Bella domanda. Forse una di quelle domande destinate a restare senza
risposta. Non perché non si provi a rispondere, ma perché a ben vedere una
risposta – forse – non c’é.
C’é, appunto, la domanda. Ed é quello che serve, ed é quello che
basta.
PREMESSA
Viviamo il tempo della modernitá a basso costo. Dell’immediatezza,
dell’efficienza, della tecnologia e della comunicazione in un click. Quello di
cui non resta piú molto, in questo tempo, é magia. É l’incanto delle piccole
cose, svanito lentamente e inesorabilmente. Tutto si vede e si legge in ottica
utilitaristica. Il fluire del tempo stesso é visto perlopiú in base a quello
che si puó fare, con quel tempo. Il tempo ha un prezzo, e il prezzo é qualcosa
che serve a etichettare qualcosa che si puó comprare e vendere.
Ma qui sorge un’altra domanda, ben piú generale ma, a ben guardare, un
po’ la stessa. Qual é il senso della vita. É quello che facciamo? É quello che
lasciamo dietro di noi, in ereditá ai nostri figli e alle generazioni future? É
quello per cui saremo ricordati? E qual é l’estensione della cerchia che questo
nostro senso della vita potrá raggiungere allora? Le persone che ci hanno
conosciuto in vita, forse, si ricorderanno di noi. Almeno per un po’. Ma state
pur certi, per quanto grandiosa la vostra vita possa essere, passata qualche
generazione il vostro ricordo si perderá tra le migliaia di fila srotolate e
aggrovigliate di nuovo sul tappeto della storia. Qualcuno magari finirá su
qualche libro. Nella cyber-era che ci apprestiamo a vivere magari la notorietá ce
la dará internet, laddove lo spazio non importa piú e allora ci sará un
posticino per tutti. E sará, allora, la piú squallida forma di anonimato, in cui
tutti – tutti – potranno avere materiale che li riguarda lí, indelebile pubblicato
sull’etere e a disposizione delle generazioni future. Un ricordo indelebile e anonimo.
Inghiottito dalla vastitá dell’etere stesso.
E ALLORA?
E allora, e a maggior ragione, continuo a chiedermi “qual é il vero scopo di quello che facciamo”?
La domanda, molto piú prosaica di quanto possa sembrare, nasce dall’esigenza
concreta di sapere, realmente, a che serve. Perché dovrei – io insignificante –
dannarmi per cercare di cambiare le cose. O meglio, di migliorarle. Giá,
migliorarle, eccoci di nuovo al progresso. Di che si parla quando si parla di
progresso? Il progresso é la continua aspirazione della razza umana a cercare di
vivere meglio. Hmmm, no. Non proprio. Detto meglio “é l’aspirazione al miglioramento
della condizione umana”. E allora direi che la mia voglia di migliorare le cose
ha a che vedere con il progresso. Bene, primo punto.
Peró continuo a chiedermi, su cosa ci basiamo per dire che il progresso
é progresso? Se é vero che ognuno di noi pensa con la propria testa (...)
allora ognuno vedrá anche un qualsiasi miglioramento in modo diverso. E quindi
il progresso.
Il fatto é che – evidentemente e al pari di tante altre cose – questa
nostra societá cosí evoluta e cosí moderna sta appiattendo anche le nostre
menti. Al pari di qualsiasi altra forma di diversitá. Diversitá che non viene
piú riconosciuta come ricchezza ma come – in definitiva – un fastidio generico.
Diversitá che viene necessariamente livellata secondo criteri e programmi ufficiali.
Il progresso, oramai, é necessariamente unico, improntato ai criteri della
moderna societá occidentale. Quella consumistica e capitalistica eccetera...
oggi lasciamo perdere queste cose che tanto le sappiamo. Mi voglio solo concentrare
sul “siamo davvero convinti, noi occidentali, di vivere meglio”? Siamo cosí
convinti che questo modello significhi davvero progresso? Parlo del modello occidentale
in sé, nella sua versione piú idealistica e pura e senza considerare quelle
degenerazioni che, in ogni caso, abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Esiste
IL progresso? Ne davvero siamo talmente convinti da poterci rinchiudere in
questa nostra fede, ciecamente (come fin troppo spesso accade) e in modo da non
vedere nient’altro della ricchezza che pur ci circonda? Come i colonizzatori
imposero la nostra religione e il nostro stile di vita, come gli eserciti ora
impongono la nostra democrazia, come i supermercati impongono le solite quattro
marche, come le grandi imprese impongono certi modelli di produzione, come la
tv ci impone certi programmi, come la scuola ci impone di studiare certe
cose... dov’é finita la scelta? Questo progresso imposto é davvero quello che
vogliamo?
