domenica 13 novembre 2011

Come gestire il post-sbornia?


Sono convinto che dovremo farci passare in fretta l’euforia per la caduta del sovrano assoluto di quest’ultimo ventennio italiano. Abbiamo delle cose molto serie da fare, compiti fondamentali cui assolvere.

Al momento condivido la scelta che è stata fatta. Bisogna agire, agili e svelti, ma soprattutto farlo in maniera competente. Anche se non si condivide il sistema generale nel quale viviamo, cosa che mi riguarda in prima persona e profondamente, non mi sembra che al momento ci siano alternative a una scelta di questo tipo. Parliamo di quello stesso sistema in cui la finanzia occulta, la corruzione e il malcostume diffuso la fanno da padrone incontrastato, limitando ogni giorno la sovranità popolare e il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Sono d’accordo. Ma volendo o no, siamo in ballo e dobbiamo ballare. Finché non cambieremo il sistema in sé, profondamente, dovremo giocare secondo le sue regole. In questo senso per quanto ci si voglia riempire la bocca in questi giorni di tutti questi termini in stile “popolo sovrano” “democrazia elettiva” “autodeterminazione” “commissariamento”, limitati in quel senso lo si era già da tempo, ma dall’interno.
Occorre ora ritornare a una fase di pseudo-stabilità, di normalità. In cui si possa ragionare lucidamente, non dimenticandosi di colpo di tutti i legittimi spauracchi di questo mondo ombra finanziario che si sono, giustamente, materializzati in questi giorni. Né dimenticandoci di quello che abbiamo appena passato, della nostra storia. Parafrasando Montanelli: un paese che dimentica la sua storia, non può avere alcun futuro. Bisogna sforzarsi, questa volta, di non avere la memoria corta.

Ma l’ubriacatura da caduta di regime non ci deve durare più di tanto. Sarà molto difficile, ed é quasi un paradosso. Perché se mentre era vivo e vegeto il suo scopo era quello di azzerare la nostra capacità critica, potrebbe benissimo raggiungerlo da morto, se si pensasse che ora di colpo e quasi per magia tutti i nostri problemi fossero risolti. Eh, no.
Come ho già detto è necessario, è perfino salutare in questo momento gioire ed essere felici, perché per quanto ci sia ancora tanto da fare davanti a noi – la maggior parte dei sacrifici probabilmente – stiamo pur sempre vivendo un momento storico di cambiamento. Dopo un purgatorio lungo 20 anni, che in pochi hanno continuamente denunciato e in molti hanno direttamente o indirettamente sostenuto, é un momento che deve dare la scossa per iniziare il meccanismo che porti al termine un’era che, finita, ancora non lo é.
Poco importa, in questo senso, se la scossa l’abbiamo data da dentro o ce l’hanno data da fuori. Ne avevamo bisogno. Perché i problemi di casa nostra sono, ancor prima che economici, socio-culturali.  Che fosse allora, purtroppo, l'unico modo possibile? Abbiamo bisogno di riavvicinarci con fiducia ed onestà alla cosa pubblica. Con rigore e con stile sobrio. Badando ai fatti e non all’immagine. Rifuggendo le pagliacciate e il grottesco, anelando quasi un po’ di noia e formalità. E con passione sincera. Passione che si era tramutata in odio e rancore da una parte, in servilismo dall’altra. Ora dobbiamo dire basta e tornare a una lucida analisi delle cose.

Prendetevi un caffè e fatevi passare il mal di testa del giorno dopo, si deve iniziare da subito. Puntiamo i nostri riflettori critici su quello che ora succederà. Facciamolo per una volta senza partito preso.
Abbiamo dei problemi da affrontare e ci si dice che arriva gente competente a risolverli. Se così sarà saremo pur chiamati a sacrifici, ma non saranno invano e soprattutto non saranno iniqui. Se così sarà, allora le cose miglioreranno.
Ci sono ombre e dubbi dalla provenienza di questi signori, che per la maggior parte di noi sono sbucati fuori dal nulla. Dubbi sulla possibilità di doppi giochi e interessi privati. Bene, prendiamone atto e non abbassiamo la guardia. Ma diamogli una possibilità e giudichiamo sulla base dei fatti, non delle paure o delle prese di posizione a priori. Vi prego, basta con le ideologie.
In questo momento, ci si dice che c’é bisogno di scelte che sono state rimandate troppo a lungo. E ce n’é bisogno adesso. Prendiamo coraggio e proviamoci allora. Non ho creato io le regole, e a dirla tutta non mi piacciono neanche un po’. Credo che sia un sistema marcio e che, se non ora, arriverà un altra crisi a spazzarlo via in modo drammatico. Ma ho anche la speranza che non debba essere spazzato via da una crisi, ma dalla cosciente e pacifica mobilitazione di milioni e miliardi di persone che non ci stanno più ad essere burattini. E forse questo non può succedere ora, in un’emergenza acuta di queste proporzioni, senza arrivare alla rivolta vera e propria. Quella che porta morte e sofferenza.

Allora l’invito é quello di avere fiducia nel cambiamento perché, scusate il francesismo, con le pezze al culo c’eravamo già da tempo. Commissariati da qualcuno c’eravamo già, stranieri o nostrani conta qualcosa veramente? Affidati a una cricca preoccupata dei propri interessi privati, c’eravamo già. Per di più, dovevamo anche assistere alla continua decadenza morale e denigrazione di un popolo intero che, forse, merita di meglio.

