generale, si dovranno sviluppare e introdurre tecnologie più efficienti.

Ma a parte il pur necessario adattamento delle infrastrutture e gli avanzamenti tecnologici richiesti, la più grande sfida di una transizione verso un Mondo più sostenibile sta probabilmente nella necessità di evolvere delle persone e delle politiche, di sviluppare una diversa mentalità e una diversa attitudine nei confronti della realtà. Le energie rinnovabili sono un flusso, non un accumulo di energia; ciò costringerà la società a tornare in uno stato di equilibrio dinamico con la natura e con il proprio ambiente, in accordo coi limiti della fisica più che quelli della propria immaginazione o stabiliti da “leggi umane”. Il Mondo intero dovrà presto affrontare la necessità di consumare meno energia, consegnando alla storia il concetto di crescita perpetua e le tendenze esponenziali che hanno caratterizzato la nostra società per decenni.

Tutto questo dispiegherà una serie di cambiamenti sociali e politici che sono ora troppo lontani da potersi interamente immaginare. In ogni caso, è probabile che abbia luogo una profonda ri-localizzazione dell’economia globalizzata, implicando un diverso equilibrio tra aree urbane e rurali, la riprogettazione del sistema di produzione e distribuzione di beni e cibo, nonché un più efficace sistema di gestione delle risorse. Anche il sistema economico e finanziario richiederà una riforma sostanziale e il comportamento stesso delle persone dovrà evolvere in accordo con la nuova realtà. Alla fine, potrebbe persino emergere una nuova concezione rispetto a come gestire la società e degli obbiettivi fondamentali che essa si prefigge.


Le energie rinnovabili incorporano ognuna e tutte queste sfide. Ignorarlo sarebbe dannoso non solo per il loro sviluppo e la loro implementazione, ma per la futura prosperità della nostra società. Potranno rappresentare un qualcosa di tecnico per molti; per me, rappresentano una precisa responsabilità politica di chiunque viva il nostro tempo.


Stefano Parmeggiani




lunedì 25 febbraio 2013

Il pedone e il giocatore di scacchi


Questa sera non so cosa pensare. Sarebbe facile saperlo, ma non lo voglio fare. Sarebbe facile pensare “italiani coglioni”. Giá fatto... non porta da nessuna parte, non é né giusto né costruttivo. Sarebbe facile pensare “avete sbagliato tutto”... lo fanno in tanti, si...ma poi? Sarebbe facile pensare “me ne vado”. Giá fatto, ma ignorare il problema non fa che amplificare la questione. In definitiva, sarebbe facile sentirsi un osservatore del problema, piú che una parte integrante di esso.

Ieri mentre mettevo quelle due croci da analfabeta l’ho fatto con una coscienza precisa, avevo una speranza. La mia speranza andava oltre la sensazione diffusa che qualcosa stesse cambiando, andava oltre: era un atto di volontá. Volontá che qualcosa cambiasse. Era la speranza che potessimo ricordarci del nostro passato per interpretare a dovere il presente. E per immaginare il futuro. Era la speranza che le coscienze tutte degli italiani si fossero finalmente messe in moto, avessero per una volta acceso i sensori a indicargli la strada da dove venivano, la stessa sulla quale non si doveva tornare. La sensazione, questa sera, é che mi ero sbagliato. Non so se sia effettivamente cosí, la storia si interpreta solo a posteriori. In momenti come questi mi sento semplicemente un pedone sulla tavola degli scacchi, quelli che avanzano solo dritto, una casella alla volta, senza poter tornare indietro. Il giocatore di scacchi invece vede tutto dall’alto. Ha una tattica in mente, ha delle prospettive, combina nella sua mente tante pedine e conosce in anticipo la strategia dell’avversario. La storia, giocatore esperto, come al solito seguirá il suo corso. E come sempre sará soprendente capire in che modo aveva ragione lei. Potrebbe pure non sembrare, ma si stanno scatenando eventi che vanno al di lá della nostra comprensione. Il classico battito di ali di farfalla. E infatti non sembra. Ma io non sono un giocatore di scacchi, sono un semplice pedone.

