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domenica 7 ottobre 2012

Cambiare il mondo senza prendere il potere

Certe cose le senti dire talmente tante volte che alla fine arrivi a convincerti che siano vere. Che debbano esserlo per forza. Frasi di tv ripetute migliaia di volte da migliaia di voci autorevoli (o pseudo-tali) diverse. Titoli di giornali. Radio e tiggí. Industriali, accademici e politici. Fiato alle trombe della vane necessitá contingente. Dobbiamo crescere, tirare la cinghia, produrre. E poi ancora, l’Europa ce lo chiede, la fiducia dei mercati, l’occidente sviluppato e i paesi emergenti, il terzo mondo e il sottosviluppo, l’economia di mercato e il protezionismo. Oppure ancora cambiare il modo di fare politica, la legge elettorale, creare posti di lavoro.

Stronzate. Frasi prive di senso ripetute anche (e sopratutto) fuori dal loro contesto, astratte e inconsistenti diventano familiari e rassicuranti, prescindendo da ogni significato. Che lo sappiano o meno, perché non é scontato che se ne rendano conto, tutti questi signori parlano per niente. Parlano di niente. Quello che fanno é asservire come docili agnellini un disegno che va oltre il tempo e lo spazio. Un disegno che parrebbe tracciato machiavellicamente da persone molto piú colte e potenti, i famosi poteri occulti. In mancanza di prove della loro esistenza, mi pare tuttavia lecito pensare che siano il frutto di una sorta di intelligenza colletiva degenerativa, emersa dall’evoluzione di una societá basata per decenni e sempre piú su paradigmi speculativi tipici dell’economia di mercato. L’idea che la sussistenza sia da poveri, che non sia in grado di garantire una sufficiente qualitá della vita. Qualitá della vita peraltro sempre piú misurata in termini materiali, basata sulla possessione di cose innecessarie ad una reale qualitá della vita, finti bisogni creati ad arte che siamo disposti a lavorare 24 ore al giorno o a indebitarci a vita per poterci garantire. Anni di doping consumistico e di capitalismo sregolato che ci hanno inconsciamente costretto ad una vita, a ben guardarla, miserabile. Ci preoccupiamo piú del domani che dell’oggi. L’idea che il surplus sia talmente importante da immolare sull’altare di un futuro benessere l’ora e il qui. La felicitá é costantemente posticipata, volutamente peraltro.

Adbichiamo quotidianamente al diritto ad una vita degna e di qualitá (per noi stessi, senza andare a parare in paesi o situazioni lontane) sull’altare di falsi miti creati ad arte. Siamo costantemente immersi nostro malgrado, e spesso a nostra insaputa, in una comunicazione di massa mirata ad una redistribuzione delle risorse (e della ricchezza) dal pubblico al privato, privato sempre piú concentrato nelle mani di pochi non-eletti.


LA CENTRALIZZAZIONE DEL POTERE

Al potere si pensa ormai necessariamente come a qualcosa di centralizzato. Qualcosa che risiede in una sede, nelle mani di qualcuno, o comunque di pochi, ma mai nostre. Chiedetevi il perché. Politica, economia, energia e risorse, perfino il sistema alimentare. Fanno tutti capo a un qualcuno, una elite, che ha le chiavi in mano e che per quanto ci riguarda potrebbe anche decidere di chiudere baracca e burattini quando le pare. Puó decidere per tutti, é l’assenza di democrazia ad ogni livello della nostra vita. Abbiamo perso la stessa concezione di decidere per noi stessi, di assicurarci in prima persona il nostro benessere, cosí come pensiamo sia piú giusto. Siamo in ogni aspetto della nostra vita in balia di cose che non controlliamo.  Non siamo padroni di noi stessi.

In politica deleghiamo il nostro potere decisionale, ci hanno fatto credere che sia una buona cosa e oggi come oggi accettiamo a tal punto da non riuscire nemmeno ad immaginare sistemi alternativi. La soluzione, di fronte alla corruzione dilagante della classe politica, é semplicemente quella di cambiare le facce, di mischiare un po’ le carte. Non si guarda nemmeno alla causa, un sistema percui il potere viene concentrato nelle mani di pochi, ma all’effetto: i nomi di quei pochi.