In un momento che simboleggia il cambiamento, ma non lo rappresenta in sé, guardiamo con fiducia al futuro. Diamo una possibilità al futuro, ma non togliamo il piede dell’acceleratore e rimaniamo con gli occhi ben aperti. Poi quando, e se, le cose torneranno ragionevolmente stabili, potremo e dovremo continuare a pensare ad una rivoluzione ben più grande, una rivoluzione pacifica e globale che riguardi questo sistema nel suo complesso e che permetta a tutti di vivere meglio, e a nessuno di dover più passare per momenti simili.

La mobilitazione non finisce mai.

Non scambiamo una battaglia per la guerra.






Keep on rocking in the free world.

sabato 12 novembre 2011

Cosa dovremmo pensare?


Sono giorni di fermento, giorni in cui ti puó anche scoppiare la testa a forza di pensarle tutte. È proprio in giorni come questi che l’unica soddisfazione che uno può prendersi è quella di fermarsi un momento a pensare e riflettere su cosa stia, effettivamente, succedendo. Perché se proprio di devono fregare in qualche modo, almeno esserne consapevole. Saperlo, capire il come e il perchè. Magra consolazione.
Da dove si parte per provare a mettere un po’ di ordine? Come sempre, iniziamo dai fatti.

Il governo Berlusconi è finito. Il berlusconismo, pesantissima eredità di molti più dei 17 anni di governo, quasi sicuramente no. Siamo sull’orlo della bancarotta. Non capiamo bene se la democrazia esiste ancora o no. Perchè se in Africa i governi cadono sotto le bombe, quelle vere, in Europa e nel mondo libero ormai cadono sotto gli oscuri colpi della finanza.

La vera domanda qui è: Cosa dovremmo pensare? Qualcuno, uno che ne sapeva, diceva che a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina...vediamo dunque.

Possiamo immaginarci che la realtà esista sottoforma di due livelli, due mondi paralleli.
Uno è quello ufficiale, quello delle dichiarazioni, quello formale. Quello della politica, per intenderci. Quello di facciata, che tante volte puzza ma che si fa meno fatica ad ingoiare e mandar giù perché tutto sommato si capisce e si crede di conoscere. L’altro é quello oscuro, sotterraneo, quello che muove i fili restando nell’ombra, che ci rende tutti burattini. Quello delle cosidette teorie del complotto, quello che niente è come sembra, niente è scontato. Quello che bisogna scavare sotto la superficie per vederci chiaro, quello che tutto ha un doppio significato. Simbolismo e massoneria. Elite non elette. Mondo finanziario e gotha globale. Matrix.

A quale credere? Se ti fai questa domanda, è evidente più che mai che non c’è niente in cui credere. Non bisogna credere, bisogna per quanto possibile cercare di informarsi e far girare le rotelline arrugginite che tutti abbiamo in testa. Iniziamo da qui allora.

Mondo ufficiale

Si fa un gran parlare di governo tecnico. Dovremmo andare democraticamente a votare o delegare temporaneamente la nostra sovranità a qualcuno che non abbiamo eletto ma con le competenze per tirarci fuori dai problemi? La domanda assume un significato particolare qui: crediamo ancora nella politica?

C’è chi sostiene che la politica non serva a niente. Spesso mi ritrovo a pensarlo anche io. La politica, intesa come il teatrino cui stiamo assistendo ormai da troppo tempo, staccata dai bisogni e dalla passione della gente, quella che si alimenta di ideologie piuttosto che di problemi concreti e quotidiani, che si nutre di miti elaborati ad arte, aliena alle dinamiche del mondo reale, quella politica non serve a niente.
Peró le masse non si gestiscono da sole e noi, volendo o nolendo, nei nostri 7 miliardi di unità siamo masse. Quindi si è inventata la democrazia rappresentativa per delegare il proprio potere decisionale a qualcuno, sulla base di principi condivisi. Su basi prevalentemente ideologiche. E qui è dove le cose, ultimamente, sono cambiate. Con l’avvento della società della comunicazione, dell’accesso all’informazione e alla conoscienza reso possibile a tutti, del boom dell’educazione, forse è ora di pensare la cosa diversamente.

C’è qui chi sostiene che i problemi che ci troviamo ad affrontare sono, per la stragrande maggioranza, problemi di natura tecnica e, come tali, andrebbero affrontati. Non c’é un modo di destra o di sinistra per costruire un aereo, se vuoi farlo volare. È qui allora che la politica perda ogni senso. Quello che servirebbe non è la politica al potere, ma la ragione al potere. Delegare le decisioni che affettano il bene della comunità piú che alle ideologie ad un processo logico e razionale, basato sul metodo scientifico. Dimostrami che hai ragione, non dirmi che hai ragione. Se possiamo descrivere un problema in termini matematici, scientifici, allora abbiamo degli strumenti eccezionali per poterlo risolvere. Per risolverli in maniera libera da contraddizioni, da doppiogiochi, da corruzione, da menzogne, da convenienze personali. È tutto trasparente e sotto gli occhi di tutti.

In una prima approssimazione, è quello che si intende per governo tecnico. Se poi volessimo emanciparci da quell’enorme limitazione che è la necessità di delegare a pochi le decisioni che affettano il bene di tutti, allora arriveremmo alla ricchezza vera, quella che nasce dalla cooperazione. È il concetto dell’open source. Nella sublimazione di questo concetto, tutti possono e tutti DEVONO partecipare. Abbiamo gli strumenti per poterlo fare, oggigiorno. Questa, sì, sarebbe democrazia allo stato puro. Wikitecnocrazia 1.0.

