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martedì 23 luglio 2013

L’emergenza della vita sulla Terra

Una notte stellata, guardando il cielo. Quel silenzio che porta consiglio e aiuta la riflessione. Vi siete mai chiesti qual è il nostro ruolo in tutto questo? Vi siete mai sentiti piccoli e inutili, impotenti, di fronte alla vastità delle galassie e del cosmo? Avete mai provato quel senso di irritazione per il fatto che ci consideriamo così importanti, quando in realtà altro non siamo se non un insignificante puntino disperso in uno spazio senza limiti? È bello, è perfino utile a volte, provare questo senso di vertigine, aiuta a dare una prospettiva a tutto quello che facciamo. Personalmente, penso che tutto abbia un senso. Il fatto è che forse non dovremmo cercarlo a priori. Forse ce l’ha, ma è ancora nascosto. È lì, ma deve ancora sbocciare. Glielo darà poi la storia.

La storia, quel susseguirsi di puntini uno dietro all'altro in fila indiana, così piccoli e insignificanti a guardarli da vicino. Così meravigliosamente importanti e significativi a guardarli in successione, a vedere in che direzione puntano nel loro complesso. La storia é un po’ come la vita, ha senso solamente a guardarla dalla fine, all'indietro. Chi può infatti dire di conoscere la vita, o di comprenderla, a priori? Chi può dire che quell'ammasso di molecole, di elementi, di particelle che sono i mattoncini costitutivi della vita, abbia un qualsiasi senso per noi, se non osservando il risultato di miliardi di combinazioni andate a male e di altrettante andate bene, fino a formare il risultato compiuto e meraviglioso che abbiamo davanti agli occhi? Chi può interpretare gli avvenimenti in partenza? Chi comprende la prospettiva ultima che li definisce, o l’orizzonte temporale sconfinato sul quale agiscono? Dio, risponderà qualcuno; nessuno, risponderà qualcun altro. Non é questo il punto.

Per noi uomini, così limitati, non è possibile né forse lo sarà mai. Per noi, pur capaci di raggiungere vette cognitive ammirevoli, picchi filosofici e scientifici incredibili, c'è qualcosa che rimane necessariamente inesplorato e sempre lo rimarrà. Per noi, in grado di meravigliarci di fronte alla vastità e immensità dell’universo dentro e fuori di noi, in grado di porci domande eterne e senza risposta. Per noi che non ci rassegniamo alle frontiere che da sempre limitano la nostra conoscenza... per noi, in definitiva, non esiste altro che il qui e l’ora. Esiste quello che conosciamo in questo momento e le nostre azioni sono – spesso – guidate da questo tipo di sapienza, necessariamente e inesorabilmente limitata. Eppure, a guardarli con gli occhi del tempo, le nostre piccole azioni in fila indiana possono avere conseguenze inimmaginabili. Conseguenze che vedremo solo dopo, mai prima.

Perché è cosi che funziona l’intero universo. Funziona in base a leggi molto semplici, ma mai banali. Parrebbe, a guardarlo al microscopio, che funzioni in maniera meccanica, priva di intelletto o di scelte da compiere. Se in maniera orchestrata o del tutto casuale, dopotutto, non ci interessa. Il punto è che funziona in maniera molto semplice, ma su scale cosi enormi, nello spazio e nel tempo, che queste semplicissime leggi fisiche si sommano, si uniscono, si potenziano e generano l’inaspettato e l'inaspettabile. Emergono nuove proprietà ogni volta che saliamo di livello, ogni volta che la complessità del sistema aumenta. Ogni volta che cambiamo la lente e dal microscopio passiamo dapprima all'occhio e poi al telescopio nuovi mondi nascono, regolati da quelle che sembrano nuove leggi ma non lo sono. Cambia solo il modo in cui le interpretiamo, il modo in cui le capiamo. Il tutto non corrisponde mai alla la somma delle parti, c'è sempre qualcosa di più, un valore aggiunto. Si chiama emergenza: all'ampliare la prospettiva di osservazione, all'aggregare componenti e aumentare la complessità del sistema indagato emergono tratti inaspettati, comportamenti nuovi e imprevedibili. Succede con l’universo intero e con qualsiasi sistema complesso osserviamo; succede con la storia e persino con i sistemi creati dall'uomo come l’economia e la finanza; succede con la vita: è l’emergenza della vita, il sorgere di forme di vita sempre più complesse e splendidamente adattate al loro ambiente, partendo da mattoncini insignificanti e inanimati. È il meccanismo su cui appoggia l’evoluzione.