Parlando di economia, nessuno ci capisce niente ormai, e si ripetono a vanvera concetti che si sentono dire. Discorsi per gli addetti ai lavori e i professori. E questo, chi ha in mano le redini dei mercati finanziari, lo sa bene e sa di poter agire incontrastato. Sono loro il vero motore dell’economia oggigiorno, svincolato totalmente dall’economia reale, quella che sarebbe funzionale alla qualitá della vita delle persone. E gli va bene cosí, gli va bene che si creino ad arte discussioni fasulle. Crea l’austeritá e ti pregheranno per crescere. E crescita, lo sappiamo, significa soldi a palate per questa gente. Significa depredazione di diritti e risorse, significa avvelenamento e violazione, significa alienazione consumistica per il resto delle persone di questo pianeta.

L’energia é prodotta in impianti enormi che soddisfano i bisogni di tutta la popolazione. In alcuni casi (vedi impianti nucleari) devono essere persino protetti dall’esercito. Lo stato decide per tutti anche qui. Se qualcosa cambiasse, se qualcuno assumesse il controllo di questi impianti, potrebbe mettere in ginocchio un'intera nazione nel giro di qualche ora. Le rinnovabili sono osteggiate anche per questo, permetterebbero uno svincolamento da questa dipendenza, la delocalizzazione della produzione elettrica che darebbe il via a un sentimento di maggior autosufficienza. E per questo persino laddove si affermano, sono perlopiú in mano dei privati, non della gente. Sono rari i casi in cui siano le stesse comunitá a gestire impianti fotovoltaici o eolici. Specie per i secondi, sono sempre piú posseduti da privati. A pensarci bene, é la privatizzazione del vento come risorsa. Ma nessuno ci pensa bene a queste cose.

L’intera popolazione mondiale potrebbe autoalimentarsi se ognuno coltivasse per sé un piccolo orto. Senza grande bisogno di manodopera, attraverso tecniche tradizionali rispettose della natura, della sua stagionalitá, della sua diversitá. Ri-adattando il nostro stile alimentare a quello che la natura ci offre, non a quello che pretendiamo. Ci sarebbe molta meno incidenza sulla produzione alimentare di fattori negativi come l’oscillazione dei prezzi del petrolio (per fertilizzanti, pesticidi, macchine da lavoro e trasporti) rispetto alla grande distribuzione basata sulle monoculture. L’apparente abbondanza di oggi, figlia della grande distribuzione, é in realtá convertita in sprechi da una parte e in impossibilitá di accesso dall’altra.


RADICAMENTO DELL’IMPOSSIBILITÁ DEL CAMBIAMENTO

Attraverso questo continuo lavaggio del cervello, attraverso la progressiva e costante centralizzazione del potere, attraverso la denigrazione di un passato piú sostenibile del presente, o degli stili di vita di quelle comunitá che tuttora lo sono. É cosí che passa l’idea che siamo condannati a continuare a percorrere questa strada. L’impossibilitá del cambiamento é figlia della radicazione nei nostri cuori e nelle nostre menti di stili di vita fasulli, scollegati dalla natura e incontrollabili da parte nostra. Che ci rendono dipendenti da qualcosa che non vediamo, pedine di un gioco che non conosciamo. Fragili e insicuri. Meglio un male che conosciamo (o perlomeno crediamo di conoscere) che un presunto bene lontano e sconosciuto.



Signore e signori, l’impossibilitá del cambiamento é una balla. Ma non dobbiamo aspettarci che nessuno ce lo regali, quello no. Non dobbiamo nemmeno sperare di arrivare al potere per poter cambiare le cose, sarebbe impossibile stando alle regole del gioco che stiamo giocando. Il cambiamento parte dalle cose trascurate e inutili. O meglio, quelle che ci passano come tali. Passa dal vedere che in realtá non abbiamo bisogno di quello che ci dicono, ma di altro. Dal capire che possiamo avere una vita davvero migliore, e che ce la meritiamo. Tutti. E iniziando a perseguirla, nel nostro quotidiano e nel nostro piccolo. Cambiando noi stessi e le nostre aspirazioni, il nostro stile di vita. E condividendo la nostra esperienza con chiunque. Per farlo poi, un giorno, diventare normale. Non é cosí difficile come sembra, c’é un mondo lá fuori che ha giá iniziato a farlo. Il fatto che non ne abbiate sentito parlare, beh quella é tutta un’altra storia.






