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sabato 8 dicembre 2012

It’s evolution, baby!

A volte penso che siamo spacciati. Siamo come un’auto lanciata a folle velocitá contro un muro. In origine non lo sapevamo che stava lí, ma é da un po’ di tempo ormai che lo vediamo forte e chiaro. Evitarlo ormai non si puó, troppo tardi. Le cose sono due: o per lo meno rallentiamo e cerchiamo di ridurre i danni, oppure continuiamo a far finta di niente, ostriche e champagne fino al momento dello schianto.

Ultimamente peró, mi ha colpito pensare che forse dietro questa corsa ci sia ben piú di quel che sembra. Qualcosa che non si vede eppure muove da sempre i fili della storia, instancabile: l’evoluzione della specie.
Darwin diceva che sono i meglio adattati alle condizioni in cui vivono ad avere piú possibilitá di campare e, quindi, di conservare la specie. Bisogna fare un passo in piú qui. Dal punto di vista biologico infatti non é tanto la sopravvivenza dell’individuo ad essere importante, quando quella dei suoi geni. É proprio lí infatti che risiede la descrizione delle caratteristiche peculiari che gli hanno consentito di adattarsi al proprio ambiente cosí bene da poter sopravvivere. Ed é quindi tramandando i propri geni vantaggiosi che questo organismo fa un favore alla propria specie, visto che in futuro i discendenti meglio adattati saranno sempre in numero maggiore, fino a diventare la norma. É cosí, la specie é qualcosa di piú degli individui. Piú grande, piú importante. E quando si evolve, cioé in continuazione, la cosa non é affatto indolore per gli individui che la compongono.

Allora mi chiedo se non sia proprio questo il punto. Viviamo in un mondo che cambia velocemente come mai. É quindi sempre piú necessario sapersi adattare. Chi non riesce a farlo, rimane indietro. Chi ci riesce invece sará la base fondante per la specie del futuro. Quella da cui si ripartirá dopo lo schianto col muro.

É curioso spiegare come accade che qualcuno si riesca ad adattare meglio di altri. Tutto sta nel fatto che in natura, quella cosa a cui anche gli uomini appartengono, la diversitá non é un problema, ma una ricchezza. Se punti tutto sullo stesso numero in una roulette puoi vincere tanto. Ma hai anche tantissime possibilitá di non vincere proprio nulla. Per questo la natura decide di puntare su quanti piú numeri possibile. É per questo che nel processo attraverso cui i geni vengono tramandati cerca sempre di mischiarli il piú possibile. A volte poi accade anche qualche imprevisto, percui il codice non viene riprodotto come dovrebbe: sono le mutazioni genetiche. Intendiamoci, una mutazione genetica non é buona o cattiva in sé. É semplicemente quello che é: un qualcosa di inaspettato. Sebbene siamo portati a immaginarci deformazioni e cose aberranti quando pensiamo alle mutazioni genetiche (magari retaggio di quelle provocate dall’uomo coi suoi bei giocattoli nucleari), in realtá sono un valido strumento in piú nelle mani dell’evoluzione. Perché puó accadere che siano associate a caratteri sfavorevoli, e in quel caso non vengono tramandate visto che l’individuo muore o comunque avrá maggiori difficoltá di riprodursi, ma puó anche succedere che siano favorevoli. E in quel caso rappresentano un bel vantaggio competitivo, non c’é che dire. Un colpo di fortuna. Non stiamo parlando degli x-men chiaramente, ma con le dovute proporzioni il discorso é in realtá abbastanza simile.

La stessa cosa puó succedere con i comportamenti: alcuni favoriscono la sopravvivenza della specie, mentre altri no. Chiaramente qui la cosa é, almeno in teoria, piú semplice visto che non ci sono mutazioni genetiche random di mezzo. Se si vede che un certo  gioco funziona, sarebbe normale iniziare a giocare secondo le sue regole. La realtá non é poi cosí semplice, almeno non per tutti. Probabilmente anche in questo ci sono individui piú predisposti di altri a cambiare, a esplorare, a curiosare e a provare cose diverse. Ma non c’é dubbio che, visto in termini evolutivi, l’eclettismo é la tendenza ad auto-aiutarsi.