IL PROGRESSO SECONDO IO
Basta domande, ora bisogna capire. Capire che non c’é cosa che ci
arrichisce di piú se non la diversitá e la curiositá di esplorare, di capire il
diverso. Ognuno e individualmente. Personalmente e soggettivamente. Ognuno, avendone
la possibilitá, vede il progresso alla sua maniera. Per me, progresso significa
che ognuno dovrebbe avere la possibilitá di arricchirsi, durante la sua vita,
della vita stessa. Credo che il vero senso della vita sia proprio vivere. Sia
camminare per il camminare, non per l’arrivare. Il viaggio é la destinazione. Credo
che la vita serva per imparare cos’é la vita, in tutte le sue sfumature. Apprezzarne
la varietá e lasciarsi sopraffare dalla sua grandezza, che mai riusciremo a
cogliere del tutto. Ma nonostante questo, provarci! Ogni giorno di piú. Credo
che é questo quello che mi muove, oggi. A volte mi sento atterrato da questo tensione
auto-imposta al conoscere, conoscere, conoscere... ma poi ricordo del perché,
un giorno, arrivó: lo sentivo necessario. A volte significa non vederne la fine
e, quindi, lo scopo. A volte significa chiedersi “Ma perché”? Momenti in cui
smarrisci il senso di quello che fai. Eppure passano. Residui di una mente
utilitaristica che spero di assottigliare sempre piú. E impari, anche da
quelli, come da tutto.
In definitiva credo che il progresso sia uno stato mentale. Credo che
sia uno stato mentale che dovremmo diffondere sempre piú. Uno stato mentale
positivo e inquieto, che spinge ad alzarsi felici ogni giorno perché quello che
sta per accadere é davvero irrepetibile. Cosa imparerai oggi? Quali fili stai per
unire che ancora non sai? In che forma ti arricchirai oggi? Non c’é niente di
frustrante nel non vederne la fine, una volta che capisci che la fine non c’é. Allora
é il percorso stesso che importa. E l’importanza tornano ad averla i sempre di
piú compagni di viaggio, troppo spesso dimenticati. Ancora piú che i resoconti
dei posteri.
Ci si sente leggeri perché, si sa, a camminare continuamente non ti
puoi portare dietro piú di quelle quattro cose che davvero ti servono. La ricchezza
non é materiale, sta su un’altra dimensione e te la puoi sempre portare dietro.
Progresso é il recuperare la bellezza di una vita semplice, lo
spogliarsi di tutte quelle costrizioni fastidiose che ci hanno messo addosso
sin da piccoli, con la scuola, la chiesa, il lavoro e la responsabilitá di che?
La responsabilitá di ognuno é quella di seminare il meglio che puó, perché dei
frutti che nascono ne possano beneficiare tutti quanti, no? La responsabilitá
di ognuno é migliorare le cose, quindi prima di tutto migliorare sé stessi.
Il progresso... strano, ma non sembra esistere una cosa simile nel resto
del regno animale. Tante volte guardando quella meraviglia che sono i cani (a
me sembra sempre che siano felici e sorridenti), ti chiedi “ma cos’é che li
rende cosí felici, se altro non fanno che ripetere le stesse cose tutti i
giorni e, in fin dei conti, passano la loro vita standosene buoni in casa o
dove li mettiamo noi”? E la stessa cosa mi chiedo quando guardo i documentari
sugli animali selvatici... tante storie per – alla fine – nascere, trovare
qualcosa da mangiare ogni santo giorno per arrivare a riprodursi e poi, un
giorno, morire. La conservazione della specie, mi si dirá. Giá, ma il senso
della loro vita – individualmente parlando – dov’é? Esiste?
Nel modo in cui la intendiamo noi, oggi, no. Ma io credo che forse
dovremmo imparare da loro, perché c’é un grande senso della vita in quella
routine. Al pari di quella che c’é nei cosiddetti “paesi del terzo mondo” dove
non c’é scuola, educazione, istituzioni, lavoro etc. Eppure i bambini crescono
e imparano. Imparano quello che gli serve e diventano uomini. Al pari nostro.
Non dovremmo poi sentirci tanto superiori, ma rispettare questa diversitá.
Contestualizzarla, certo, ma rispettarla. Perfino imparare da essa, giacché ha
tanto da insegnarci.
Lasciamoci affascinare dalla diversitá, rimaniamo affamati di conoscenza.
Imparare a vivere é la cosa piú vicina al progresso che finora sono
riuscito a trovare.
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