domenica 13 maggio 2012

Soffia, di nuovo, un vento nuovo


Piú o meno un anno fa, il 15 maggio 2011, si levó spontaneo, limpido e incontrollabile un vento nuovo nella nostro mondo di tutti i giorni. Un vento di non conformismo. Un vento di implicazione in prima persona. Un vento di ribellione intelligente e informata. Un vento di svolta. Si levó da Madrid, dove in Porta del Sole inizió a confluire un sacco di gente spontaneamente, per affermare pubblicamente il proprio sdegno e la propria non conformitá nei confronti di un sistema e di una classe politica non li rappresentava. Quella stessa classe politica che stava cercando, con l’ennesima farsa, quel consenso popolare che gli serviva per essere rieletti nelle elezioni amministrative che si sarebbero svolte di lí a una settimana. Ci riuscí, come sempre.
La cosa nuova di quel 15 maggio 2011 é che, appunto, una marea di gente scese in piazza. Si voleva riappropriare dello spazio pubblico che le appartiene, della sua individualitá di persona che non si sente rappresentata e vuole farlo sapere, del proprio diritto a partecipare a quel processo di miglioramento della societá nella quale si vive. E fu allora che successe qualcosa di magico: si rese conto che non era sola. Non solo, ma che erano migliaia e migliaia le persone mosse da quello stesso sentimento. Non gli si poteva non dare ascolto. Fu una presa di coscienza travolgente, di quelle che ti danno l’impressione che – se davvero é cosí, se davvero siamo tanti – tutto puó succedere.



Fu una presa di coscienza individuale prima, intima e profonda. Quella che ti spinge a uscire di casa, a dire che no, non si puó piú accettare, che la misura é colma. A pensare che é ora di fare qualcosa, qualsiasi cosa. E soprattutto a sentire che va bene, magari non cambierá nulla, ma che non contino su di me. Che non sperino di fregarmi ancora una volta, con me hanno chiuso. Per me sono finiti, che lo sappiano.
Fu una presa di coscienza collettiva, poi. Come movimento popolare, cioé fatto di persone. Ognuna col proprio diritto a dire la sua e la propria testa per pensare. Ma con tanto in comune da poter parlare con una voce sola. E voce sopra voce il coro assumeva dimensioni incredibili e una potenza tale da non poter essere ignorato. L’unione fa la forza, mai piú vero che in questo caso. Ma fu anche la dimostrazione palese che la diversitá é ricchezza. La diversitá di un movimento eterogeneo e fermamente motivato. E si sa, con la motivazione si muovono le montagne.

Quello che va capito per capire la grandezza di quello che successe quel 15 maggio 2011 (o, meglio detto, di quello che inizió a rendersi esplicito su vasta scala), é che si trattava di gente comune. Gente comune che di problemi non ne voleva e non ne cercava, ma voleva solo riappropriarsi di ció che é suo: il diritto a contribuire a migliorare il proprio futuro. Per la stragrande maggioranza non si trattava di professionisti delle manifestazioni o di gente manipolata da questo o quell’interesse. Gente di ogni estrazione sociale e provenienza. Per la prima volta si trovarono a marciare fianco a fianco i nonni, i padri e i nipoti, i professionisti e gli studenti di questo e di quello, immigrati e nativi.
La molla era la non conformitá con un sistema che prima ancora di rubare il futuro delle persone, ne uccide il presente. Un sistema che vive sulle spalle della gente umile per sostenere gli stili di vita insostenibili dei pochi nelle cui mani si accumula tutta la ricchezza del mondo intero. Un sistema che si autoperpetua evitando qualsiasi reale cambiamento, prendendoci per di piú in giro con la farsa della democrazia rappresentativa. Un sistema che assieme alle persone distrugge il pianeta in cui viviamo.
La gente disse basta. E lo disse ad alta voce e in coro. Impossibile non sentirsi coinvolti. Impossibile ignorarla. Impossibile non vedere un prima e un dopo il 15 maggio 2011. Da quel giorno la protesta fu virale e quotidiana. Si diffuse in tutto il mondo. Pacifica, puntuale, mirata e sempre informata. Da quel giorno nacque il movimento 15M, degli indignati, di quelli che sono stufi di piegarsi e dicono che puó bastare cosí, ci riprendiamo in mano le nostre vite grazie.