Ma rimaniamo con i piedi perterra, rimaniamo nel presente. Torniamo alla democrazia rappresentativa, si parlava di governo tecnico. Una prima approssimazione. Basi tecnico-scientifiche, non sinistro-destriche. In questo senso mi pare che non possa che essere una buona novitá. In un momento in cui siamo sull’orlo del baratro non vorrei proprio affidare le nostre sorti nelle mani di chi si preoccupa di garantire una maggioranza piuttosto che di risolvere i problemi che abbiamo. Se i problemi sono principlamente economici preferisco, lo confesso, un economista a un politico. Problemi che sono sotto gli occhi di tutti, e non sono nè di destra nè di sinistra.

Se solo uno non volesse considerare anche quel submondo che potrebbe esistere sotto la superficie, parrebbe proprio che le cose si stiano mettendo per il verso giusto.

Mondo oscuro

C’é chi dice che non esiste più la sovranità popolare, in quanto tale. Che gli stati nazionali non hanno più alcun senso. Che i nuovi stati, al giorno d’oggi, sono le multinazionali. Che chi muove i fili di tutto quello che succede sono una manciata di persone dell’elite finanziaria mondiale, che si riuniscono in totale segretezza con lo scopo di dirigire gli avvenimenti a livello globale in modo da ricavarne un beneficio, loro, alla spalle di tutti gli altri, il famoso 99%. Una specie di setta oscura e malefica che, mossa da interessi esclusivamente personali, perpetua quotidianamente un unico enorme crimine contro l’umanità. Concentra la ricchezza mondiale nelle mani di pochissimi a scapito della qualità delle nostre vite e dell’ambiente. Con disprezzo per la vita stessa. Il potere per il potere.

Avete visto matrix? Ecco. Nel vero mondo ombra invece delle macchine chi controlla il mondo fittizio in modo da darci l’illusione di essere arbitri delle nostre decisioni (vedasi democrazia rappresentativa) è probabilmente un gruppetto di qualche centinaio di persone di cui non si conosce la faccia, chiusi in una stanza e che ci guarda sogghignando maleficamente dall’alto di un qualche superattico.

Dovremmo crederci? Abbiamo abbastanza prove quotidianamente sotto gli occhi a suffragare questa ipotesi, prove che forse tante volte non siamo abbastanza allenati da vedere. O non vogliamo vedere.

Dove voglio andare a parare?

C’è chi dice che il governo in Italia è caduto per colpa dei mercati. Qualunque cosa significhi, non ha poi tutti i torti. Qualche potere oscuro – che la gente comune non capisce,  non conosce –  ha assestato un attacco mortale negli ultimi giorni. Il governo è caduto immediatamente dopo mesi, forse anni, in cui stava in una specie di coma farmacologico. Un’escalation inarrestabile. Gli stessi che sostengono queste cose ci dicono anche attenti, perché il salvatore della patria, il tecnico competente che sta arrivando a salvare il paese, l’unico e il solo che puó uccidedere quel drago malefico che è lo spettro incombente della bancarotta, altro non è che un uomo mandato proprio dallo stesso potere occulto. Quello che controlla i fili del mondo. Lo stesso che ha appena assestato il colpo mortale. In quest’ottica, sarebbe il crimine perfetto. Agendo nell’ombra tutto è possibile.

Assestiamo un colpo mortale ad un paese, con le nostre armi finanziarie, poi mandiamo uno dei nostri a prenderne il comando col pretesto di salvarlo. E a salvarlo, dato che i fili di tutto li muoviamo noi, certo che ci riuscirà. La gente lo acclamerà. Nel frattempo li convinceremo che dovranno fare sacrifici, che è l’unico modo per risolvere il problema. Diamo la colpa alla politica e mandiamo un non politico. Il problema è economico? Mandiamo un economista. Il crimine perfetto. Saranno perfino contenti di morire lentamente. E qualcuno ci guadagnerà, come sempre.

Cosa dovremmo pensare?

Non lo so. In ogni caso non è che cambi più di tanto le cose, adesso come adesso.
Quello che mi fa sospettare è che, ancora una volta, depositiamo tutte le nostre speranze in un illuminato uomo della provvidenza, l’uomo giusto al momento giusto. Sbucato fuori all’improvviso dall’ombra. Un uomo nuovo. Che salverà l’Italia, l’Europa e il Mondo (per dirla con il Wall Street Journal). Siamo pieni di aspettative e pronti al peggio. Sull’orlo dell’esasperazione e della paura non si ha più tempo per la critica, si fa passare qualsiasi cosa alla svelta. Per far fronte alle emergenze, si è pronti a tutto. Noi siamo il paese delle emergenze. Ma se le emergenze fossero create ad arte per indorarci la pillola?

A pensar male si fa peccato...








mercoledì 9 novembre 2011

Manifesto programmatico-motivazionale


Questo blog, come ogni blog, nasce da un bisogno primordiale di ogni essere umano: la necessità di comunicare.
Ma nasce anche da un bisogno più specifico dell'uomo moderno: la necessità di comunicare.

Questo piccolo spazio virtuale é mosso da una ben chiara motivazione, già ampiamente discussa nel post d’esordio: incentivare chiunque ne abbia la voglia, o anche solo la curiosità, a rimanere vigile, a rimanere sveglio, a non lasciarsi intrappolare nello squallore che ci cresce intorno o nel torpore di chi si sente sicuro nel suo piccolo mondo...vuole esortare a farsi delle domande, ad usare l’immaginazione, a riflettere e a cercare soluzioni per tutto quello che non ci piace. 
Ad alzarsi in piedi, insomma, per dire che noi, ognuno di noi, ci siamo ancora. Per dire che non ci conformiamo e che vogliamo qualcosa di più.