Ed è la bellezza della vita. La bellezza, ciò che noi interpretiamo come simmetria, come equilibrio, come armonia; ciò che vediamo come un fine, un qualcosa di prefissato da raggiungere, sta in realtà tutta qui. Sta nel fatto che nel tempo, in seguito a miliardi e miliardi di prove e di tentativi, le cose si sono infine evolute sino allo stadio in cui noi oggi le vediamo, le conosciamo, e che interpretiamo come bello proprio perché perfettamente adattato ed in sintonia col proprio ambiente. La bellezza dentro e fuori di noi è il risultato di miliardi di miliardi di puntini messi in fila, di prove andate più o meno a buon fine, di sbagli poi rimediati, fino a che un altro sistema migliore non è più possibile, per cui quello che esiste deve essere per forza armonioso, in equilibrio, perfetto. Bello. Non c'è un fine in tutto questo, ci sono regole molto semplici che si ripetono e ci conducono fino a dove siamo oggi. Siamo noi, poi, a cercarlo un fine in tutto questo. E spesso c'è, ma non è proprio là dove lo stavamo cercando. Ma questo si capisce solo dopo, mai prima.

E allora ha senso cercare di interpretare tutto questo a priori? Di fronte al mare di sconfinate possibilità, alle infinite rappresentazioni  che può assumere un evento davanti ai nostri occhi inesperti, ai miliardi di strade che può prendere la vita e la storia ad ogni singola frazione di secondo, come possiamo pretendere di intravvedere seppur per un istante l’orizzonte del tempo? Non possiamo vedere il futuro, ma possiamo imparare dal passato e vivere il presente. Il presente, uno appena di quei miliardi di puntini in successione perpetua che fanno la storia. Vivere il presente con cognizione di causa è tutto quello che possiamo fare, per poi – un giorno – voltarci all'indietro e capire la portata di quel puntino tracciato quasi per caso, capire dove effettivamente avrebbe diretto la storia, capirne il peso e l’importanza. Ma lì per lì, no. In questo siamo limitati, dobbiamo capirlo. Ma non per questo serve porci altri limiti. Perché non fare semplicemente il nostro, ciò che riteniamo in ogni momento la scelta migliore, la scelta più giusta, e aspettare poi di vedere come si combinerà inaspettatamente con i miliardi di miliardi di altre scelte simili lungo i meandri dello spazio e del tempo?

L’emergenza della vita sulla Terra significa la vita che nasce ogni giorno dalla successione degli eventi, dalle scelte che si fanno, dalle strade che si percorrono, senza che ce ne rendiamo conto. Ma anche, secondo un gioco di parole beffardo, il fatto che la vita sulla terra, oggi, è in uno stato di emergenza. Di eccezionale rischio e instabilità. Di straordinario pericolo. Ed è qui che nasce, infine, la questione della sostenibilità. Dobbiamo fare qualcosa per rendere il nostro mondo più sostenibile, aumentare le nostre probabilità di sopravvivere nel tempo assieme col nostro pianeta e tutto quanto ci circonda, visto che senza di esso non potremmo, in ogni caso. Ma attenzione: dobbiamo non perché lo decidiamo noi, ma perché non c'è altra scelta. Insostenibile non significa infatti moralmente o eticamente sbagliato, significa semplicemente che non può continuare, che lo vogliamo o no. Ma anche volendo, come potremmo farlo se in fin dei conti non riusciamo a vedere il futuro, non possiamo immaginare cosa succederà e non abbiamo in ogni caso il controllo sulle conseguenze profonde di ciò che facciamo? Se siamo così piccoli che ci sentiamo schiacciati a confrontarci con gli eventi? Se ci sentiamo insignificanti di fronte a problematiche globali e ad orizzonti sconfinati? Cosa potrebbe fare una singola persona come me, o un insignificante gruppo di persone come noi, di fronte a simili magnitudini?

Quando vi ponete queste domande, guardatevi allo specchio. Voi stessi siete la prova vivente dell’emergenza della vita sulla Terra. Se gli elettroni si chiedessero che differenza farebbe ruotare o no attorno ai nuclei degli atomi, se le molecole che avete all'interno del vostro corpo pensassero che dissociarsi per liberare energia all'interno delle cellule fosse inutile, se il cuore si chiedesse che senso abbia continuare a battere... voi oggi non sareste qui. Non potreste guardarvi allo specchio. Ognuno fa la sua parte nell'universo. E la fa, semplicemente, perché quello é il suo ruolo. Il cuore batte senza chiedersi il perché, perché è semplicemente quello fa per costituzione: batte. Perché i tessuti di cui si compone si contraggono e rilassano ritmicamente, così che lui non deve in realtà decidere nulla, ma per noi è fondamentale che lo faccia.