C’é tanta demagogia attorno a questo movimento, come sempre. La veritá é che chi controlla i mezzi di comunicazione attraverso i quali ci arrivano le notizie non ha alcun interesse a presentarlo come altro che non sia l’ennesima, simpatica, inconcludente, protesta cittadina. Ben organizzata sí, materiale da poterci scrivere qualche bell’articolo pieno di populismo e frasi fatte. Qualche servizio colorato pieno di cori e slogan e striscioni simpatici. Ma poi basta. Vedrete, si diceva, svanirá presto. Alle elezioni si voterá come sempre, e quelli governeranno come sempre. E non cambierá nulla e arrivará un altro 15M un giorno. La gente rimase nelle piazze per piú di un mese, fino a che la polizia (tutt’altro che pacificamente) svuotó le piazze e mandó via tutti. Ecco qua, come non detto. Svanito nel nulla il 15M, l’indignazione e tutto quanto.

Quello che non si racconta peró, é che nel frattempo in quelle stesse piazze si parlava, si discuteva, si proponeva e ci si confrontava sui quegli stessi temi che avevano spinto la gente a uscire dai propri gusci. Si erano create vere e proprie commissioni di lavoro a cui bastava un po’ di curiositá per partecipare a chiunque passasse per quella piazza. Curiositá per ascoltare e, ovviamente, interesse per cambiare le cose. Interesse e competenze per cambiarle, anche quelle ci si rese ben presto conto che non mancavano.
La vera rivoluzione é stata il cambio dello stato mentale. É stato il rendersi conto del non essere piú soli e del mare di possibilitá che si aprivano dinnanzi per riprendersi in mano il diritto di gestire le proprie vite.
E allora a guardarla bene la scintilla di quel giorno in realtá non é mai svanita, anche se nel frattempo quelle piazze sono tornate ad essere spazi sterili dedicati al commercio e alla non-vita cittadina. Chi ne é stato colpito l’ha portata con sé nella sua vita quotidiana e la mantiene ben viva nel proprio quartiere, continuando con le assemblee e gli incontri locali a discutere e ad approfondire i perché. E a proporre soluzioni e alternative. Quello che ben pochi dicono, é che spesso nel loro piccolo le riescono anche a mettere in pratica. E questa, signori miei, é la vera rivoluzione cominciata quel 15 maggio 2011. La rivoluzione della partecipazione attiva e diretta.

Riappropriazione dello spazio che ci appartiene. Le piazze, simbolo delle cittá, sono nate come punto di incontro. Per scambiare le idee, per crescere come societá. Non per vendere pallocini, souvenir o granturco da dare ai piccioni. Da quel giorno le piazze sono un po’ meno mero luogo di passaggio, crocevia tra le strade dove consumiamo e quelle che ci portano a lavorare. La piazza torna ad essere quel luogo dove ci si confronta e ci si riunisce. Ma é una piazza senza populismo, che quello non serve. Non é la piazza del “le piazze chiedono”. Non é folla massificata e informe. É una miriade di persone civili. É la piazza della gente normale che é stufa e vuole dire la sua. E si rende conto all’improvviso che ha tanto da dire, e che non gli mancano certo le competenze per concorrere con i burocrati prezzolati che ci governano a nostre spese e rubandoci il consenso. La piazza é il simbolo che un’alternativa esiste ed é perfettamente possibile e attuabile. Oggi.

Riappropriazione della politica. Cioé della partecipazione a determinare il modo in cui gestire la cosa pubblica. Sanitá pubblica, educazione di qualitá, lavoro e non schivitú lavorativa, stato sociale, diritto ad una casa e una vita degna. Diritto alla realizzazione personale. La gente parla, discute, si interroga, ribatte, si confronta, propone, vota. Questo é il vero spirito di quelle giornate: democrazia vera e diretta.

Riappropriazione della comunicazione. In TV ci dicono quello che vogliono. Sui giornali piú o meno. Ma per fortuna la comunicazione non é piú unilaterale. C’é prima di tutto la piazza. Comunicazione diretta, faccia a faccia, come non se ne vedeva da tempo. E poi c’é internet con tutta la sua potenza innovativa e il mare di nuove possibilitá comunicative. Immediato, efficace, ramificato a tal punto da essere incontrollabile. Multilaterale, che rende ognuno comunicatore e recettore di comunicazione allo stesso tempo. E rende la questione virale: non puó piú essere ignorata.

