venerdì 2 dicembre 2011

Responsabilità partecipativa contemporanea


Il tempo, come ormai è comunemente accettato, è relativo. Relativo in molti sensi. Einstein ci spiega che piú rapidamente ci muoviamo, piú il tempo si dilata in sé. Passa piú lentamente. Concetto per lo piú teorico, di cui abbiamo scarso riscontro nella nostra vita quotidiana, ma che é pur sempre lí. Un fenomeno fisico in sé e uguale per tutti che potremmo definire, con buona pace di Einstein, assoluto.
La dilatazione del tempo peró, a livello umano, é soprattutto psico-emozionale. Un qualcosa, questo, che tutti abbiamo sperimentato in prima persona. Dilatazione qualitativo-quantitativa. Un processo, questo, estremamente relativo.
Potremmo allora dire che sono le nostre azioni e le circostanze in cui ci troviamo a cambiare il tempo. Ne cambiano il corso e ne cambiano la sostanza. Sentiamo di averne di piú o di meno e lo viviamo in maniera diversa.

È forse vero anche il contrario? Puó il tempo influenzare le nostre azioni? Direi proprio di si e, ancora, in piú di un senso. Se intendiamo il tempo in maniera assoluta come il tappeto rosso che si srotola davanti a noi, quale in effetti é, quello che possiamo conoscere solo all’indietro e vivere solo in avanti, allora é evidente che non ci comportiamo di certo nello stesso modo in cui ci si comportava, ad esempio, nel Medio Evo. Se invece lo interpretiamo in maniera relativa, allora é anche vero che non ci comportiamo nello stesso modo nemmeno al sapere di avere un minuto o 10 ore per fare qualcosa.

Le nostre azioni, intese come azioni della collettività, hanno avuto lungo la storia enormi conseguenze. Non hanno in questo caso modificato il tempo in sé, che continua inesorabile il suo corso come ha sempre fatto; hanno peró modificato la nostra societá e il modo in cui vediamo il mondo. L’insieme delle inevitabili conseguenze che ogni azione porta con sé ha modificato la nostra concezione del tempo in cui viviamo e, di conseguenza, il nostro modo di vivere in esso. Necessariamente, ogni nuovo tempo ha poi portato con sé azioni diverse, nuove anch’esse. É la storia dell’evoluzione e del progresso della nostra societá nel tempo, la stessa che ci spinge costantemente a cambiare il modo in cui agiamo e vediamo il mondo.
Le nostre azioni influenzano il tempo. Il tempo influenza le nostre azioni.

Le nostre azioni influenzano le nostre azioni.

Il trascorrere del tempo porta con sè avvenimenti e novità, scoperte e idee. Una nuova concezione della societá e della natura che ci circonda. Un nuovo rapporto con la spiritualitá e una nuova scienza. Nuovi rapporti interpersonali, nuove esigenze e nuove paure. Una nuova visione del mondo e concezione del nostro ruolo di suoi coinquilini privilegiati. Un nuovo paradigma comunemente accettato da tutti per descrivere il complesso e intricato insieme di relazioni in cui viviamo, nel cui ci muoviamo.
Tutto cambia, con il tempo. Tutto cambia, perché non riusciamo a stare fermi. Siamo inesorabilmente mossi da qualcosa, qualcosa che ci spinge a fare meglio di prima, a cercare nuove soluzioni per vivere meglio o anche per il puro e semplice piacere della scoperta e della conoscienza. Siamo nomadi, non ci accontentiamo mai.





Il sistema in cui ci organizziamo si è costantemente evoluto fino ad arrivare qui, oggi. Ma al percorrere la linea del tempo si vede quel che si ha alle spalle ma non quel che si ha davanti, credendo spesso di essere arrivati. Che non ci sia niente di nuovo piú. Accade peró, spesso non senza sorpresa, che quella linea si allunga ancora un po’, e un altro po’ ancora...e cosí continua, sempre.
L’uomo si é sempre organizzato in una qualche struttura sociale, per sopravvivere. Da ognuna di essa é inevitabilmente emerso un certo gruppo di persone che, per qualitá o meriti fuori dalla norma, si é assunta la responsabilitá di guidare gli altri verso un cammino sicuro. Organizzazione della societá e leadership. La cosiddetta classe dirigente, quelli che, in un modo o nell’altro, reggono il potere tra le dita.
Ogni sistema ha prodotto una classe simile salvo poi, seguendo l’inevitabile corso della storia e del tempo, abbandonarla nel momento in cui nuove forze e pulsioni hanno prodotto un cambiamento sostanziale nel sistema di cui quella classe dirigente era l’espressione. Curiosamente, si tratta spesso e volentieri di qualcosa originatosi e all’esterno della classe dirigente stessa. La classe dirigente, il gruppo dei potenti, per definizione, tende ad autoperpetuarsi. Tende a rimanere al potere. Con o senza malizia. Vuoi perché non vedano il cambiamento, vuoi perché non lo accettino. Vuoi perché vogliano rimanere al potere, dimenticandosi del motivo per cui ci sono arrivati: servire gli altri per via delle proprie capacitá fuori dalla norma. Si tratta spesso di una degenerazione di qualcosa di nobile in qualcosa che suona molto come “il potere per il potere”. Da che mondo é mondo il sistema stabilito si é potuto cambiare solo grazie a spinte provenienti dall’esterno della classe dirigente di quello stesso sistema. A volte in modo sommamente violento e tragico. A volte meno. Sempre e comunque obbediendo all’ineluttabile pulsione umana che ci richiede, gridando, progresso.