Noi siamo uomini, abbiamo il privilegio di poter ragionare, di poterci meravigliare, di poter tendere alla conoscenza, di poter decidere se agire o non agire. Questo è il nostro privilegio e questo è il nostro ruolo. Quello di avere un impatto sul nostro ambiente in molti modi diversi. Ma il nostro dovere é sempre lo stesso. Fare ciò che ci viene richiesto nelle circostanze in cui ci troviamo. E allora nel momento in cui vi guardate allo specchio pensate anche alle conseguenze di tutto quello che voi, e altri 7 miliardi di esseri simili a voi, stanno avendo su questo pianeta, su questo enorme sistema complesso che é la Terra, che assieme a noi ospita milioni di altre specie viventi e che vive secondo una grandezza che per noi risulta appena comprensibile. E smettete di pensare al fatto che qualsiasi vostra azione, in comparazione, possa essere insignificante. Semplicemente, agite. Fate come gli elettroni, come le molecole, come gli organi. Noi uomini ci interroghiamo, poi capiamo, poi agiamo. Non preoccupatevi di cosa verrà dopo, fate ciò che credete giusto. Muovete il vostro puntino di presente nella direzione che la vostra coscienza vi indicherà come giusto. Il resto seguirà, emergendo ancora una volta dalle righe della storia. E allora, ma solo allora, al girarvi all'indietro, comprenderete la potenza di quel gesto così insignificante. Comprenderete cosa, per davvero, voleva dire sostenibilità.

Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, di cui siete la prova vivente. Guardatevi allo specchio e pensate all'emergenza della vita, che vi spinge ad agire. Il resto, poi, verrà da sé. Nel momento in cui tu stesso sei la prova del successo, agire diventa un dovere per chiunque.





venerdì 4 maggio 2012

...e il progresso, dov’é?


Bella domanda. Forse una di quelle domande destinate a restare senza risposta. Non perché non si provi a rispondere, ma perché a ben vedere una risposta – forse – non c’é.
C’é, appunto, la domanda. Ed é quello che serve, ed é quello che basta.



PREMESSA

Viviamo il tempo della modernitá a basso costo. Dell’immediatezza, dell’efficienza, della tecnologia e della comunicazione in un click. Quello di cui non resta piú molto, in questo tempo, é magia. É l’incanto delle piccole cose, svanito lentamente e inesorabilmente. Tutto si vede e si legge in ottica utilitaristica. Il fluire del tempo stesso é visto perlopiú in base a quello che si puó fare, con quel tempo. Il tempo ha un prezzo, e il prezzo é qualcosa che serve a etichettare qualcosa che si puó comprare e vendere.

Ma qui sorge un’altra domanda, ben piú generale ma, a ben guardare, un po’ la stessa. Qual é il senso della vita. É quello che facciamo? É quello che lasciamo dietro di noi, in ereditá ai nostri figli e alle generazioni future? É quello per cui saremo ricordati? E qual é l’estensione della cerchia che questo nostro senso della vita potrá raggiungere allora? Le persone che ci hanno conosciuto in vita, forse, si ricorderanno di noi. Almeno per un po’. Ma state pur certi, per quanto grandiosa la vostra vita possa essere, passata qualche generazione il vostro ricordo si perderá tra le migliaia di fila srotolate e aggrovigliate di nuovo sul tappeto della storia. Qualcuno magari finirá su qualche libro. Nella cyber-era che ci apprestiamo a vivere magari la notorietá ce la dará internet, laddove lo spazio non importa piú e allora ci sará un posticino per tutti. E sará, allora, la piú squallida forma di anonimato, in cui tutti – tutti – potranno avere materiale che li riguarda lí, indelebile pubblicato sull’etere e a disposizione delle generazioni future. Un ricordo indelebile e anonimo. Inghiottito dalla vastitá dell’etere stesso.



E ALLORA?

E allora, e a maggior ragione, continuo a chiedermi  “qual é il vero scopo di quello che facciamo”? La domanda, molto piú prosaica di quanto possa sembrare, nasce dall’esigenza concreta di sapere, realmente, a che serve. Perché dovrei – io insignificante – dannarmi per cercare di cambiare le cose. O meglio, di migliorarle. Giá, migliorarle, eccoci di nuovo al progresso. Di che si parla quando si parla di progresso? Il progresso é la continua aspirazione della razza umana a cercare di vivere meglio. Hmmm, no. Non proprio. Detto meglio “é l’aspirazione al miglioramento della condizione umana”. E allora direi che la mia voglia di migliorare le cose ha a che vedere con il progresso. Bene, primo punto.