Pazienza quindi quando le piazze principali si svuotano forzosamente. L’insegnamento di quei giorni resta e continua giorno dopo giorno in migliaia di gruppi di persone auto-organizzate che continuano a vivere nelle piazze minori o in quelle private o virtuali. Persone che restano lí, pronte a riunirsi di nuovo ogni volta che serva. Persone che si identificano con una causa non perché qualcuno glielo dice, ma perché lo sentono e ci credono personalmente e profondamente. Questo é quello che la gente non capisce quando pensa che tutto sia finito e allo stesso tempo la dimostrazione piú palese del fatto che le cose stiano iniziando a cambiare per davvero.



Tante volte si dice che il sistema bisogna cambiarlo dall’interno. In questo senso chi aspettava la formazione di un partito 15M o qualcosa del genere é rimasto deluso. I detrattori sono invece soddisfatti, affermando tronfi che c’era da aspettarselo che si sarebbe presto sgonfiato tutto. Cari signori, entrambi, temo non abbiate capito niente. Einstein diceva “non si puó risolvere un problema con la stessa mentalitá che l’ha generato”. E allora la politica e i partiti rimangano pure fuori. Ci si riunisce ognuno a titolo suo, responsabile di quello che dice in prima persona, in modo che ognuno sia costretto a pensare e criticamente ragionare. Non aspettiamo piú che il cambiamento arrivi dall’alto, perché sappiamo, abbiamo capito, che cosí non arriverá mai. Semplicemente perché a quelli in alto non conviene. Allora cambiamo strategia, cambiamo la prospettiva con cui guardiamo al problema e alla sua soluzione. Cambiamo il cambiamento. Il cambiamento ce lo prendiamo noi, direttamente, dal basso. Con gli strumenti che abbiamo noi formiche: lavorando. Fintanto che questo sistema oppressore e parassita che vive sulle nostre spalle diventi obsoleto e cada sotto il proprio peso.

Questa é l’idea, ma non guardiamo troppo lontano, rimaniamo concreti. CI concentriamo sul breve termine. Non creiamo artificiose impalcature sociali da cui possiamo solo aspettarci il fragore di quando cadranno davanti ai nostri occhi. Passo dopo passo, proviamo soluzioni nuove. La rivoluzione vera adesso come adesso é che il processo é giá in marcia e segue il suo percorso: ravvivare le menti e le coscienze critiche delle persone. Chi parlava tanto di speculazione finanziaria fino a 5 anni fa? Chi parlava di bolla immobiliaria? Chi aveva davvero coscienza del teatrino della politica e del potere? Chi sapeva come funziona il denaro, chi lo crea e chi lo gestisce? Chi parlava di debito? Chi aveva mai sentio parlare di queste cose 5 anni fa? Chi si confrontava quotidianamente su questi temi? La rivoluzione é che gente come me stia scrivendo di queste cose. É che gente come noi continui a leggere, che ne parli giorno dopo giorno, ne sia al corrente, si continui ad informare. Che sia chiaro ai governanti che sono sotto la nostra lente di ingrandimento ma non solo, che presto non ci serviranno piú.

Stiamo costruendo un sistema nuovo, non ci accontentiamo di aggiustare quello vecchio. Come? Come possiamo. Come sará? Non lo sappiamo ancora, ma sará diverso questo é certo. Per il fatto che sará per il bene di tutti e non per il bene di pochi, perché tutti perteciperemo. Sará democratico per davvero. Sará a rete, sará collegato al mondo reale.

A distanza di un anno da quel giorno la marea di gente é tornata ieri a riunirsi, a riappropriarsi delle piazze e delle strade. Tanti di quelli che li credevano morti solo perché tornati invisibili ai loro occhi sono caduti dalle nuvole. Noi sapevamo di continuare ad essere tanti, sempre di piú. E continueremo ad aumentare. Perché

prima ti ignorano,
poi ti deridono,
poi ti combattono,
poi vinci.



Anche questa volta succederá proprio cosí.






venerdì 4 maggio 2012

...e il progresso, dov’é?


Bella domanda. Forse una di quelle domande destinate a restare senza risposta. Non perché non si provi a rispondere, ma perché a ben vedere una risposta – forse – non c’é.
C’é, appunto, la domanda. Ed é quello che serve, ed é quello che basta.