Ma che siano caratteri o comportamenti, viene da pensare che il loro valore evolutivo probabilmente diventa evidente solo nel momento in cui serve davvero. Fino ad allora rimane qualcosa che non si capisce, senza valore. Finché non ti rendi conto che in effetti campare senza é dura. Ma ormai é troppo tardi.
C’é da aspettarsi che inizialmente si veda perfino con sospetto, essendo fuori dagli standard. Qualcosa di strano, di stravagante, di anormale. E tutti sappiamo quanto ci piaccia essere considerati normali, ricadere dentro il rassicurante sacco della media.
Pensateci: immaginatevi la prima comunitá di pesci che si sono spinti a vivere fuori dall’acqua. Muoversi non doveva essere la cosa piú semplice: sicuramente dovevano dimenarsi di continuo, scodare a scatti per saltellare di lato. Eppure pensate al primo che ha messo su le zampe... l’avranno guardato stortissimo! Denigrato e sbeffeggiato: “ma guarda te sto fricchettone che si mette in testa! Mica lui scoda come tutti, no! Ma dove vuole andare, con quelle cosacce che gli spuntano dalle pinne! É bruttissimo! Ti diró che poi, secondo me, é pure cattivo!” Eppure presto sarebbe stata l’evoluzione stessa a zittire tutte le malelingue. Ma daltronde é cosí, il diverso fa paura. Percui si osteggia, di deride, si perseguita al di lá di quello che la razionalitá suggerisce. Eppure se cercate di vedere il futuro, é proprio lá che dovreste guardare.

Mi chiedo allora se non siamo di fronte allo stesso processo, senza accorgercene. Si sta sviluppando in una parte sempre maggiore della popolazione mondiale una certa coscienza ambientale. Qualcosa che va al di lá delle patine verdi di facciata, qualcosa di profondo e vero. Un autentico senso di appartenenza, di rispetto e di ammirazione per la natura. I fricchettoni degli anni ‘60 (come venivano affettuosamente chiamati dai loro denigratori) hanno dato il via a questo processo. Beh, a giudicare dalla diffusione sempre maggiore, verrebbe da dire che l’evoluzione sta dalla loro parte. E se é cosí, di certo non é per partito preso. É perché quel modo di vivere e di rapportarsi col mondo, quella coscienza profonda probabilmente é in grado di assicurare una miglior capacitá di sopravvivere nel mondo di oggi. Il fatto che siano stati a lungo derisi, mentre ora – di fronte all’evidenza – vengono in qualche caso osteggiati, in altri strumentalizzati, non fa che accrescere la mia convinzione.

Mi piace allora pensare che sia cosí. E che in futuro questa coscienza si diffonderá ancora di piú fino a diventare comune a tutta la specie. Proprio perché vantaggiosa. Ma non mi faccio illusioni sul come. Il fatto che dobbiamo capire infatti, e al quale probabilmente ci dobbiamo preparare, é che il processo non sará affatto indolore. Per fare un esempio, non mi aspetto che possa essere una diffusione uniforme come quella che avviene da una bustina di té nell’acqua calda, in cui il té si propaga dalla fonte fino ad estendersi a tutto il sistema. Ammesso che potesse funzionare come strategia, non ne abbiamo tempo. Piuttosto sará una diffusione dovuta alla riduzione delle dimensioni del sistema, fino ad includere la fonte e poco piú. Come quando metti un cucchiaino di miele in un secchio pieno di acqua. Che differenza vuoi che faccia? Ma se fai un buco appena sopra il fondo dove si é depositato il miele, l’acqua esce tutta fino ad arrivare appena sotto il buco. Percui é chiaro che in quel modo l’acqua rimasta sará piú dolce di prima. Ma solo perché ce ne sará molta, molta di meno. L’acqua che ci sará permesso tenere dentro al secchio sará tanto maggiore quando piú riusciremo a metterci d’accordo sul frenare quella macchina lanciata contro il muro prima dello schianto inevitabile. Limitare i danni.