E allora l’unica cosa che penso, questa sera, é che ho sbagliato tutto. E hanno sbagliato, come me, tutti quelli uguali a me. Tutti quelli che questa sera non sanno che cosa pensare, tutti quelli che una spiegazione proprio non la riescono a trovare. Tramortiti, attoniti, scossi. Hanno sbagliato gli intellettuali, i critici, quelli della sinistra, la sinistra vera. Hanno sbagliato quelli che si ritengono al di sopra delle bassezze, quelli che cercano la veritá con sincera dedizione, che rifuggono come la peste le facilonerie e le lusinghe elettorali, quelli che non ci stanno a sporcarsi le mani per giocare nel fango. Mi ci metto dentro anche io, in pieno. Abbiamo sbagliato. E non perché non avessimo ragione, ne sono ancora fermamente convinto. Abbiamo sbagliato perché questo non é il paese in cui vivamo. E lasciamo stare tutti i discorsi sull’italiano medio, su chi si informa solo attraverso la tv, su chi non ha capacitá critica e su chi non usa la testa se non per riempire lo spazio tra le orecchie. Lasciamo perdere tutti questi discorsi perché qui non si tratta di criticare, ma di assumersi le proprie responsabilitá. L’unica cosa che possiamo fare. L’unica cosa che in questo momento dipende davvero da noi.

Chiediamoci: com’é possibile che sia andata ancora cosí? Lo snobbavamo, lo davamo per finito, dicevamo che “gli italiani hanno imparato”... parlare al vento, senza parlare con gli italiani. Pensare che gli italiani votano con la pancia piú che con la testa senza cercare di farli ragionare per non farlo... é ancora piú grave che farlo noi stessi. Questo é il paese in cui viviamo. Questa é la gente che ci sta attorno. Questa é la NOSTRA gente. Questi SIAMO NOI. E come al solito, noi si ha quello che ci si merita. Prima di tutto: conoscere il problema.
La sinistra intellettuale é morta, ancora una volta. Dissanguata. Lacerata da un senso di superioritá misto ad una scarsa aderenza col mondo reale. Misto, verrebbe proprio da dirlo, a una mancanza di impegno politico. É morta per non parlare alla gente che vota con la pancia. É morta per non mettersi a discutere con loro. É morta per non cercare di far ragionare chi urla. É morta per non spiegare le cose come stanno davvero. É morta per non riuscire a farle capire alla gente. É morta per non volersi abbassare nel fango del dibattito politico di oggi, per non volersi sporcare le mani a raccogliere quell’asticella che in piú di 20 anni ormai é al livello fecale del suolo... perché solo cosí sarebbe stata in grado di tornare ad alzarla lá dove le compete stare. Con estrema umiltá e coraggio. Secondo: saper rispondere al problema. Parlare la lingua delle persone vere, anche se senza lusingarle e prenderle in giro sicuramente é piú difficile che ti ascoltino. Ma provarci.

Ecco dove sta la responsabilitá politica di ognuno di noi, militante o no. Politica é impegnarsi in prima persona. Fare divulgazione, parlare a chiunque, diffondere una coscienza critica, crescere insieme al tuo interlocutore in un dialogo costruttivo... tutto questo é un atto politico profondamente importante. Cosí come lo é – di segno contrario – il ritenersi al di sopra del problema, nella propria torre d’avorio lastricata di snobbismo a guardare il mondo dall’alto. Consapevoli, nella propria dignitá minoritaria, di avere la veritá in tasca e la protesta in ogni caso assicurata.

Forse non capiró mai come si legge una partita a scacchi, ma la responsabilitá di avanzare nella mia direzione stasera la sento forte. E come me, dovrebbero sentirla in tanti. Forse non staremmo qui a guardarci negli occhi sconvolti, stasera. Forse non ci sarebbero, dopotutto, serate come queste. Forse... se ognuno di noi facesse la sua casella in avanti con coscienza e convinzione... forse alla fine capiremmo che la storia, dopotutto, siamo noi pedoni.





martedì 29 gennaio 2013

La crisi dell’euro é un film giá visto

Ho recentemente letto due articoli dei proff. Cesaratto e Bagnai sull’e-book “Oltre l’austeritá”, disponibile in maniera gratuita qui e che invito chiunque a prendersi il tempo di leggere. Si tratta di due articoli (al capitolo 2) che mettono in chiaro molti dei meccanismi che caratterizzano l’euro, e quindi le cause strutturali dell‘attuale crisi. Trattano della sequenza di processi macroeconomici che storicamente avvengono in un regime di libero mercato e deregolamentazione finanziaria nel momento in cui si adotta un regime di cambi fissi quale, appunto, una unione monetaria.