PREMESSA

Viviamo il tempo della modernitá a basso costo. Dell’immediatezza, dell’efficienza, della tecnologia e della comunicazione in un click. Quello di cui non resta piú molto, in questo tempo, é magia. É l’incanto delle piccole cose, svanito lentamente e inesorabilmente. Tutto si vede e si legge in ottica utilitaristica. Il fluire del tempo stesso é visto perlopiú in base a quello che si puó fare, con quel tempo. Il tempo ha un prezzo, e il prezzo é qualcosa che serve a etichettare qualcosa che si puó comprare e vendere.

Ma qui sorge un’altra domanda, ben piú generale ma, a ben guardare, un po’ la stessa. Qual é il senso della vita. É quello che facciamo? É quello che lasciamo dietro di noi, in ereditá ai nostri figli e alle generazioni future? É quello per cui saremo ricordati? E qual é l’estensione della cerchia che questo nostro senso della vita potrá raggiungere allora? Le persone che ci hanno conosciuto in vita, forse, si ricorderanno di noi. Almeno per un po’. Ma state pur certi, per quanto grandiosa la vostra vita possa essere, passata qualche generazione il vostro ricordo si perderá tra le migliaia di fila srotolate e aggrovigliate di nuovo sul tappeto della storia. Qualcuno magari finirá su qualche libro. Nella cyber-era che ci apprestiamo a vivere magari la notorietá ce la dará internet, laddove lo spazio non importa piú e allora ci sará un posticino per tutti. E sará, allora, la piú squallida forma di anonimato, in cui tutti – tutti – potranno avere materiale che li riguarda lí, indelebile pubblicato sull’etere e a disposizione delle generazioni future. Un ricordo indelebile e anonimo. Inghiottito dalla vastitá dell’etere stesso.



E ALLORA?

E allora, e a maggior ragione, continuo a chiedermi  “qual é il vero scopo di quello che facciamo”? La domanda, molto piú prosaica di quanto possa sembrare, nasce dall’esigenza concreta di sapere, realmente, a che serve. Perché dovrei – io insignificante – dannarmi per cercare di cambiare le cose. O meglio, di migliorarle. Giá, migliorarle, eccoci di nuovo al progresso. Di che si parla quando si parla di progresso? Il progresso é la continua aspirazione della razza umana a cercare di vivere meglio. Hmmm, no. Non proprio. Detto meglio “é l’aspirazione al miglioramento della condizione umana”. E allora direi che la mia voglia di migliorare le cose ha a che vedere con il progresso. Bene, primo punto.

Peró continuo a chiedermi, su cosa ci basiamo per dire che il progresso é progresso? Se é vero che ognuno di noi pensa con la propria testa (...) allora ognuno vedrá anche un qualsiasi miglioramento in modo diverso. E quindi il progresso.
Il fatto é che – evidentemente e al pari di tante altre cose – questa nostra societá cosí evoluta e cosí moderna sta appiattendo anche le nostre menti. Al pari di qualsiasi altra forma di diversitá. Diversitá che non viene piú riconosciuta come ricchezza ma come – in definitiva – un fastidio generico. Diversitá che viene necessariamente livellata secondo criteri e programmi ufficiali. Il progresso, oramai, é necessariamente unico, improntato ai criteri della moderna societá occidentale. Quella consumistica e capitalistica eccetera... oggi lasciamo perdere queste cose che tanto le sappiamo. Mi voglio solo concentrare sul “siamo davvero convinti, noi occidentali, di vivere meglio”? Siamo cosí convinti che questo modello significhi davvero progresso? Parlo del modello occidentale in sé, nella sua versione piú idealistica e pura e senza considerare quelle degenerazioni che, in ogni caso, abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Esiste IL progresso? Ne davvero siamo talmente convinti da poterci rinchiudere in questa nostra fede, ciecamente (come fin troppo spesso accade) e in modo da non vedere nient’altro della ricchezza che pur ci circonda? Come i colonizzatori imposero la nostra religione e il nostro stile di vita, come gli eserciti ora impongono la nostra democrazia, come i supermercati impongono le solite quattro marche, come le grandi imprese impongono certi modelli di produzione, come la tv ci impone certi programmi, come la scuola ci impone di studiare certe cose... dov’é finita la scelta? Questo progresso imposto é davvero quello che vogliamo?