Ma anche dopo le tragedie, le catastrofi, la distruzione cui siamo destinati, la specie continuerá il suo cammino. E sará una specie diversa, senza dubbio. Sará una specie meno miope e piú lungimirante. Una specie che saprá vivere in armonia con la natura perché ne avrá infine compreso l’importanza. Sará una specie che é stata in grado, con le buone o con le cattive, di cambiare rotta.

Per lo meno mi conforta allora pensare che, d’ora in poi, ogni volta che mi sentiró deriso o denigrato per manifestare la mia convinzione che quello che stiamo facendo come uomini é essenzialmente e profondamente sbagliato e controproducente, almeno sapró di avere Darwin dalla mia parte.



“Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto.”
Oscar Wilde.




sabato 26 maggio 2012

Ma quest'Europa, che cos’é?


Bella domanda. Con tutto quello che se ne parla... eppure credo che valga la pena riflettere un attimo su cosa sia, e cosa significhi, davvero, l’Europa. Perché c’é tanta, troppa (e voluta) confusione.



É DAVVERO L'UNIONE CHE FA LA FORZA?

Mi piace pensare all’Europa come unita, ma divisa allo stesso tempo. La scacchiera su cui giochiamo oggi si é ampliata notevolmente, e con essa gli orizzonti. Se un tempo arrivava al massimo ai bordi del vecchio continente, oggi é globale. In questo modo le differenze sono aumentate a tal punto da risaltare paradossalmente quello che abbiamo in comune. L’essere uomini. E, per noi europei, le nostre radici comuni. Che nascono da un’antica storia comune. Da un filo logico – non sempre pacifico – che si é sviluppato, nella sua complessitá e polivalenza, comunque per tutti allo stesso tempo. Dopo la seconda guerra mondiale qualcuno (il vero perché non é l’argomento di cui parliamo, ma varrebbe la pena approfondirlo) si rende conto che in fin dei conti é arrivato il momento di guardare al di lá delle differenze che ci hanno portato 30 anni di guerra. Per farle diventare opportunitá, invece che causa di problemi. A ben vedere, si tratta di qualcosa di fantastico. É bellissimo. É vero progresso.

L’Europa, da quel momento, diventa un polo di vero progresso. Diventa un sogno. Si distingue da tutto il resto del mondo. Non si tratta del vecchio motto opportunistico “l’unione fa la forza”. No, non c’é niente da guadagnare dall’essere uniti se non se ne capisce il perché. La vera rivoluzione qui, sta nel riconoscere la nostra diversitá e nel guardare oltre. Nell’ampliare la visione d’insieme elevandosí un po’ piú in alto, per vedere che é proprio quella la nostra ricchezza. In realtá qui si parla di cooperazione, non di unione. Un corpo umano non sopravviverebbe se fosse solo composto di cuori. Di quello ne serve uno. Come di un fegato e di un cervello e cosí via. Ma perché l’organismo funzioni bene davvero, essi devono conoscere le loro funzioni alla perfezione, lavorare bene e cooperare bene. Io rimango con quell’idea di Europa, non con quella che oggi ci sbandierano in continuazione davanti agli occhi. L’Europa unita, l’Europa piatta. L’Europa uguale per tutti. A me piace l’idea di un Europa cooperativa che si arricchisce grazie alle proprie mille identitá.



UN'EUROPA PER L'EUROPA

Perché é bene che rimaniamo diversi e lo riconosciamo, affinché la diversitá non torni ad essere tabú e pretesto di guerre. E perché cooperare non significa fingere di essere uguali questo la storia ce lo ha insegnato fin troppo bene. Se si ignora questo, possono solo nascere problemi. Problemi di ipocrisia.