Bene.

Ma non è solo questo. Vuole anche semplicemente essere un’opportunitá in più per uno che sente di aver bisogno di condividere qualcosa con qualcuno. Uno spazio di riflessione ed espressione personale insomma.
Perché un conto é ragionare, pensare, riflettere;
un'altra cosa é mettere giù su carta parole che esprimono concetti, che devono così essere chiari, ordinati e ben definiti;
un'altra cosa ancora é metterli giù sapendo che qualcuno li leggerà e li dovrà capire, che dovranno divulgare un messaggio e centrare il bersaglio.

È quindi al contempo una sorta di missione, di liberazione, ma anche di palestra personale.

Nel fare tutto ciò il mio approccio credo sia abbastanza chiaro: premetto.
La premessa é fondamentale, perché vuole fornire al lettore le basi per poter capire il messaggio che voglio trasmettere. Voglio cercare, come prima cosa, di presentare tutto quel che si può in maniera oggettiva, cercando di organizzarlo in modo che sia facile seguire il filo del ragionamento. Arriveranno i pareri personali, certo, assieme alla soggettività che ogni narrazione comporta. Ma non é questo il punto qui.

Il punto è che non c’é religione, né politica, né cieca fede o presa di posizione che valga, qui. Non voglio che sia cosi e mi sforzerò perché chiunque legga possa trarre le sue conclusioni su ogni argomento di cui si parla.
Amo la scienza e il metodo che la contraddistingue. Non mi devi credere, NON DEVI. Contrasta la mia parola, mettimi alla prova, inizia tu stesso un tuo ragionamento e porta le tue stesse fonti.
Poi, solo dopo che l’avrai fatto, ragiona e trai conclusioni usando la tua testa.
Usa la tua sensibilità, la tua storia personale, le tue esperienze, basati in quello che credi importante.
E se poi non siamo d’accordo, stupendo: inizieremo a discutere, che é ben diverso da litigare. E se riusciremo a mantenere questa stessa mentalità aperta, allora cresceremo entrambi.
Tutti ne hanno da guadagnare, qui.

Si prendono già troppe decisioni importanti solo perché qualcuno ce lo dice, o per partito preso. Ci stiamo pericolosamente abituando a non usare il nostro senso critico e se questo blog può servire a qualcosa, mi piacerebbe che fosse proprio ad aiutare a ritrovarlo almeno un po’.

La premessa alla premessa é che sicuramente non sempre ci riuscirò, o che mi ci vorranno forse un po’ troppe righe per arrivare al punto. Vi chiedo pazienza; poco a poco, e con l’aiuto di qualche buon consiglio, anche questo si impara.



Il tutto nasce però anche da un'altra necessità pura e semplice, quella di scrivere.
Di sentire il suono dei tasti che si muovono sotto le dita e diventano parola, concetto, discorso. Che diventano espressione di me.

perché mi piace scrivere
perché mi piace fermarmi a pensare, ma non lo faccio abbastanza
perché mi piace comunicare quello che penso
perché ci sono tante cose interessanti da dire ma spesso ci si limita alle banalità
perché voglio avere un impatto positivo sulla mia comunità e forse questo é un buon modo di farlo
perché posso rimanere in contatto con chiunque lo voglia, a prescindere dalle distanze
perché ho qualcosa da dare, da condividere con tutti quelli che avranno la voglia, il tempo e la pazienza di leggere
perché ho deciso di passare dalla passione all'azione



Un ultimo dettaglio. Ho tanti amici stranieri che inevitabilmente, per quanto possa confidare nei traduttori online, saranno un po’ tagliati fuori da questo blog.
Scrivere in inglese mi permetterebbe di arrivare ad un pubblico più eterogeneo e globale.
Scrivere in spagnolo mi permetterebbe un contatto più diretto con la mia comunità locale.
In ogni caso, ho deciso di scrivere in italiano. Perché in questo momento particolare, in questo momento storico che tutti stiamo vivendo, mi sento particolarmente legato a tutti voi. A tutte le persone con cui sono cresciuto, alla società nella quale sono cresciuto e che mi ha dato tanto.
La lontananza fisica però non mi permette di contribuire al nostro bene comune, di avere quell’impatto positivo ottenibile solo cercando di fare la mia parte, giorno dopo giorno.
Quindi, non sapendo bene come, questo é un modo per provarci.

Questo blog nasce pensando principalmente a voi.

Spero vi possa piacere.






sabato 5 novembre 2011

Oria d'aria fritta



Ultimamente si fa un gran parlare di economia. Mi chiedo come mai.

Il problema quando si parla tanto di qualcosa, è che uno finisce per dimenticarsi il punto si partenza della discussione. Da dove eravamo partiti?

Economia, dal greco οἴκος (oikos), "casa" inteso anche come "beni di famiglia", e νόμος (nomos), "norma" o "legge": “scienza che studia l’utilizzo di risorse scarse per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa”.  
Su questo direi che possiamo essere piú o meno d’accordo.

Facciamo ora lo sforzo di analizzare l’attinenza di questa definizione con quello di cui tanto si parla.



Prima di tutto: mi sembra utile centrare la discussione sull’economia umana, ossia quello che noi esseri umani cosideriamo il modo migliore per soddisfare i bisogni legati alla sopravvivenza e al benessere della nostra specie. Uno strumento che usiamo egoisiticamente e utilitaristicamente per il nostro bene esclusivo.
Non si tratta di una precisazione inutile, dato che dalla definizione generale non è affatto chiaro di quale tipo di individui parliamo, nè di quale tipo di comunità. Potermmo parlare di un ristretto gruppo di persone o, all’estremo opposto, di tutto il regno animale, o perfino di tutta la biosfera. Le cose cambierebbero notevolmente, in quel caso. Si tratta del concetto di simbiosi, ma di questo forse meglio parlare un’altra volta per non mettere troppa carne al fuoco.