Peró continuo a chiedermi, su cosa ci basiamo per dire che il progresso é progresso? Se é vero che ognuno di noi pensa con la propria testa (...) allora ognuno vedrá anche un qualsiasi miglioramento in modo diverso. E quindi il progresso.
Il fatto é che – evidentemente e al pari di tante altre cose – questa nostra societá cosí evoluta e cosí moderna sta appiattendo anche le nostre menti. Al pari di qualsiasi altra forma di diversitá. Diversitá che non viene piú riconosciuta come ricchezza ma come – in definitiva – un fastidio generico. Diversitá che viene necessariamente livellata secondo criteri e programmi ufficiali. Il progresso, oramai, é necessariamente unico, improntato ai criteri della moderna societá occidentale. Quella consumistica e capitalistica eccetera... oggi lasciamo perdere queste cose che tanto le sappiamo. Mi voglio solo concentrare sul “siamo davvero convinti, noi occidentali, di vivere meglio”? Siamo cosí convinti che questo modello significhi davvero progresso? Parlo del modello occidentale in sé, nella sua versione piú idealistica e pura e senza considerare quelle degenerazioni che, in ogni caso, abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Esiste IL progresso? Ne davvero siamo talmente convinti da poterci rinchiudere in questa nostra fede, ciecamente (come fin troppo spesso accade) e in modo da non vedere nient’altro della ricchezza che pur ci circonda? Come i colonizzatori imposero la nostra religione e il nostro stile di vita, come gli eserciti ora impongono la nostra democrazia, come i supermercati impongono le solite quattro marche, come le grandi imprese impongono certi modelli di produzione, come la tv ci impone certi programmi, come la scuola ci impone di studiare certe cose... dov’é finita la scelta? Questo progresso imposto é davvero quello che vogliamo?



IL PROGRESSO SECONDO IO

Basta domande, ora bisogna capire. Capire che non c’é cosa che ci arrichisce di piú se non la diversitá e la curiositá di esplorare, di capire il diverso. Ognuno e individualmente. Personalmente e soggettivamente. Ognuno, avendone la possibilitá, vede il progresso alla sua maniera. Per me, progresso significa che ognuno dovrebbe avere la possibilitá di arricchirsi, durante la sua vita, della vita stessa. Credo che il vero senso della vita sia proprio vivere. Sia camminare per il camminare, non per l’arrivare. Il viaggio é la destinazione. Credo che la vita serva per imparare cos’é la vita, in tutte le sue sfumature. Apprezzarne la varietá e lasciarsi sopraffare dalla sua grandezza, che mai riusciremo a cogliere del tutto. Ma nonostante questo, provarci! Ogni giorno di piú. Credo che é questo quello che mi muove, oggi. A volte mi sento atterrato da questo tensione auto-imposta al conoscere, conoscere, conoscere... ma poi ricordo del perché, un giorno, arrivó: lo sentivo necessario. A volte significa non vederne la fine e, quindi, lo scopo. A volte significa chiedersi “Ma perché”? Momenti in cui smarrisci il senso di quello che fai. Eppure passano. Residui di una mente utilitaristica che spero di assottigliare sempre piú. E impari, anche da quelli, come da tutto.

In definitiva credo che il progresso sia uno stato mentale. Credo che sia uno stato mentale che dovremmo diffondere sempre piú. Uno stato mentale positivo e inquieto, che spinge ad alzarsi felici ogni giorno perché quello che sta per accadere é davvero irrepetibile. Cosa imparerai oggi? Quali fili stai per unire che ancora non sai? In che forma ti arricchirai oggi? Non c’é niente di frustrante nel non vederne la fine, una volta che capisci che la fine non c’é. Allora é il percorso stesso che importa. E l’importanza tornano ad averla i sempre di piú compagni di viaggio, troppo spesso dimenticati. Ancora piú che i resoconti dei posteri.
Ci si sente leggeri perché, si sa, a camminare continuamente non ti puoi portare dietro piú di quelle quattro cose che davvero ti servono. La ricchezza non é materiale, sta su un’altra dimensione e te la puoi sempre portare dietro.
Progresso é il recuperare la bellezza di una vita semplice, lo spogliarsi di tutte quelle costrizioni fastidiose che ci hanno messo addosso sin da piccoli, con la scuola, la chiesa, il lavoro e la responsabilitá di che? La responsabilitá di ognuno é quella di seminare il meglio che puó, perché dei frutti che nascono ne possano beneficiare tutti quanti, no? La responsabilitá di ognuno é migliorare le cose, quindi prima di tutto migliorare sé stessi.

Il progresso... strano, ma non sembra esistere una cosa simile nel resto del regno animale. Tante volte guardando quella meraviglia che sono i cani (a me sembra sempre che siano felici e sorridenti), ti chiedi “ma cos’é che li rende cosí felici, se altro non fanno che ripetere le stesse cose tutti i giorni e, in fin dei conti, passano la loro vita standosene buoni in casa o dove li mettiamo noi”? E la stessa cosa mi chiedo quando guardo i documentari sugli animali selvatici... tante storie per – alla fine – nascere, trovare qualcosa da mangiare ogni santo giorno per arrivare a riprodursi e poi, un giorno, morire. La conservazione della specie, mi si dirá. Giá, ma il senso della loro vita – individualmente parlando – dov’é? Esiste?
Nel modo in cui la intendiamo noi, oggi, no. Ma io credo che forse dovremmo imparare da loro, perché c’é un grande senso della vita in quella routine. Al pari di quella che c’é nei cosiddetti “paesi del terzo mondo” dove non c’é scuola, educazione, istituzioni, lavoro etc. Eppure i bambini crescono e imparano. Imparano quello che gli serve e diventano uomini. Al pari nostro. Non dovremmo poi sentirci tanto superiori, ma rispettare questa diversitá. Contestualizzarla, certo, ma rispettarla. Perfino imparare da essa, giacché ha tanto da insegnarci.