IL PROGRESSO SECONDO IO

Basta domande, ora bisogna capire. Capire che non c’é cosa che ci arrichisce di piú se non la diversitá e la curiositá di esplorare, di capire il diverso. Ognuno e individualmente. Personalmente e soggettivamente. Ognuno, avendone la possibilitá, vede il progresso alla sua maniera. Per me, progresso significa che ognuno dovrebbe avere la possibilitá di arricchirsi, durante la sua vita, della vita stessa. Credo che il vero senso della vita sia proprio vivere. Sia camminare per il camminare, non per l’arrivare. Il viaggio é la destinazione. Credo che la vita serva per imparare cos’é la vita, in tutte le sue sfumature. Apprezzarne la varietá e lasciarsi sopraffare dalla sua grandezza, che mai riusciremo a cogliere del tutto. Ma nonostante questo, provarci! Ogni giorno di piú. Credo che é questo quello che mi muove, oggi. A volte mi sento atterrato da questo tensione auto-imposta al conoscere, conoscere, conoscere... ma poi ricordo del perché, un giorno, arrivó: lo sentivo necessario. A volte significa non vederne la fine e, quindi, lo scopo. A volte significa chiedersi “Ma perché”? Momenti in cui smarrisci il senso di quello che fai. Eppure passano. Residui di una mente utilitaristica che spero di assottigliare sempre piú. E impari, anche da quelli, come da tutto.

In definitiva credo che il progresso sia uno stato mentale. Credo che sia uno stato mentale che dovremmo diffondere sempre piú. Uno stato mentale positivo e inquieto, che spinge ad alzarsi felici ogni giorno perché quello che sta per accadere é davvero irrepetibile. Cosa imparerai oggi? Quali fili stai per unire che ancora non sai? In che forma ti arricchirai oggi? Non c’é niente di frustrante nel non vederne la fine, una volta che capisci che la fine non c’é. Allora é il percorso stesso che importa. E l’importanza tornano ad averla i sempre di piú compagni di viaggio, troppo spesso dimenticati. Ancora piú che i resoconti dei posteri.
Ci si sente leggeri perché, si sa, a camminare continuamente non ti puoi portare dietro piú di quelle quattro cose che davvero ti servono. La ricchezza non é materiale, sta su un’altra dimensione e te la puoi sempre portare dietro.
Progresso é il recuperare la bellezza di una vita semplice, lo spogliarsi di tutte quelle costrizioni fastidiose che ci hanno messo addosso sin da piccoli, con la scuola, la chiesa, il lavoro e la responsabilitá di che? La responsabilitá di ognuno é quella di seminare il meglio che puó, perché dei frutti che nascono ne possano beneficiare tutti quanti, no? La responsabilitá di ognuno é migliorare le cose, quindi prima di tutto migliorare sé stessi.

Il progresso... strano, ma non sembra esistere una cosa simile nel resto del regno animale. Tante volte guardando quella meraviglia che sono i cani (a me sembra sempre che siano felici e sorridenti), ti chiedi “ma cos’é che li rende cosí felici, se altro non fanno che ripetere le stesse cose tutti i giorni e, in fin dei conti, passano la loro vita standosene buoni in casa o dove li mettiamo noi”? E la stessa cosa mi chiedo quando guardo i documentari sugli animali selvatici... tante storie per – alla fine – nascere, trovare qualcosa da mangiare ogni santo giorno per arrivare a riprodursi e poi, un giorno, morire. La conservazione della specie, mi si dirá. Giá, ma il senso della loro vita – individualmente parlando – dov’é? Esiste?
Nel modo in cui la intendiamo noi, oggi, no. Ma io credo che forse dovremmo imparare da loro, perché c’é un grande senso della vita in quella routine. Al pari di quella che c’é nei cosiddetti “paesi del terzo mondo” dove non c’é scuola, educazione, istituzioni, lavoro etc. Eppure i bambini crescono e imparano. Imparano quello che gli serve e diventano uomini. Al pari nostro. Non dovremmo poi sentirci tanto superiori, ma rispettare questa diversitá. Contestualizzarla, certo, ma rispettarla. Perfino imparare da essa, giacché ha tanto da insegnarci.



Lasciamoci affascinare dalla diversitá, rimaniamo affamati di conoscenza.