Parliamo quindi di economia umana. Ora, visto che tutti gli esseri umani abitano nello stesso posto, comunemente noto come pianeta Terra, possiamo circorscrivere abbastanza il ragionamento sulle risorse: sono quelle contenute dal pianeta.
L’unico modo in cui ha senso parlare di economia umana, é quindi facendo un discorso a livello globale.



Definiamo ora il concetto di risorsa: il senso comune ci dice che è risorsa qualsiasi cosa possiamo usare per fare qualcosa. Possiamo distinguere principalmente tra risorse naturali, tra cui materie prime e risorse energetiche, e risorse umane.

Le risorse umane sono incredibilmente importanti, il fondamento della nostra civiltà direi. Sono le nostre capacità, quello che ci permette di fare ciò che facciamo. Più persone, più risorse umane. A livello globale quindi potremmo dire che le risorse umane aumentano con la popolazione mondiale. Qui peró trascuriamo un fatto estremamente importante, cioè il loro carattere emergente. In altre parole se in matematica uno piú uno fa due, in genere in biologia non funziona cosí. Dall’unione di strutture uguali in una superstruttura normalmente emergono proprietà che prima non esistevano. Pensate a quello che puó fare una persona; pensate a quello che puó fare un gruppo di persone che si organizzano tra loro. Non c’é paragone. Il concetto é conosciuto come proprietà emergenti. Vale la pena approfondire il concetto, ma forse meglio rimandare anche questo ad un altro post.
La cosa chiara è che, se di scarso c’é qualcosa su questo pianeta, non sono di certo le risorse umane. Per lo meno secondo una prospettiva di utilizzo umano, che è quella che ci interessa.



E le materie prime? Mi sembra abbastanza ovvio che qui è un altro paio di maniche. Per il semplice fatto che il pianeta Terra è un pianeta, ne deriva che ogni risorsa che può contenere è per definizione limitata. Limitata non vuol dire necessariamente scarsa, ma vuol dire che va gestita perchè altrimenti prima o poi lo diverrà. A volte ce ne dimentichiamo, ma tra le materie prime rientrano anche l’aria che respiriamo e l’acqua.



Per quanto riguarda le risorse energetiche, invece, parliamo di qualcosa che potremmo considerare come una delle frodi più grandi della storia umana. Si tratta di una frode perpetuata, piuttosto recentemente per la verità, da un gruppo di esseri umani contro la totalità del genere umano che, forse a insaputa dei primi, li include.
Infatti, la stragrande maggioranza delle risorse energetiche utilizzate finora sono in realtà niente più che altre materie prime. Petrolio. Carbone. Gas naturale. Comunemente detti combustibili fossili, sono il prodotto della decomposizione durante milioni di anni di materia organica. Esseri viventi che crescono assorbendo l’energia solare (piante) o acquisendo energia già accumulata in altri organismi (animali). In ogni caso il tutto è riconducibile ad una conversione piú o meno lunga di energia solare in quello che si chiama energia chimica di legame, che si puó liberare molto facilmente semplicemente bruciando questi composti.  L’energia infatti non si crea nè si distrugge, si puó solo convertire da una forma ad un altra. Per via del ritmo estremamente lento con cui si originano queste sostanze, rispetto al ritmo con cui le consumiamo, vengono chiamate risorse energetiche non rinnovabili. Si tratta della nostra principale fonte di energia ora e, nonstante tutto, si prevede che continuerà ad esserlo ancora per molto tempo.
A queste possiamo aggiungere il nucleare che, dipendendo dalla disponibilità di una materia prima, l’uranio, è anch’essa per definizione non rinnovabile.

Il loro utilizzo si poteva giustificare in passato, vista la relativa abbondanza di materie prime e il fatto che non fosse tecnicamente possibile utilizzare risorse energetiche rinnovabili. Entrambe queste scuse ormai da qualche tempo non reggono più. Il progresso scientifico-tecnologico (vedasi proprietà emergenti delle risorse umane) ha reso possibile diverse tecniche per convertire in elettricità, la nostra moneta di scambio per veicolare l’energia, le risorse energetiche rinnovabili. Tra queste sono molto popolari il solare e l’eolico, ma ne esistono anche altre come il geotermico e l’energia marina (onde e maree). Possiamo includere tra le rinnovabili anche l’idraulico, visto che il ciclo dell’acqua si ripete constantemente e avremo piú o meno sempre acqua nei fiumi per riempire le dighe.
Si tratta di risorse che, su un orizzonte umano, NON sono limitate. In altre parole, dal momento in cui é diventato possibile utilizzare risorse energetiche rinnovabili sarebbe economico eliminare del tutto l’uso delle non rinnovabili. Lasciando quelle stesse materie prime ad altri usi che non siano la produzione energetica (e ce ne sono). Secondo la definizione di economia stessa.




Torniamo a questo punto al problema di definire l’economia umana ad un livello globale. Abbiamo visto che il cuore di questa scienza dovrebbe essere il modo in cui utilizzare efficientemente le materie prime, visto che risorse umane non presentano problemi di scarsità e che potremmo utilizzare fonti energetiche illimitate su questo pianeta.
Ho volutamente sostituito il concetto di “per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa” con “efficientemente”, visto che mi sembra più facile da ricordare. Produrre il massimo consumando il minimo. Efficienza.