Lasciamoci affascinare dalla diversitá, rimaniamo affamati di conoscenza.



Imparare a vivere é la cosa piú vicina al progresso che finora sono riuscito a trovare. 







martedì 24 aprile 2012

Il senso della vita

Il senso della vita lo trovi in una foto ingiallita di tua madre da giovane, stesso sguardo stesso sorriso. Il senso della vita lo trovi in una domenica mattina che piove e puoi rimanere a letto a rigirarti sotto le coperte. Il senso della vita lo trovi nelle prime gemme sugli alberi in primavera. Il senso della vita lo trovi nel profumo del pane appena fatto che pervade l’aria sopra ogni cosa. Il senso della vita lo leggi in quegli occhi che ti guardano intensi e commossi. Il senso della vita lo scovi nel sorriso sincero di tua sorella, che ti dice che é cresciuta. Il senso della vita é quando niente altro conta se non quello che davvero conta. Il senso della vita é un ricordo sbiadito della tua infanzia che all’improvviso, umile, riaffiora. Il senso della vita é camminare scalzi su di un prato e sentire la vita tutta fremere sotto i tuoi piedi. Il senso della vita é saltare e ballare sfrenati e senza controllo alle note di quella canzone. Il senso della vita sono quelle parole sagge di tuo babbo che da piccolo ti insegnavano il mondo. Il senso della vita é imparare a conoscersi. Il senso della vita é ridere senza un motivo, perché sei felice con lei. Il senso della vita é lasciarsi ispirare da chi lo merita. Il senso della vita é viaggiare e scoprire che c’é sempre da scoprire. Il senso della vita é riuscire a tramandare una bella tradizione. Il senso della vita é dimostrarsi che dopotutto ce la si puó fare. Il senso della vita é sedersi tutti attorno alla stessa tavola di sempre a natale. Il senso della vita é commuoversi e piangere per la bellezza che ci avvolge. Il senso della vita é lasciarsi travolgere dalle emozioni senza volerle contenere. Il senso della vita é vedere prendere forma quello che fai. Il senso della vita sono i colori di un prato in fiore. Il senso della vita é nonostante tutto riuscire a credere in certi valori. Il senso della vita é riuscire a vedere le sfumature tra due colori diversi. Il senso della vita é il rispetto per la vita. Il senso della vita é rinnovare continuamente lo stupore. il senso della vita é innovare per migliorare il domani. Il senso della vita é riuscire ad imparare dai bambini. Il senso della vita é una birra e due risate tra amici. Il senso della vita é abbracciare tuo fratello come foste bambini. Il senso della vita é lasciarsi sopraffare dalla grandezza della natura. Il senso della vita é imparare e conoscere. Il senso della vita é vedere che certe cose per fortuna non cambiano mai. Il senso della vita é affascinarsi per le storie dietro alle persone. Il senso della vita é addormentarsi sul divano. Il senso della vita é sprofondare nella conoscienza di sé per emergerne piú forti. Il senso della vita é capire che tutto, ma proprio tutto, é relativo. Il senso della vita é imparare a riflettere sulle cose. Il senso della vita é ridere. Il senso della vita é ascolare le storie dei nonni. Il senso della vita é riuscire a rinnovare ogni giorno la magia dell’amore. Il senso della vita sono i sogni e i momenti visionari. Il senso della vita sono i segreti dimenticati ad ogni angolo di un mercatino dell’usato. Il senso della vita é l’odore del bosco in autunno. Il senso della vita é dire grazie. Il senso della vita é voler fare qualcosa di buono. Il senso della vita é saper regalare gioia. Il senso della vita é vibrare con le corde di un violino. Il senso della vita é saper chiedere scusa. Il senso della vita é il ricordo di un pomeriggio al sole di tanto tempo fa. Il senso della vita é stare con quelli a cui vuoi bene. Il senso della vita é raccontare storie. Il senso della vita é la fatica che ci fa crescere. Il senso della vita é capire che siamo davvero unici e irripetibili. Il senso della vita é rendersi conto di quanto nel profondo siamo tutti uguali. Il senso della vita é scegliere cosa conta. Il senso della vita é la responsabilitá di scegliere il presente. Il senso della vita é il dovere di sperare nel futuro. Il senso della vita é essere coscienti di quanto sia importante dare amore.