Perché le stesse regole non valgono per tutti. Perché bisogna conoscere il proprio territorio alla perfezione per poterlo amministrare al meglio. Credo che la sovranitá (che appartiene al popolo) vada gestita nella maniera piú locale possibile per potersi adattare alla vera realtá di ogni luogo. Poi, quello che serve dall’alto, é una visione comune per coordinare le politiche locali. Per dargli una direzione chiara e condivisa. Servono principi e valori. Ma poco altro.
A vederla cosí, si direbbe che quello che abbiamo in comune per davvero, é che siamo uomini. Uomini che percorrono quotidianamente strade talvolta profondamente diverse, su uno sfondo storico-culturale e ambientale distinto. Ma dopotutto uomini che hanno le stesse aspirazioni di giustizia, felicitá e amore. L’Europa deve essere questo. Deve essere qualcosa che, a costo di sembrare mieloso e inutile, ci dia una direzione da seguire. Qualora ce la dimentichiamo, calati come siamo nella realtá di tutti i giorni. Deve essere qualcosa di elevato. Qualcosa di “al di sopra”, che veda lontano. Che superi le barriere del tempo e dello spazio, laddove noi uomini spesso restiamo intrappolati. Quello deve essere il suo fine ultimo e unico. Per il resto, occorre che il potere sia gestito laddove va applicato.



SOVRANITÁ E DELOCALIZZAZIONE

Credo che non dovremmo cedere nessun tipo di sovranitá a nessun tipo di ente sovranazionale. Anzi, credo che dovremmo recuperare buona parte della nostra sovranitá a livello sotto-nazionale, a livello locale. Ci sarebbero meno sprechi, piú fiducia e piú partecipazione. Credo che il sistema organizzato gerarchicamente vada piú che bene. Ma credo che serva renderlo piú efficiente, evitando livelli di gestione ripetitivi e inutilianalizzando le vere prioritá. Il vero potere deve restare vicino il piú possibile alla persona, all’uomo. In modo che si adatti alla realtá e rimanga reale. Piú potere ai comuni, dunque. O perfino ai quartieri, nelle grandi cittá. Le province? Non servono, grazie. Le regioni e gli Stati? Discutiamo il loro ruolo. Ma che l’Europa ci sia, e che faccia l’Europa dandoci una direzione giusta da seguire. Una direzione valutata in maniera olistica, che abbia come fine ultimo la realizzazione personale dell’uomo nella sua interezza. E nel rispetto dei suoi diritti, come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.



EURO, DENARO E MONETA

E non credo che la sovranitá monetaria debba rimanere in mano all’Europa. L’Euro potrebbe rimanere, come mezzo di scambio comune europeo, ma essere affiancato da monete nazionali. O meglio ancora, da monete regionali. Il cambio con l’Euro tornerebbe ad essere stabilito nello specifico per ogni valuta nazionale. Cosí come si fa oggi col Dollaro, ad esempio.
Inoltre sono convinto che servano piú e piú monete locali. Lo scambio tra monete locali e nazionali sarebbe sempre 1 a 1, ma queste servirebbero a favorire l’economia locale, a riportarci con i piedi per terra e a far sí che tutti gli ingranaggi del sistema si muovano, e non solo quelli trainanti. E servirebbe a  creare sacche di resilienza, cioé quella capacitá di un sistema di resistere agli urti, ai traumi. A creare attorno ad ogni realtá locale quell’insieme di attivitá produttive fondamentali (alimentazione, energia, casa, lavoro) per assicurare il suo corretto funzionamento, indipendentemente da eventi esterni ad essa.