Puó sembrare complicato ma non lo é. Del resto io non sono di certo un economista. Consiglio quindi vivamente a chiunque di leggerseli, non fosse altro per evitare di farsi prendere in giro ogni giorno dai sacerdoti della liturgia economica. Una volta che si capiscono le cose non ci si fa piú prendere in giro. Capisco peró, sono sicuro, che non tutti troveranno né il tempo né la voglia di farlo. Mi pare peró che siano cose talmente importanti che voglio provare qui a fornire una versione stringata ed elementare di quanto viene descritto. Mi scuseranno i meglio informati per le approssimazioni o le inesattezze (errori direi di no, ma in ogni caso invito chi ne veda a segnalarli). Lo faccio con la speranza che spiegando queste cose nel modo semplice in cui io le ho capite, anche altre persone che hanno i miei stessi limiti possano capirle. Spero quindi possa essere considerato per quello che é: non una sostituzione ai due articoli, ma un tentativo di introduzione semplice, sintetica e il piú inclusiva possibile... con esortazione finale a leggerseli quei due benedetti articoli!


L’UNIONE MONETARIA HA SENSO SOLO SE DANNOSA

Un’unione monetaria sopprime in maniera forzosa le differenze di cambio tra valute, in modo da ottenere dei cambi fissi. I cambi normalmente oscillano per stabilire un equilibrio sui mercati tra aree strutturalmente diverse in termini di competitivitá economica. La svalutazione da parte delle aree piú deboli all’interno di un sistema di libero mercato é uno strumento che consente di assorbire gli shock che emergono proprio come effetto di queste differenze strutturali. Tali differenze includono sistema educativo, mercato del lavoro, sistema di previdenza sociale, produttivitá, stabilitá finanziaria etc.

Imporre una convergenza a valle di tutto questo tramite un’unificazione monetaria, senza cioé preoccuparsi di far prima convergere tutte queste differenze, puó in realtá solo peggiorare questi squilibri. Al contrario, cercando una integrazione di tutti questi aspetti a monte e passando per l’adozione di un bilancio federale volto a coordinare gli investimenti produttivi (es. in infrastrutture, ricerca...) per ottenere una redistribuzione di competitivitá economica a livello europeo, l’unione monetaria non sarebbe piú necessaria in quanto i tassi di cambio da sé giá convergerebbero.

Possiamo dividere l’eurozona in due macro-aree:
  •  paesi centrali (forti)
  •  paesi periferici (deboli)

I paesi centrali sono quelli che fanno riferimento all’area del marco, economicamente molto competitivi per via di una gran produttivitá (che ne favorisce le esportazioni) e per questo finanziariamente molto stabili. I paesi perfierici sono i cosiddetti PIIGS, meno competitivi e finanziariamente piú deboli.
Nel momento in cui aree cosí diverse adottano un regime comune di cambi fissi, all’interno di un sistema di libero mercato e finanza scarsamente regolata, si scatena una serie ben nota di “sfortunati eventi” che culmina in profondi periodi di crisi e nell’inevitabile collasso. Testimonianza di ció sono numerosi casi in cui paesi in via di sviluppo, agganciandosi a qualche regime di cambio fisso, sono stati costretti a dichiarare bancarotta. É evidente quindi come non ci sia nulla di casuale in tutto questo, a meno che non si voglia ignorare la storia.