Il senso della vita é l’affascinante viaggio della nostra mente in bilico tra l’eterno desiderio del tutto, la vertigine del nulla e l’episodico sollievo dell’afferrare un momento appena di serenitá.






giovedì 5 gennaio 2012

La mia terra


Se leggete qui, dovrete intendere terra così, come terra. La terra di una volta, quella che ci raccontano i nonni, o quella di cui si legge a fatica descritta in qualche libro pieno di ricordi che non dovrebbero morire.

Quella era la terra che dava il pane, sì, ma non troppo. Che non serviva. Era la terra che si coccolava più che violentarla, poco a poco, come piaceva a lei. Dopotutto, era la terra sulla quale anche noi si viveva. Anche, non solo. Né soprattutto.
Era la terra che nascondeva gioie e dolori, lavoro duro e sensazioni primordiali. Era la terra che ti regalava quello che aveva, ti invitava a prenderlo. E se eri bravo, di sorrideva mentre ti accorgevi di come poterti organizzare per prendere appena un po’ di più.
Mai troppo però. Era quella terra che ognuno la vedeva coi suoi occhi: chi ci camminava sopra, chi ci correva e chi ci si gettava a dormire. Chi andava a caccia, sentendosi non più di un’altra mano nel regolare quell’equilibrio che la manteneva in salute, alla terra. Chi invece andava a pescare. Chi coltivava, chi aveva le galline e scambiava uova col pane di un altro. Chi aveva le bestie, e allora poteva lavorare più duro e offriva latte e formaggio e, a volte, pure carne. Quella terra era il teatro di una comunità di persone. Non di un gruppo di persone. Persone che avevano bisogno l’uno dell’altro per vivere. E ne avevano bisogno in un modo che oggi forse fatichiamo a comprendere: in un modo felice.
Era la terra che dava e toglieva. Che andava rispettata prima di tutto, non temuta perché mai agiva per dispetto. Era la terra che ti manteneva in sano e in forma, perché era lì dove gli uomini erano nati per vivere. Uomini che vivevano assieme e assieme provvedevano ai bisogni di tutti. Senza doverlo discutere, definire o pianificare. Perché quello che la terra gli insegnava, era che ce n’era abbastanza per tutti. Ma mai tanto da potersi permettere di sprecare. Tutto quello che gli passava tra le mani in un modo o in un altro doveva tornare alla terra. E da lì  sarebbe tornato di nuovo a loro. Una vita in simbiosi.

E quelle persone si volevano bene. Forse perfino in maniera disinteressata. Quasi sicuramente in maniera molto sincera.

Era un vincolo quello tra uomo e terra che non esiste più. Un vincolo che si rifletteva sul modo di vivere della stessa comunità umana. Un vincolo che passava al regno animale intero, e a quello delle piante. Un vincolo che univa tutta la sfera vivente, la biosfera. La univa perfino al sistema delle cose inanimate: l’acqua del fiume, del lago o del mare. L’aria da respirare. Le rocce e le pietre da costruzione. Il carbone per scaldarsi. Era un circolo che coinvolgeva in ogni aspetto della vita tutte le componenti del mondo che si aveva attorno. E che lo vedevi da dove venivano. Quel mondo attorno che si fermava molto presto, senza andare troppo in là, verso mete inesplorate. Era un mondo che già da quel che trovavi attorno a te, ti forniva tutto quello di cui avevi bisogno per vivere. Per isolare le case dal caldo e dal freddo, per accendere un fuoco e scaldarla, per mangiare cose buone e sane, per essere felice con le cose semplici. Tante di quelle che tanto fatichiamo a trovare oggi.



Certo, non vuol essere questo un pianto antico in memoria di un mondo mitico perduto in cui tutto era meglio. Non voglio dire questo. Oggigiorno abbiamo più salute, più cultura, più conoscenza, più comodità, un mondo in più di possibilità, viviamo pi a lungo. Ma viviamo davvero meglio? Forse vale davvero la pena farsi questa domanda. Forse dovremmo sforzarci e fare il possibile per recuperare quanto di buono ci siamo lasciati alle spalle, senza nemmeno pensarci troppo. Accecati da una luce che progresso, in realtà, non é. Forse vale la pena ricordarsi che non si raggiunge mai la perfezione, che si può solo tendere ad essa. E che questa tensione nessuno ci dice che vada sempre e necessariamente in avanti. Forse é bene mantenere gli occhi aperti anche sulla memoria, per vedere se ci siamo davvero lasciati sfuggire tra le dita qualcosa di importante.

Era un mondo in cui gli anziani non erano vecchi, avevano solo vissuto più degli altri. E per questo avevano da insegnare. Tanto da insegnare. Erano venerabili, figure rispettate e guardate dai più piccoli con la reverenza di chi ha visto il mondo dritto negli occhi. Era anche un mondo che lasciava i ragazzi entrarci dentro senza nemmeno pensarci troppo, senza troppe difficoltà dopotutto.