Ma soprattutto, soprattutto, che la moneta torni ad essere emessa liberamente dallo Stato. O, al livello che si voglia, dalla pubblica amministrazione. Basta con l’emissione privata di moneta a debito. Basta con l’imperialismo della finanza. Basta con il potere privato delle banche internazionali. Basta con l’indebitamento e la schiavitú di intere popolazioni. Basta con la speculazione. Basta con l’FMI, la Banca Mondiale e ora pure l’ESM. Basta con l’usura e il ricatto legalizzato. Quella é la vera cosa da cambiare. E quella si puó cambiare solo localizzando l’emissione di moneta e facendola tornare in mano pubblica. Adeguandola alla realtá produttiva e all’economia locale. Per emetterla quando serve, favorendo attivitá produttive utili alla comunitá e controllando cosí l’inflazione. E scordarsi del debito pubblico. Che tornerebbe letteralmente a significare qualcosa che noi dobbiamo a noi. Pari e patta, grazie.



UN'EUROPA PER IL MONDO INTERO

Io credo nell’Europa. Credo che sia un modello di sviluppo positivo e che si debba differenziare ulteriormente dal resto di quello che vediamo sulla scena mondiale. Imperialismo cannibale mascherato da libero mercato mascherato da sogno americano, e dittatura mascherata da capitalismo di stato mascherato da comunismo cinese. Fuori, ne abbiamo avuto abbastanza.
É ora di dare spazio a un modello di sviluppo che riconosca il valore dell’uomo, prima di ogni altra cosa. Che sia per davvero uno sviluppo sostenibile. Che punti sull’indipendenza energetica, sulla salvaguardia delle risorse naturali, sul rispetto dei diritti umani, sull’educazione e la sanitá pubblica e di qualitá, sul libero accesso e sulla conservazione della cultura in tutte le sue manifestazioni, sull’innovazione scientifico-tecnologica, sul lavoro come strumento di realizzazione personale e non schiavitú. Un modello che punti sulla cooperazione del diverso, invece che sull’appiattimento e l’unificazione.

Io credo che l’Europa debba essere questo. Credo che l’Europa possa essere questo e che in parte giá oggi lo sia. Credo che un sistema del genere, a volerlo tutti per davvero, possa funzionare. E allora l’Europa sarebbe il modello da seguire per tutti. Un modello non imposto e che non impone soluzioni, ma che suggerisce un metodo con l’esempio. Metodo che si adatterebbe poi necessariamente alla specificitá locale. Esaltandola invece che appiattirla. E il mondo intero ne beneficerebbe, arricchendosi invece che impoverendosi continuamente.





Ma anche qui, come sempre, il discorso é deviato, esacerbato, ideologicizzato. Posizioni estreme e partitiche. Gioco ben noto che conviene a qualcuno. Svegliamoci...

...non esiste solo bianco o nero, esiste quello che vogliamo,
in tutte le sue possibili sfumature...

...ragioniamo sul cuore della questione
e andiamo al di lá del problema contingente...

...immaginiamo il nostro mondo, il migliore dei mondi possibili...

...se non si danno le cause per il sorgere di un problema,
non dovremo cercarvi poi una soluzione





venerdì 4 maggio 2012

...e il progresso, dov’é?


Bella domanda. Forse una di quelle domande destinate a restare senza risposta. Non perché non si provi a rispondere, ma perché a ben vedere una risposta – forse – non c’é.
C’é, appunto, la domanda. Ed é quello che serve, ed é quello che basta.



PREMESSA

Viviamo il tempo della modernitá a basso costo. Dell’immediatezza, dell’efficienza, della tecnologia e della comunicazione in un click. Quello di cui non resta piú molto, in questo tempo, é magia. É l’incanto delle piccole cose, svanito lentamente e inesorabilmente. Tutto si vede e si legge in ottica utilitaristica. Il fluire del tempo stesso é visto perlopiú in base a quello che si puó fare, con quel tempo. Il tempo ha un prezzo, e il prezzo é qualcosa che serve a etichettare qualcosa che si puó comprare e vendere.