SFORTUNATI EVENTI

1. Afflussi di capitali esteri dal centro alla periferia

In un regime di libero mercato e cambi costanti per i paesi del centro, molto produttivi e competitivi, diventa particolarmente conveniente prestare capitali ai paesi periferici, in quanto in questo modo possono
·         beneficiare degli interessi piú elevati che i paesi periferici “meno affidabili” sono soliti pagare
·         creare un mercato di sbocco per la propria produzione di beni in eccesso
Infatti gli efficientissimi paesi centrali a paritá di costo producono beni con piú qualitá, o a paritá di qualitá producono piú beni che quindi costeranno meno. Vedendo affluire capitali, le banche dei paesi periferici possono concedere crediti e quindi, visto che cresce la domanda aggregata (cioé la disponibilitá della gente a spendere), l’economia torna a girare. Inizialmente saranno le classi abbienti a spendere comprando beni di lusso importati,  il che aumenta ancora di piú l’afflusso di capitali esteri fino a che anche le classi meno abbienti potranno comprare beni di prima necessitá importandoli dall’estero.

2. Mancanza di investimenti produttivi e divergenza della competitivitá

Questa crescita drogata dagli afflussi di capitale estero spesso va ad alimentare una bolla immobiliare. Questo ha l’effetto di aumentare ulteriormente la domanda aggregata (visto che tutto l’indotto ne beneficia) e la crescita del mercato interno, senza peró riuscire ad aumentarne la competitivitá non rappresentando un investimento produttivo. Non riesce quindi a ristabilire l’equilibrio della bilancia commerciale (export-import). Continuano cioé ad aumentare le importazioni dei paesi periferici di beni prodotti nei paesi centrali, in quanto aumenta il divario di competitivitá. Il tutto reso possibile dal libero scambio su un mercato comune.

3. Inflazione e aumento del deficit commerciale

Questo ha come conseguenze un aumento dell’inflazione, dovuto al maggior potere di spesa nel paese periferico senza che la produzione sia aumentata, oltre che una ulteriore perdita di competitivitá economica: in un regime di cambi fissi infatti il cambio reale é dato dal tasso di cambio meno l’inflazione. Se l’inflazione aumenta il tasso di cambio reale diminuisce, il che di fatto rivaluta la moneta periferica e rende piú difficili le esportazioni di beni prodotti dal paese periferico. Pertanto, mentre le importazioni continuano ad aumentare, le esportazioni diminuiscono  col risultato che il saldo é sempre piú negativo e si entra in una spirale in cui servono sempre piú afflussi di capitale estero.

4. Aumento del debito estero

Ogni volta che qualcuno importa un prodotto dall’estero di fatto aumenta il debito estero. Debito estero significa debito di qualcuno (pubblico o privato) contratto nei confronti di terzi non appartenenti allo stesso stato. Inizialmente il debito é privato, in quanto contratto da banche private attraverso il sistema di pagamenti interbancario europeo, chiamato Target2. Funziona cosí:
Tu compri una mercedes, pagando con la tua carta di credito. La tua banca provvede a trasferire l’importo sul conto della banca tedesca. Il tutto viene peró mediato dalle relative banche centrali (Banca d’Italia e Bundesbank), e tra di loro dalla Banca Centrale Europea (BCE):

acquirente > banca italiana > Banca d’Italia > BCE > Bundesbank > banca tedesca > mercedes

le frecce indicano i flussi di capitale. Succede peró che le banche devono avere una certa riserva di liquiditá presso la banca centrale percui, seguendo lo stesso processo a ritroso, la banca tedesca che ora ha un surplus si offre di prestare denaro alla banca italiana che cosí puó tornare in pari con la Banca d’Italia e questa con la BCE. É contabilitá, ma é cosí che ogni volta che si compra un bene importato cresce il debito delle banche nazionali nei confronti di quelle estere.

5. Il debito da privato diventa pubblico

Il processo continua fino a che non emergono dubbi sulla sostenibilitá del debito e la banca rischia il fallimento. Visto che se le banche fallissero sarebbe un disastro per tutti i clienti della banca, normalmente lo Stato in quel caso si offre di salvare la banca accollandosi sostanzialmente il suo debito. É allora – e solo allora – che il problema inizia a riguardare il debito pubblico.