Quella era la terra cui si apparteneva. Su cui si era cresciuti. Quella che si conosceva. Quella che ti teneva a doppio filo legato ad essa. Quella da cui dipendevi e che da te dipendeva. Lo scenario di vita della propria comunità, chiamata così perché quel qualcosa che si aveva in comune era proprio la terra. Quella era la terra che si rimpiangeva, a dover partire. Perché simboleggiava tutto, simboleggiava la vita stessa. Eri tu. Era la terra che uno ricordava con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi a guardare all’infinito e l’anima persa. Era quella terra che assumeva una dimensione trascendentale e poetica, senza per questo essere fallacemente o  smodatamente caricaturata. Era la tua terra.

Oggi, la tua terra, non c’é più. Oggi la tua terra é la Terra. Oggi siamo cittadini del Mondo, per necessità e per virtù. Se oggi la lasciamo siamo pressoché certi di poterci tornare altrettanto facilmente; il distacco non é così duro perché avviene solo a livello fisico. Grazie alle tecnologie di comunicazione, sì. Ma forse anche perché di tutto il resto é rimasto ben poco. Certo, rimane quel pizzico di nostalgia, ma non ti sai nemmeno spiegare più il perché tante volte. Tante volte sembrano futili motivi, dopotutto. Inutili piagnistei destinati a morire col tempo. In realtà abbiamo radicato qualcosa nel profondo che nemmeno sappiamo, qualcosa che deriva dai giorni antichi in cui i nostri piedi camminavano a contatto con la nostra terra. Non ci scivolavano sopra.

È inutile dire qual é il trattamento che oggigiorno le stiamo riservando. È inutile dire che la guardiamo come si guarda una puttana, più che una madre. È inutile menzionare la mancanza di rispetto, la mancanza di conoscenza, l’assenza di dignità che le riserviamo ogni giorno. È desolante vedere come tutto questo sia accaduto così velocemente, nello spazio di appena due generazioni. E quanta poca attenzione riceva ogni giorno da parte nostra o di chi decide quello che ci deve importare. È arrivato il momento per sentirsi responsabili anche, e soprattutto, di lei, della nostra terra. Ognuno di noi, della sua terra. Tutti, della nostra Terra.




Si deve passare attraverso la riscoperta delle proprie radici. La cultura che ci lasciamo alle spalle e che ci abbandonerà presto, coi nostri nonni. Facciamocela raccontare. Tramandiamola ai nostri figli. Scriviamola nei libri e che non ne vada persa nemmeno una briciola. Non guardiamoli con accondiscendenza quando ci raccontano i loro aneddoti, perché sono forse una delle cose più preziose che ci siano rimaste. Non consideriamole solo storielle. Dobbiamo goderne come di racconti di altri tempi sì, con quel sapore agrodolce che hanno, tra il nostalgico e il divertito. Ma dobbiamo anche saper leggere tra le righe la loro vera saggezza. Il messaggio è in codice. È una caccia al tesoro, il tesoro di quella saggezza popolare che gli consentiva di vivere in armonia e in equilibrio con la loro terra. Che rendeva il loro mondo ecologico e sostenibile molto prima ancora che questi termini diventassero di uso comune.




Abbiamo il grandissimo vantaggio di anni di progresso vero. Di una maggior conoscenza dei problemi e delle loro cause. Di milioni di nuove soluzioni che ci aiuteranno a risolverli. E di un incessabile e incredibile qualità: l’intelletto umano. Quello che ci spinge alla conoscenza. Quello che ci spinge a ingegnarci per risolvere i problemi. Lo stesso che ci grida forte ora che non ha senso perdere qualcosa tanto importante così, senza batter ciglio.


Pensiamoci noi.



Buon anno a tutti, e che possa portarci la saggezza di cui abbiamo tanto bisogno.









martedì 1 novembre 2011

Where are we going


Mi sono sempre preoccupato di trovare un senso nelle cose che faccio.

Non ho mai fatto le cose tanto per farle e che poi un giorno, chissà, un perché ne verrà fuori. Non é il mio modo di ragionare. Mi piace normalmente avere una visione dall’alto, a volo d’uccello; senza troppi dettagli, ma mi deve far capire da dove partire, dove voglio arrivare e, più o meno, per dove passare. Poi le cose possono cambiare, chiaro...ma la visione deve cambiare con loro, aggiornarsi costantemente e non lasciarmi solo coi capricci del caso. È un sistema che mi da la sicurezza e la determinazione di cui ho bisogno per andare avanti, giorno dopo giorno, fino a raggiungere il mio traguardo.

C’é solo un piccolo particolare: questo sistema, in genere, non funziona.

Per quanto ci si sforzi di piegare le cose a proprio piacimento, di deviare il corso della vita e tenerlo sotto controllo, questo inevitabilmente ci ride in faccia e ci scivola via tra le dita. Avete mai provato a fermare la corrente in un fiume con le mani aperte? Ecco.