Ma qui sorge un’altra domanda, ben piú generale ma, a ben guardare, un po’ la stessa. Qual é il senso della vita. É quello che facciamo? É quello che lasciamo dietro di noi, in ereditá ai nostri figli e alle generazioni future? É quello per cui saremo ricordati? E qual é l’estensione della cerchia che questo nostro senso della vita potrá raggiungere allora? Le persone che ci hanno conosciuto in vita, forse, si ricorderanno di noi. Almeno per un po’. Ma state pur certi, per quanto grandiosa la vostra vita possa essere, passata qualche generazione il vostro ricordo si perderá tra le migliaia di fila srotolate e aggrovigliate di nuovo sul tappeto della storia. Qualcuno magari finirá su qualche libro. Nella cyber-era che ci apprestiamo a vivere magari la notorietá ce la dará internet, laddove lo spazio non importa piú e allora ci sará un posticino per tutti. E sará, allora, la piú squallida forma di anonimato, in cui tutti – tutti – potranno avere materiale che li riguarda lí, indelebile pubblicato sull’etere e a disposizione delle generazioni future. Un ricordo indelebile e anonimo. Inghiottito dalla vastitá dell’etere stesso.



E ALLORA?

E allora, e a maggior ragione, continuo a chiedermi  “qual é il vero scopo di quello che facciamo”? La domanda, molto piú prosaica di quanto possa sembrare, nasce dall’esigenza concreta di sapere, realmente, a che serve. Perché dovrei – io insignificante – dannarmi per cercare di cambiare le cose. O meglio, di migliorarle. Giá, migliorarle, eccoci di nuovo al progresso. Di che si parla quando si parla di progresso? Il progresso é la continua aspirazione della razza umana a cercare di vivere meglio. Hmmm, no. Non proprio. Detto meglio “é l’aspirazione al miglioramento della condizione umana”. E allora direi che la mia voglia di migliorare le cose ha a che vedere con il progresso. Bene, primo punto.

Peró continuo a chiedermi, su cosa ci basiamo per dire che il progresso é progresso? Se é vero che ognuno di noi pensa con la propria testa (...) allora ognuno vedrá anche un qualsiasi miglioramento in modo diverso. E quindi il progresso.
Il fatto é che – evidentemente e al pari di tante altre cose – questa nostra societá cosí evoluta e cosí moderna sta appiattendo anche le nostre menti. Al pari di qualsiasi altra forma di diversitá. Diversitá che non viene piú riconosciuta come ricchezza ma come – in definitiva – un fastidio generico. Diversitá che viene necessariamente livellata secondo criteri e programmi ufficiali. Il progresso, oramai, é necessariamente unico, improntato ai criteri della moderna societá occidentale. Quella consumistica e capitalistica eccetera... oggi lasciamo perdere queste cose che tanto le sappiamo. Mi voglio solo concentrare sul “siamo davvero convinti, noi occidentali, di vivere meglio”? Siamo cosí convinti che questo modello significhi davvero progresso? Parlo del modello occidentale in sé, nella sua versione piú idealistica e pura e senza considerare quelle degenerazioni che, in ogni caso, abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Esiste IL progresso? Ne davvero siamo talmente convinti da poterci rinchiudere in questa nostra fede, ciecamente (come fin troppo spesso accade) e in modo da non vedere nient’altro della ricchezza che pur ci circonda? Come i colonizzatori imposero la nostra religione e il nostro stile di vita, come gli eserciti ora impongono la nostra democrazia, come i supermercati impongono le solite quattro marche, come le grandi imprese impongono certi modelli di produzione, come la tv ci impone certi programmi, come la scuola ci impone di studiare certe cose... dov’é finita la scelta? Questo progresso imposto é davvero quello che vogliamo?