Ma che cos’é il progresso? Significa forse modernizzazione? Significa fare piú soldi? Significa fare di piú con meno? Progresso significa un qualche insieme di azioni volte al miglioramento della condizione di vita umana. Si puó parlare di progresso tecnologico, scientifico, ecnomico, sociale etc...
La naturale sete di progresso, intrinseca nell’uomo, ci ha sempre spinto verso il cambio. Ineluttabilmente, il cambiamento arriva. Lo si voglia o no. E tende ad arrivare per mano di chi non beneficia piú di tanto del sistema attuale, normalmente gli stessi ad avere piú urgenza nel cambiarlo. Non si tratta forse di qualcosa di particolarmente nobile. Il potere corrompe chiunque. Forse si tratta di mera causalitá. Chi non ha, vuole; chi ha giá, non vuole cedere.

Considerando l’inesorabilitá del cambiamento, che ci accompagna da sempre, emerge il fatto che niente é giusto o sbagliato in sé e per sé, ma andrebbe sempre giudicato nel suo contesto storico, socio-economico, tecnico-scientifico. Tutto é relativo. La migliore opzione 100 anni fa probabilmente non lo é piú ora, visto il progresso maturato in questo lasso di tempo. Vale allora la pena fare qualche domanda: 
  1. Quali sono i tratti salienti che caratterizzano il sistema in cui viviamo? Sono adatti al nostro tempo, sia in termini di esigenze che di possibilità? Ovvero, questo sistema é in grado di soddisfare le esigenze dell’umanitá del giorno d’oggi? Si avvale di tutti gli strumenti che migliaia di anni di progresso gli mettono ogni giorno a disposizione? Ma soprattutto, sta usando adeguatamente le incredibili possibilitá che il vertiginoso progresso tecnico-scientifico degli ultimi 100 anni, seguendo un andamento esponenziale, gli continua a fornire giorno dopo giorno?
  2. Crediamo esista un’alternativa migliore a questo sistema? Con alternativa non intendo dire andare a vivere sulla Luna, ma un’alternativa concreta, attuabile, percorribile ma sostanziale all’architettura che permea la nostra visione del mondo.
  3. Cosa sta facendo l’attuale classe dirigente per preservare il proprio potere, al giorno d’oggi? Se il progresso esiste davvero, forse hanno in mano gli strumenti piú potenti di sempre per garantirsi di mantenere saldo il potere nelle loro mani. Immaginando che sia cosí, quali sono questi strumenti? Stanno influendo nella nostra capacità di immaginarci un’alternativa?





Il sistema in cui viviamo si contraddistingue per una diseguaglianza estrema. Se tutti gli uomini sono nati uguali, apprendiamo ben presto che non é affatto cosí. Vediamo costantemente bambini morire di fame o, anche se non li vediamo, sappiamo perfettamente che sono lí. Uno ogni 5 secondi in media su questo pianeta. Qual é la differenza tra loro e noi? Mera casualitá. L’essere nati nella parte sbagliata del mondo. Concepiti nel letto sbagliato. Siamo davvero pronti ad accettarlo e a continuare a tenere chiusi gli occhi?
Vogliamo davvero continuare a inchinarci ad un sistema cannibale basato sul mito della crescita e del profitto? Vogliamo stare a guardare mentre come un cancro divora tutte le risorse del pianeta su cui viviamo da sempre, senza offrirci nessun’altra possibilitá?
Viviamo in una societá giusta, o forse siamo tutti solamente degli egoisti? Siamo davvero tutti struzzi che finché non ci tocca a noi il problema non esiste? Guardiamo sotto un’altra prospettiva quello che sta succedendo in Europa. Siamo pur sempre lontanti anni luce da quello che é sempre successo in aree piú o meno remote del pianeta. Soprusi, violenze, morte, povertá. Eppure é quello che ci aspetta, prima o poi. Anche a noi ricchi, educati e perbene.
Il punto, qui, non é quando arriverá. State pur certi che arriverá. Il punto é se riusciamo davvero ad accettare l’idea che arrivi, fino al punto da rimanere inermi sulla rotta di collisione aspettando l’impatto.

Io credo che un alternativa sia possibile. E credo che sia ora di prendersi le proprie responsabilitá, in prima persona. Non si puó pretendere di essere ascoltati seriamente senza dare l’esempio. Gandhi diceva

sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo

E allora per quanto mi riguarda cercheró di fare del mio meglio, nel mio piccolo, per cambiare le cose. A cominciare da qui. Per elaborare e proporre un’alternativa. Magari per essere d’ispirazione a qualcuno. Al pari di tutte quelle, tante, persone che lo sono state per me. Di quelle che continuano ad esserlo. Di quelle che lo saranno.

Credo che sia arrivato il momento di aprire gli occhi, di alzarsi davvero in piedi e di prendersi, tutti, le proprie responsabilitá. Di togliere la testa dalla sabbia. Perché se non lo facciamo, se non agiamo subito, immediatamente, ognuno cosí come potrá, possiamo ben considerarci complici di tutto quello di cui tanto ci piace lamentarci.

Il tempo cambia e si evolve, e noi con lui. Il tempo di aspettare che qualcuno faccia qualcosa é finito. É iniziato il tempo della responsabilitá partecipativa. Attiva. Contemporanea. Individuale prima ancora che collettiva.


Agire per cambiare il tempo, come abbiamo sempre fatto.




Corre l’anno 2011. 

Chissá se il 2012 sará davvero la fine del Mondo. As we know it.









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