Quando inevitabilmente arriva il momento in cui ti senti impotente, tutto come d’improvviso perde ogni senso e ti svuoti. Si torna alle origini, pagina bianca da scrivere. Mille le domande.

Cosa ci spinge ad andare avanti ogni giorno? Perché si fa quello che si fa? Ma soprattutto, dove stiamo andando? E perché?

Si potrebbe rispondere che, per qualche motivo, troviamo un senso in quello che facciamo, un’intima convinzione che sia la cosa giusta (giusta per chi?). I più fortunati la chiamano visione.

Visione é una di quelle cazzate che si scrivono sul curriculum e in cui finisci per credere per davvero. Visioni sono anche quelle che avevano in testa i figli dei fiori, con o senza aiuti lisergici. Una visione é qualcosa che ti guida, che non devi mai perdere d’occhio. È una cosa che ti cade addosso all’improvviso e poi non smetti più di vederla, ovunque. È una cosa bella, la visione. Ma non si trova per caso; anzi, direi che non si trova proprio; é lei che ti viene a prendere, un giorno.

La mia visione é una fotografia aerea ti me che sto volando sopra alla mia vita. Non le manca niente.

A volte, però, ti da picche e ti lascia piantato lì, come un coglione. È roba da gente tosta, una visione. Bisogna saper reagire, non sprofondare in quella pesante cortina nera che ti vuole avvolgere e stritolare, battere un colpo e trovare una soluzione quando tutto perde all’improvviso ogni senso.
Perché una visione divora tutto il resto. Tutto si piega a lei, tutto é distorto e si rischia di perdere le proporzioni. E di colpo allora ti rendi conto, quando lei ti lascia, che le cose non sono poi così come pensavi. In genere le cose, per la verità, non seguono affatto il filo del tuo discorso. Se ne fregano abbastanza, loro, della tua visione.  Loro sono, e basta.

E tu ti trovi lì, lasciato solo di fronte alla cruda realtà, all’assenza di ogni senso e senza un percorso da seguire. Rischi di affondare con la nave, da buon capitano. E allora succede una cosa strana. Come all’improvviso, capisci. È un attimo appena, una folgorazione, una miccia che si accende e si spegne di colpo che bisogna essere bravi a non lasciarsela sfuggire...

Capisci che non c’é visione che regga, non c’é un cammino scritto davanti a te. Non esiste in quanto tale. Sei tu che credi di averlo trovato e ti sforzi in tutti i modi di seguirlo. Ma a volte succede che perdi la strada, ed é qui che ti devi girare indietro, verso quello che conosci già. O almeno credi.



Guarda all’orizzonte, é da lì che vieni. Non devi dimenticarlo mai.

Percorri con lo sguardo il percorso che hai fatto finora, arriverai a vedere delle impronte per terra. Sono le tue. Sono quelle lì che ti hanno portato dove sei ora, ad essere la persona che sei. Niente é stato casuale, poiché ogni deviazione ti avrebbe portato in un altro posto, in un altro tempo. Dimensioni parallele. Multiversi. Indeterminazione. E invece sei lì. Ed é l’unica cosa che sai, in questo momento.
Sei il prodotto di miliardi di eventualità, milioni di variabili incontrollabili in gioco. Istanti in cui hai dovuto fare scelte che hai voluto credere in coscienza essere razionali. Che hai voluto credere di stare controllando. Beh, non era così.

Se ti sforzi un po’ vedrai che le impronte finiscono proprio sotto i tuoi piedi. Non un passo più in là.

Ora, rimani fermo un momento. Rifletti. La linea che vedi é composta da una serie di punti. Non é un percorso deciso in partenza, é una serie di punti. Una serie di passi. La meta é un illusione che ci fa credere di avere un qualche controllo sulle nostre decisioni, ma la realtà che viviamo ogni giorno é il caos. La visione ci aiuta appena a scegliere che direzione prendere, ma se siamo così stupidi da proseguire ciecamente in avanti senza guardarci intorno, va a finire che ci perdiamo caro mio.

Ed eccoci qui. Potremmo essere ovunque, ma siamo qui. E allora tanto vale guardarci intorno e scegliere, coscientemente, cosa vorremmo fare. Non cosa dovremmo. Riparti in avanti e non ti perdere un attimo pensando a dove dovresti stare andando. Goditi tutto quello che hai intorno e quello che trovi. Se ne hai la forza, tieni in mente anche tutto quello che hai già passato e cerca di unire i puntini passo dopo passo, ma sempre guardando in avanti.

E non ti preoccupare della visione. Una vera visione non vuole essere seguita, ma che é lei che cammina al tuo fianco, passo dopo passo, perché in realtà siete la stessa cosa.



La tua visione sei tu.






“Life is what happens to you while you're busy making other plans.” 
― John Lennon