6. Collasso del sistema

Il tutto continua finché si arriva ad una situazione di palese insostenibilitá che provoca uno “stop improvviso”. In questo caso il paese periferico si dichiara in bancarotta. Storicamente coi paesi in via di sviluppo é qui che interviene il Fondo Monetario Internazionale, offrendosi come prestatore a condizione che vengano imposte politiche repressive di austeritá che garantiscano i creditori stranieri.
In una unione monetaria eistono due alternative percorribili:
  • Coordinamento fiscale: i paesi forti in avanzo aumentano il potere d’acquisto sul loro mercato interno, aumentando l’inflazione ed operando di fatto una rivalutazione che rende meno competitivi loro e piú competitivi i paesi periferici, invertendo cosí la situazione e fungendo da mercato di sbocco per le rinvigorite esportazioni dei paesi periferici (i paesi centrali trainano l’economia dell’unione agendo da locomotiva);
  • Integrazione fiscale: é quanto avviene ad es. negli USA (ma anche in Italia dopo l’unificazione), cioé il surplus delle regioni ricche viene ridistribuito verso le regioni meno sviluppate, utilizzandosi per investimenti produttivi.

Entrambe queste politiche sono di difficile attuazione nell’eurozona, in quanto sono palesemente in contrasto con le politiche perseguite da sempre dai paesi forti, in particolare dalla Germania.


IL MERCATILISMO TEDESCO

Da sempre il capitalismo tedesco si é beneficiato della propria grande produttivitá per arricchirsi perseguendo politiche mercantiliste, ossia cercando di vedere i propri prodotti all’estero piú che sul mercato interno. Per fare ció é necessario operare un contenimento dei salari al ribasso in modo da limitare i consumi del mercato interno e, quindi, l’inflazione. In un regime di cambio fisso ció corrisponde ad una svalutazione reale che avvantaggia sul piano delle esportazioni e permette di vendere all’estero le eccedenze di produzione. Tutto questo é ottenibile promuovendo una mentalitá diffusa, condivisa dalla classe lavoratrice, secondo cui le esportazioni diventano una sorta di orgoglio nazionale.

In questa situazione la Germania si trova costantemente con la bilancia commerciale in attivo, il che le consente di concedere prestiti ai paesi periferici e allo stesso tempo di crearsi un mercato di sbocco privilegiato, l’eurozona. Questo inoltre potenzialmente (col progredire delle politiche di austeritá imposte ai paesi periferici) puó offrirle manodopera a bassissimo costo, permettendogli di aumentare ulteriormente la propria produttivitá ed eventualmente competere sui mercati globali con le altre potenze commerciali emergenti come la Cina.


CONCLUSIONI

Si tratta di fatto di una tattica sleale – aver mantenuto artificialmente l’inflazione per larghi tratti al di sotto del limite stabilito per l’eurozona del 2% va contro gli accordi – ed egoista, in quanto si é visto come un paese forte come la Germania dovrebbe in periodi di crisi optare per politiche di segno opposto. In realtá quindi, piú che locomotiva, la Germania sta andando al rimorchio dei paesi periferici.

É logico che per essa tanto un coordinamento quanto un’integrazione fiscale non possono essere vantaggiosi, visto che annullerebbe questo gioco redditizio; una unione fiscale potrebbe invece esserlo, rappresentando un ricatto in base al quale in cambio di una ulteriore cessione di sovranitá ad autoritá sovranazionali, presumibilmente sotto influenza dei piú forti proprio come lo é ora la BCE, si metterebbero in atto dubbie politiche di solidarietá tra stati. Il tutto potrebbe in definitiva portare a una ulteriore perdita di democrazia e stato sociale nei paesi periferici, a beneficio dei paesi forti che disporrebbero di sempre piú manodopera a basso costo, creandosi di fatto un deserto produttivo attorno su cui basare la propria espansione globale.

In conclusione, l’UE é lontana dall’essere come dovrebbe una comunitá volta alla cooperazione di stati diversi per il raggiungimento di obbiettivi comuni, essendo in realtá sempre piú improntata alla competizione fratricida a beneficio dei piú forti. Piú che una unione, verrebbe da dire un’annessione.

Secondo quanto visto, l’euro é di per sé uno schiaffo della politica all’economia. Ignorando la storia (che quindi si ripete) e i suoi avvertimenti, ha rappresentato e rappresenta una scelta calata dall’alto e giustificata in maniera paternalistica ora dicendo che solo cosí si sarebbe vista come necessaria l’ulteriore unione fiscale e politica dell’Europa, altrimenti inaccettabile. Una scelta in cui lo stesso principio di autodeterminazione democratica cede il passo agli interessi privati.