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domenica 7 ottobre 2012

Cambiare il mondo senza prendere il potere

Certe cose le senti dire talmente tante volte che alla fine arrivi a convincerti che siano vere. Che debbano esserlo per forza. Frasi di tv ripetute migliaia di volte da migliaia di voci autorevoli (o pseudo-tali) diverse. Titoli di giornali. Radio e tiggí. Industriali, accademici e politici. Fiato alle trombe della vane necessitá contingente. Dobbiamo crescere, tirare la cinghia, produrre. E poi ancora, l’Europa ce lo chiede, la fiducia dei mercati, l’occidente sviluppato e i paesi emergenti, il terzo mondo e il sottosviluppo, l’economia di mercato e il protezionismo. Oppure ancora cambiare il modo di fare politica, la legge elettorale, creare posti di lavoro.

Stronzate. Frasi prive di senso ripetute anche (e sopratutto) fuori dal loro contesto, astratte e inconsistenti diventano familiari e rassicuranti, prescindendo da ogni significato. Che lo sappiano o meno, perché non é scontato che se ne rendano conto, tutti questi signori parlano per niente. Parlano di niente. Quello che fanno é asservire come docili agnellini un disegno che va oltre il tempo e lo spazio. Un disegno che parrebbe tracciato machiavellicamente da persone molto piú colte e potenti, i famosi poteri occulti. In mancanza di prove della loro esistenza, mi pare tuttavia lecito pensare che siano il frutto di una sorta di intelligenza colletiva degenerativa, emersa dall’evoluzione di una societá basata per decenni e sempre piú su paradigmi speculativi tipici dell’economia di mercato. L’idea che la sussistenza sia da poveri, che non sia in grado di garantire una sufficiente qualitá della vita. Qualitá della vita peraltro sempre piú misurata in termini materiali, basata sulla possessione di cose innecessarie ad una reale qualitá della vita, finti bisogni creati ad arte che siamo disposti a lavorare 24 ore al giorno o a indebitarci a vita per poterci garantire. Anni di doping consumistico e di capitalismo sregolato che ci hanno inconsciamente costretto ad una vita, a ben guardarla, miserabile. Ci preoccupiamo piú del domani che dell’oggi. L’idea che il surplus sia talmente importante da immolare sull’altare di un futuro benessere l’ora e il qui. La felicitá é costantemente posticipata, volutamente peraltro.

Adbichiamo quotidianamente al diritto ad una vita degna e di qualitá (per noi stessi, senza andare a parare in paesi o situazioni lontane) sull’altare di falsi miti creati ad arte. Siamo costantemente immersi nostro malgrado, e spesso a nostra insaputa, in una comunicazione di massa mirata ad una redistribuzione delle risorse (e della ricchezza) dal pubblico al privato, privato sempre piú concentrato nelle mani di pochi non-eletti.


LA CENTRALIZZAZIONE DEL POTERE

Al potere si pensa ormai necessariamente come a qualcosa di centralizzato. Qualcosa che risiede in una sede, nelle mani di qualcuno, o comunque di pochi, ma mai nostre. Chiedetevi il perché. Politica, economia, energia e risorse, perfino il sistema alimentare. Fanno tutti capo a un qualcuno, una elite, che ha le chiavi in mano e che per quanto ci riguarda potrebbe anche decidere di chiudere baracca e burattini quando le pare. Puó decidere per tutti, é l’assenza di democrazia ad ogni livello della nostra vita. Abbiamo perso la stessa concezione di decidere per noi stessi, di assicurarci in prima persona il nostro benessere, cosí come pensiamo sia piú giusto. Siamo in ogni aspetto della nostra vita in balia di cose che non controlliamo.  Non siamo padroni di noi stessi.

In politica deleghiamo il nostro potere decisionale, ci hanno fatto credere che sia una buona cosa e oggi come oggi accettiamo a tal punto da non riuscire nemmeno ad immaginare sistemi alternativi. La soluzione, di fronte alla corruzione dilagante della classe politica, é semplicemente quella di cambiare le facce, di mischiare un po’ le carte. Non si guarda nemmeno alla causa, un sistema percui il potere viene concentrato nelle mani di pochi, ma all’effetto: i nomi di quei pochi.