Imparare a vivere é la cosa piú vicina al progresso che finora sono riuscito a trovare. 







giovedì 22 marzo 2012

Sono il mondo che vorrei


POLVERE

Ognuno di noi é come un diamante grezzo. Un tutto in potenza venuto al mondo in una terra ricca di eventualitá. Quelle stesse che fatalmente ci indirizzano verso una strada piuttosto che un’altra. Quelle che, volendolo o no, ci rendono la persona che siamo.
Le stesse eventualitá della vita mondana che spesso aggiungono l’ennesima lieve patina al nostro brillio naturale. Affievoliscono ancora un po’ di piú la luce che emaniamo. Ci spengono, un po’ alla volta. Ci ingobbiscono, ci sfiancano, ci stancano. Ci sfiduciano.
Fino a che arriva il momento in cui ci sentiamo troppo piccoli per il mondo in cui viviamo. Arriva il momento in cui ci sentiamo insignificanti. Si sta come in autunno sugli alberi le foglie. O si sta come le foglie che giá danzano in balia del vento. Perdiamo il timone delle nostre vite perché non ci reputiamo all’altezza di governarlo. Troppo piccoli; troppe cose da sapere, da maneggiare, da controllare; troppo insignificanti, noi. Dimentichiamo il nostro vero valore e lo nascondiamo. Perfino a noi stessi. Non ci rendiamo conto delle nostre enormi potenzialitá.




L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO

Dimentichiamo che il mondo ha la forma che noi gli diamo. Dimentichiamo che siamo noi necessariamente il centro del mondo. Del nostro mondo, che in definitiva per ognuno di noi é anche IL mondo. Dimentichiamo che siamo in grado di deformare la realtá a nostro piacimento. In forma soggettiva, grazie al potere della nostra mente, e quindi poi anche in forma oggettiva e fattuale. In forma effettiva. Da poterlo toccare con mano. Siamo noi a determinare il mondo in cui viviamo, il nostro mondo.

Giacché per nessuno é uguale, é unico per tutti. Percui tutti devono sentirsi in grado di tenerne le redini e dirigerlo verso dove vogliono. Ne hanno il diritto. Ne hanno il dovere. Poiché nessun altro lo puó fare per loro. E chi si vuole appropriare di questo diritto é solo un bugiardo. Alzate la testa, perché é una vostra responsabilitá.

Rendersi conto di tutto ció significa tornare a brillare. Significa sentirsi leggeri. Significa volare. Significa libertá. Significa felicitá e sollievo. Prendere in mano il proprio futuro significa non avere piú padroni. Significa non avere piú obblighi. Significa scollarsi dalla (s)comoda poltrona degli spettatori. Significa diventare finalmente attori sulla scena della vita. Significa decidere, non piú obbedire.




POTERE

È solo allora che realizziamo i nostri sogni ed esprimiamo per davvero le nostre potenzialitá. È solo allora che lo splendore del diamante grezzo ormai sepolto dentro di noi riesce finalmente a venire alla luce. Ed é solo allora che uno si rende conto, non senza sorpresa, che il mondo che vorrebbe é lí a portata di mano.

Il mondo che vorrebbe é lui stesso.
Il cambiamento che aspettava é lui stesso.
Cade ogni limite. La forza di cambiare il mondo é nelle sue mani, cosí come nelle mani di chiunque. Perché chiunque puó cambiare il suo mondo. Chiunque lo voglia. Non serve altro che arriavre ad aver sufficiente chiarezza mentale per capirlo. La sola in grado di supportare la nostra innata forza interiore.
Serve volontá, per farlo.

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva Gandhi.

Quel cambiamento nasce necessariamente dentro di noi. Ma la cosa piú difficile é proprio che riesca a farsi strada tra gli strati della nostra insicurezza, modellati da anni di eventualitá ed occorrenze esterne che hanno affievolito e spento la nostra scintillante potenza originaria.
Quella potenza che non ha confini e non ha limiti, che riluce abbagliante dentro ognuno di noi. Aspettando solo il momento in cui potrá emergere.  Ancora una volta.

Dobbiamo esserne consapevoli, e sforzarci per tirarlo fuori. Lottare per poi poter godere del suo enorme potere di modellare la realtá che ci circonda.




Siamo noi il cambiamento che aspettiamo.



Siamo noi il mondo che vogliamo.