Fatto tutto questo discorso abbiamo finalmente ben chiaro il concetto di economia umana:

la scienza che studia come utilizzare efficientemente le materie prime a livello globale, per il bene del genere umano”.

Se volessimo riassumerlo in un concetto, sarebbe massimizzare l’efficienza.



Esattamente quello di cui si parla normalmente quindi. Economia.


O mi sono perso qualcosa?





Beh, nel sistema attuale economia letteralmente significa: massimizzare il profitto.
Niente più. Niente meno.

Perché massimizzare il profitto? Perché il nostro sistema si regge sulla necessità intrinseca di una crescita continua, dovuta alla necessità ben nota di ripagare gli interessi sul debito contratto. Debito personale, con la banche, oppure debito pubblico, sempre con la banche.
È il sistema monetario. Denaro prodotto da banche che lo prestano ad un certo interesse.
Per ripagare una somma maggiore di quella iniziale, si può solo farla crescere in qualche modo.

Come si massimizza il profitto? Attraverso la ben nota società dei consumi. Il classico far girare l’economia.
Ma cosa succede in un sistema del genere?

  • Beni e servizi devono continuamente essere prodotti e venduti se si vuole evitare il collasso. Questo implica necessariamente una limitazione della loro qualità, in modo che dovranno essere prima o poi sostituiti o riparati. Il che implica una limitazione artificiale dell’efficienza nell’uso delle risorse naturali.  Anti-economia.
  • Altra conseguenza è la continua produzione di rifiuti. Un inquinamento cronico intrinseco al sistema. Non conviene limitarlo se si vuole massimizzare il profitto. L’inquinamento riduce l’utilizzabilità delle risorse naturali. I rifiuti sono risorse andate perse. Anti-economia.
  • Una sistema di questo tipo trae inoltre vantaggio da uno stato di scarsezza cronica di beni e servizi. Limitando artificialmente l’offerta infatti, a parità o aumento di domanda, i prezzi aumentano. E con loro, a parità di costi, il profitto. Se ci fosse abbondanza per tutti invece i prezzi crollerebbero e con loro il profitto. In un sistema intrinsecamente schiavo della crescita continua, questo non è possibile. Il bene del genere umano in quanto tale non è conciliabile con la ricerca del profitto. Anti-economia.




Mi chiedo come mai siamo in crisi.



E di cosa sentiamo parlare ogni giorno.







mercoledì 2 novembre 2011

Imagine


Partiamo dalla matematica. In matematica ci sono delle cose che si chiamano assiomi. Sono certe cose che non puoi spiegare, che puoi solo assumere come vere. Non si tratta di fede, attenzione, il concetto é ben diverso. Fede si ha nei confronti di qualcosa che riteniamo vero, qualcosa che pensiamo – crediamo – esista davvero. Non si ha fede negli assiomi. Gli assiomi sono uno strumento creato dall’ingegno umano, e non esistono da nessuna parte. Si tratta semplicemente di fondamenta che necessariamente dobbiamo assumere per potervi costruire sopra tutto il resto. Tutta la cattedrale della matematica. Tutto il resto si può poi dimostrare, attraverso l’uso di elementi logici più semplici e intuitivi. Gli assiomi no. Si arriva a un punto in cui la nostra mente non va più oltre; probabilmente é dovuto all’estrema astrazione raggiunta, che si scontra con quello che le nostre percezioni possono offrirci. Si arriva ad un punto in cui bisogna fermarsi e dire “ok, questo é così e basta”.

Credo sia importante sottolineare che tutti quelli che si occupano di queste cose sono bene al corrente che si tratta di una specie di contratto. La matematica é un linguaggio creato dall’uomo, un sistema vero e proprio, con lo scopo di descrivere (forse a volte perfino di spiegare) quello che ci succede attorno in maniera univoca e precisa. Perché possa funzionare comunque, dobbiamo pur partire da qualche parte. Ed ecco il contratto. Si parte dagli assiomi, e da lì sviluppiamo il nostro sistema. Ma abbiamo perfettamente presente, ad  ogni momento, che le regole del gioco le abbiamo stabilite noi, più o meno a ragion veduta e tutto sommato arbitrariamente. Sappiamo cioè che non é l’unico sistema possibile, nonché che probabilmente non é il migliore. È la base stessa della scienza, il metodo scientifico. Dimostrami che sbaglio e sarò felice di cambiare idea.

Per quel che ne so, la nostra geometria, che potemmo definire come la maniera in cui interpretiamo lo spazio e le forme, si basa su 5 assiomi fondamentali, detti postulati di Euclide. Si tratta di tutte cose di senso comune, osservabili ogni giorno. Il quinto dice:

“per un punto passa una e una sola parallela a una retta data”

Pensateci. Bella scoperta, si sa che é così. È logico, talmente tanto da renderlo scontato, quasi banale. Eh no. È una banalità perché ci siamo letteralmente nati e cresciuti dentro. È il modo in cui interpretiamo lo spazio. Non riusciamo proprio ad immaginare un mondo al di fuori di questa semplice regola, eppure esiste. Esistono diverse geometrie dette non euclidee in cui questo postulato non é valido. Si tratta allo stesso modo di sistemi creati dall’uomo, forse meno immediata comprensione, ma comunque ugualmente validi e con mille applicazioni pratiche. È completamente al di fuori dal mio scopo dilungarmi di più su questioni geometriche, ma mi serviva per spiegare nella maniera più scientifica possibile una cosa di cui spesso ci dimentichiamo:

Abbiamo bisogno di convenzioni. Tutta la nostra società si basa su convenzioni create dall’uomo stesso. Se ci fermiamo a pensare un momento le possiamo vedere dappertutto. Nella scienza, nel linguaggio, nella società. Sono ovunque. Sono compromessi necessari ad assicurare il buon funzionamento di comunità composte da più individui. Servono ad esempio a favorire l’evoluzione della nostra conoscenza; o la sopravvivenza; o il benessere.
Cosa c’é di interessante in tutto ciò? Beh, la cosa curiosa é che c’é una marea di convenzioni che non vediamo. Sono quelle in cui siamo nati e con cui ci hanno educati, in cui siamo cresciuti. Sono quelle che ci accompagnano da sempre. La particolarità che le accomuna é che le diamo per scontate. La conseguenza é che abbiamo smesso (o forse non abbiamo mai nemmeno incominciato) di domandarci

esiste una alternativa?

Esiste una alternativa? E se si, conviene prenderla in considerazione?
Credo sia importante considerare che ogni convenzione ha il suo perché. O per lo meno ogni convenzione lo ha avuto, almeno in un certo momento storico. Qualche altro esempio:

Normalmente non viene in mente a nessuno di andare in giro nudo per strada. Per la verità in più di un’occasione mi è capitato di vedere qualcuno farlo (e nel farlo di goderne abbastanza), ma in genere la gente quando esce di casa si veste. Ok, dato di fatto. Partiamo da qui, chiediamoci il perché. Una risposta che si può trovare é che sin dai tempi del paleolitico, o qualcosa del genere, i nostri antenati hanno dovuto coprirsi per sopravvivere meglio alle avverse condizioni atmosferiche. Col passare del tempo la cosa si è diffusa talmente tanto che è diventato un fattore sociale, ossia un fattore comunemente accettato che sta alla base di una società. È scontato, tanto che ormai il nudismo é spesso condannato o persino vietato. È curioso come le immagini che ci arrivano di societá in cui la gente vive più o meno svestita siano relative a tribù indigene in Africa o in Amazzonia. Non propriamente climi in cui ci si debba proteggere dal freddo.

Un ultimo esempio, forse più controverso. Chi ha detto che sia da condannare chi non vuole lavorare? Potremmo dire che il lavoro sta alla base della nostra societá. È il mezzo in cui ci procuriamo la possibilità di garantire il nostro sostentamento. È una specie di contratto sociale. Se non lavori non hai soldi, se non hai soldi non puoi mangiare, non avrai un posto per vivere, finirai per non far parte della societá in quanto tale. Non solo, ma non contribuisci al benessere generale della comunità. Si tratta in realtà del fatto che se non lavori effettivamente inizierà una crisi alimentare per cui i supermercati si svuoteranno, oppure che non ci sarà necessariamente più spazio da nessuna parte per te, lasciandoti a vivere col culo al gelo? Non mi sembra...cibo continuerà ad esserci, case e spazio pure. Ma non lavorare non significa nemmeno non fare niente della propria vita. Uno può perfettamente avere mille interessi, capacità e passioni per rendersi utile agli altri e a sé stesso anche non lavorando. 
In ogni caso sarà difficile che possa sopravvivere in questa società. Nessuno in realtà mette mai in dubbio questo ragionamento. Chi non lavora è considerato un parassita, declassato a inferiore, messo ai margini. Pensiamo ai rom. Non lavorano, non hanno una casa fissa, non mandano i bambini a scuola e riconoscono prevalentemente la trasmissione orale del sapere, più che quella scritta. Parassiti. A me, comunque, la musica rom mi fa impazzire.

Ve la siete mai fatti quella domanda? Vale davvero la pena lavorare?
Farsi una domanda del genere significa ribaltare completamente la scala dei valori che ci hanno insegnato, con cui siamo cresciuti. Uno dei tanti valori che diamo per scontati. Chiaramente la risposta, adesso come adesso, è SI: vale la pena lavorare, altrimenti si finisce male. Ma davvero, credo che valga la pena farsela quella domanda.

Probabilmente molti dei futuri post saranno dedicati a domande di questo tipo. Domande scomode. Domande affatto scontate, che a ben pochi vengono in mente. E a chi vengono in mente, si accantonano in fretta come idealiste, stupide, o perfino sovversive e pericolose per la società. Farsi quelle domande è però relativamente semplice. La parte complicata è poi dare una risposta, ovvero chiedersi: quale può essere l’alternativa? E se c’è, varrebbe la pena provarci?
Beh, voglio anche provare a darla qualche risposta a queste domande, anche solo fosse uno spunto di riflessione. È davvero importante non fermarsi ad accettare le cose per come sono, ma capirne il perché. Continuare ad indagare sempre, non fermarsi mai pensando di aver trovato LA soluzione, ma solo una soluzione. Tutto é migliorabile, se me lo sai dimostrare. È il metodo scientifico.

Immaginati un mondo senza lavoro forzoso, senza fame, senza povertà, senza guerre, senza politica, senza finanza, senza crisi, senza truffe, senza criminali. Immaginati un mondo in cui ognuno fa quello che meglio gli riesce, quello che vuole, senza esserne costretto, per il bene degli altri: volontariato diffuso.


You may say I am a dreamer.



Vedremo.








martedì 1 novembre 2011

Where are we going


Mi sono sempre preoccupato di trovare un senso nelle cose che faccio.