IL PROGRESSO SECONDO IO

Basta domande, ora bisogna capire. Capire che non c’é cosa che ci arrichisce di piú se non la diversitá e la curiositá di esplorare, di capire il diverso. Ognuno e individualmente. Personalmente e soggettivamente. Ognuno, avendone la possibilitá, vede il progresso alla sua maniera. Per me, progresso significa che ognuno dovrebbe avere la possibilitá di arricchirsi, durante la sua vita, della vita stessa. Credo che il vero senso della vita sia proprio vivere. Sia camminare per il camminare, non per l’arrivare. Il viaggio é la destinazione. Credo che la vita serva per imparare cos’é la vita, in tutte le sue sfumature. Apprezzarne la varietá e lasciarsi sopraffare dalla sua grandezza, che mai riusciremo a cogliere del tutto. Ma nonostante questo, provarci! Ogni giorno di piú. Credo che é questo quello che mi muove, oggi. A volte mi sento atterrato da questo tensione auto-imposta al conoscere, conoscere, conoscere... ma poi ricordo del perché, un giorno, arrivó: lo sentivo necessario. A volte significa non vederne la fine e, quindi, lo scopo. A volte significa chiedersi “Ma perché”? Momenti in cui smarrisci il senso di quello che fai. Eppure passano. Residui di una mente utilitaristica che spero di assottigliare sempre piú. E impari, anche da quelli, come da tutto.

In definitiva credo che il progresso sia uno stato mentale. Credo che sia uno stato mentale che dovremmo diffondere sempre piú. Uno stato mentale positivo e inquieto, che spinge ad alzarsi felici ogni giorno perché quello che sta per accadere é davvero irrepetibile. Cosa imparerai oggi? Quali fili stai per unire che ancora non sai? In che forma ti arricchirai oggi? Non c’é niente di frustrante nel non vederne la fine, una volta che capisci che la fine non c’é. Allora é il percorso stesso che importa. E l’importanza tornano ad averla i sempre di piú compagni di viaggio, troppo spesso dimenticati. Ancora piú che i resoconti dei posteri.
Ci si sente leggeri perché, si sa, a camminare continuamente non ti puoi portare dietro piú di quelle quattro cose che davvero ti servono. La ricchezza non é materiale, sta su un’altra dimensione e te la puoi sempre portare dietro.
Progresso é il recuperare la bellezza di una vita semplice, lo spogliarsi di tutte quelle costrizioni fastidiose che ci hanno messo addosso sin da piccoli, con la scuola, la chiesa, il lavoro e la responsabilitá di che? La responsabilitá di ognuno é quella di seminare il meglio che puó, perché dei frutti che nascono ne possano beneficiare tutti quanti, no? La responsabilitá di ognuno é migliorare le cose, quindi prima di tutto migliorare sé stessi.

Il progresso... strano, ma non sembra esistere una cosa simile nel resto del regno animale. Tante volte guardando quella meraviglia che sono i cani (a me sembra sempre che siano felici e sorridenti), ti chiedi “ma cos’é che li rende cosí felici, se altro non fanno che ripetere le stesse cose tutti i giorni e, in fin dei conti, passano la loro vita standosene buoni in casa o dove li mettiamo noi”? E la stessa cosa mi chiedo quando guardo i documentari sugli animali selvatici... tante storie per – alla fine – nascere, trovare qualcosa da mangiare ogni santo giorno per arrivare a riprodursi e poi, un giorno, morire. La conservazione della specie, mi si dirá. Giá, ma il senso della loro vita – individualmente parlando – dov’é? Esiste?
Nel modo in cui la intendiamo noi, oggi, no. Ma io credo che forse dovremmo imparare da loro, perché c’é un grande senso della vita in quella routine. Al pari di quella che c’é nei cosiddetti “paesi del terzo mondo” dove non c’é scuola, educazione, istituzioni, lavoro etc. Eppure i bambini crescono e imparano. Imparano quello che gli serve e diventano uomini. Al pari nostro. Non dovremmo poi sentirci tanto superiori, ma rispettare questa diversitá. Contestualizzarla, certo, ma rispettarla. Perfino imparare da essa, giacché ha tanto da insegnarci.



Lasciamoci affascinare dalla diversitá, rimaniamo affamati di conoscenza.



Imparare a vivere é la cosa piú vicina al progresso che finora sono riuscito a trovare.