Non ho mai fatto le cose tanto per farle e che poi un giorno, chissà, un perché ne verrà fuori. Non é il mio modo di ragionare. Mi piace normalmente avere una visione dall’alto, a volo d’uccello; senza troppi dettagli, ma mi deve far capire da dove partire, dove voglio arrivare e, più o meno, per dove passare. Poi le cose possono cambiare, chiaro...ma la visione deve cambiare con loro, aggiornarsi costantemente e non lasciarmi solo coi capricci del caso. È un sistema che mi da la sicurezza e la determinazione di cui ho bisogno per andare avanti, giorno dopo giorno, fino a raggiungere il mio traguardo.

C’é solo un piccolo particolare: questo sistema, in genere, non funziona.

Per quanto ci si sforzi di piegare le cose a proprio piacimento, di deviare il corso della vita e tenerlo sotto controllo, questo inevitabilmente ci ride in faccia e ci scivola via tra le dita. Avete mai provato a fermare la corrente in un fiume con le mani aperte? Ecco.

Quando inevitabilmente arriva il momento in cui ti senti impotente, tutto come d’improvviso perde ogni senso e ti svuoti. Si torna alle origini, pagina bianca da scrivere. Mille le domande.

Cosa ci spinge ad andare avanti ogni giorno? Perché si fa quello che si fa? Ma soprattutto, dove stiamo andando? E perché?

Si potrebbe rispondere che, per qualche motivo, troviamo un senso in quello che facciamo, un’intima convinzione che sia la cosa giusta (giusta per chi?). I più fortunati la chiamano visione.

Visione é una di quelle cazzate che si scrivono sul curriculum e in cui finisci per credere per davvero. Visioni sono anche quelle che avevano in testa i figli dei fiori, con o senza aiuti lisergici. Una visione é qualcosa che ti guida, che non devi mai perdere d’occhio. È una cosa che ti cade addosso all’improvviso e poi non smetti più di vederla, ovunque. È una cosa bella, la visione. Ma non si trova per caso; anzi, direi che non si trova proprio; é lei che ti viene a prendere, un giorno.

La mia visione é una fotografia aerea ti me che sto volando sopra alla mia vita. Non le manca niente.

A volte, però, ti da picche e ti lascia piantato lì, come un coglione. È roba da gente tosta, una visione. Bisogna saper reagire, non sprofondare in quella pesante cortina nera che ti vuole avvolgere e stritolare, battere un colpo e trovare una soluzione quando tutto perde all’improvviso ogni senso.
Perché una visione divora tutto il resto. Tutto si piega a lei, tutto é distorto e si rischia di perdere le proporzioni. E di colpo allora ti rendi conto, quando lei ti lascia, che le cose non sono poi così come pensavi. In genere le cose, per la verità, non seguono affatto il filo del tuo discorso. Se ne fregano abbastanza, loro, della tua visione.  Loro sono, e basta.

E tu ti trovi lì, lasciato solo di fronte alla cruda realtà, all’assenza di ogni senso e senza un percorso da seguire. Rischi di affondare con la nave, da buon capitano. E allora succede una cosa strana. Come all’improvviso, capisci. È un attimo appena, una folgorazione, una miccia che si accende e si spegne di colpo che bisogna essere bravi a non lasciarsela sfuggire...

Capisci che non c’é visione che regga, non c’é un cammino scritto davanti a te. Non esiste in quanto tale. Sei tu che credi di averlo trovato e ti sforzi in tutti i modi di seguirlo. Ma a volte succede che perdi la strada, ed é qui che ti devi girare indietro, verso quello che conosci già. O almeno credi.



Guarda all’orizzonte, é da lì che vieni. Non devi dimenticarlo mai.

Percorri con lo sguardo il percorso che hai fatto finora, arriverai a vedere delle impronte per terra. Sono le tue. Sono quelle lì che ti hanno portato dove sei ora, ad essere la persona che sei. Niente é stato casuale, poiché ogni deviazione ti avrebbe portato in un altro posto, in un altro tempo. Dimensioni parallele. Multiversi. Indeterminazione. E invece sei lì. Ed é l’unica cosa che sai, in questo momento.
Sei il prodotto di miliardi di eventualità, milioni di variabili incontrollabili in gioco. Istanti in cui hai dovuto fare scelte che hai voluto credere in coscienza essere razionali. Che hai voluto credere di stare controllando. Beh, non era così.

Se ti sforzi un po’ vedrai che le impronte finiscono proprio sotto i tuoi piedi. Non un passo più in là.

Ora, rimani fermo un momento. Rifletti. La linea che vedi é composta da una serie di punti. Non é un percorso deciso in partenza, é una serie di punti. Una serie di passi. La meta é un illusione che ci fa credere di avere un qualche controllo sulle nostre decisioni, ma la realtà che viviamo ogni giorno é il caos. La visione ci aiuta appena a scegliere che direzione prendere, ma se siamo così stupidi da proseguire ciecamente in avanti senza guardarci intorno, va a finire che ci perdiamo caro mio.

Ed eccoci qui. Potremmo essere ovunque, ma siamo qui. E allora tanto vale guardarci intorno e scegliere, coscientemente, cosa vorremmo fare. Non cosa dovremmo. Riparti in avanti e non ti perdere un attimo pensando a dove dovresti stare andando. Goditi tutto quello che hai intorno e quello che trovi. Se ne hai la forza, tieni in mente anche tutto quello che hai già passato e cerca di unire i puntini passo dopo passo, ma sempre guardando in avanti.

E non ti preoccupare della visione. Una vera visione non vuole essere seguita, ma che é lei che cammina al tuo fianco, passo dopo passo, perché in realtà siete la stessa cosa.



La tua visione sei tu.






“Life is what happens to you while you're busy making other plans.” 
― John Lennon