Parlando di economia, nessuno ci capisce niente ormai, e si ripetono a vanvera concetti che si sentono dire. Discorsi per gli addetti ai lavori e i professori. E questo, chi ha in mano le redini dei mercati finanziari, lo sa bene e sa di poter agire incontrastato. Sono loro il vero motore dell’economia oggigiorno, svincolato totalmente dall’economia reale, quella che sarebbe funzionale alla qualitá della vita delle persone. E gli va bene cosí, gli va bene che si creino ad arte discussioni fasulle. Crea l’austeritá e ti pregheranno per crescere. E crescita, lo sappiamo, significa soldi a palate per questa gente. Significa depredazione di diritti e risorse, significa avvelenamento e violazione, significa alienazione consumistica per il resto delle persone di questo pianeta.

L’energia é prodotta in impianti enormi che soddisfano i bisogni di tutta la popolazione. In alcuni casi (vedi impianti nucleari) devono essere persino protetti dall’esercito. Lo stato decide per tutti anche qui. Se qualcosa cambiasse, se qualcuno assumesse il controllo di questi impianti, potrebbe mettere in ginocchio un'intera nazione nel giro di qualche ora. Le rinnovabili sono osteggiate anche per questo, permetterebbero uno svincolamento da questa dipendenza, la delocalizzazione della produzione elettrica che darebbe il via a un sentimento di maggior autosufficienza. E per questo persino laddove si affermano, sono perlopiú in mano dei privati, non della gente. Sono rari i casi in cui siano le stesse comunitá a gestire impianti fotovoltaici o eolici. Specie per i secondi, sono sempre piú posseduti da privati. A pensarci bene, é la privatizzazione del vento come risorsa. Ma nessuno ci pensa bene a queste cose.

L’intera popolazione mondiale potrebbe autoalimentarsi se ognuno coltivasse per sé un piccolo orto. Senza grande bisogno di manodopera, attraverso tecniche tradizionali rispettose della natura, della sua stagionalitá, della sua diversitá. Ri-adattando il nostro stile alimentare a quello che la natura ci offre, non a quello che pretendiamo. Ci sarebbe molta meno incidenza sulla produzione alimentare di fattori negativi come l’oscillazione dei prezzi del petrolio (per fertilizzanti, pesticidi, macchine da lavoro e trasporti) rispetto alla grande distribuzione basata sulle monoculture. L’apparente abbondanza di oggi, figlia della grande distribuzione, é in realtá convertita in sprechi da una parte e in impossibilitá di accesso dall’altra.


RADICAMENTO DELL’IMPOSSIBILITÁ DEL CAMBIAMENTO

Attraverso questo continuo lavaggio del cervello, attraverso la progressiva e costante centralizzazione del potere, attraverso la denigrazione di un passato piú sostenibile del presente, o degli stili di vita di quelle comunitá che tuttora lo sono. É cosí che passa l’idea che siamo condannati a continuare a percorrere questa strada. L’impossibilitá del cambiamento é figlia della radicazione nei nostri cuori e nelle nostre menti di stili di vita fasulli, scollegati dalla natura e incontrollabili da parte nostra. Che ci rendono dipendenti da qualcosa che non vediamo, pedine di un gioco che non conosciamo. Fragili e insicuri. Meglio un male che conosciamo (o perlomeno crediamo di conoscere) che un presunto bene lontano e sconosciuto.



Signore e signori, l’impossibilitá del cambiamento é una balla. Ma non dobbiamo aspettarci che nessuno ce lo regali, quello no. Non dobbiamo nemmeno sperare di arrivare al potere per poter cambiare le cose, sarebbe impossibile stando alle regole del gioco che stiamo giocando. Il cambiamento parte dalle cose trascurate e inutili. O meglio, quelle che ci passano come tali. Passa dal vedere che in realtá non abbiamo bisogno di quello che ci dicono, ma di altro. Dal capire che possiamo avere una vita davvero migliore, e che ce la meritiamo. Tutti. E iniziando a perseguirla, nel nostro quotidiano e nel nostro piccolo. Cambiando noi stessi e le nostre aspirazioni, il nostro stile di vita. E condividendo la nostra esperienza con chiunque. Per farlo poi, un giorno, diventare normale. Non é cosí difficile come sembra, c’é un mondo lá fuori che ha giá iniziato a farlo. Il fatto che non ne abbiate sentito parlare, beh quella é tutta un’altra storia.






sabato 5 novembre 2011

Oria d'aria fritta



Ultimamente si fa un gran parlare di economia. Mi chiedo come mai.

Il problema quando si parla tanto di qualcosa, è che uno finisce per dimenticarsi il punto si partenza della discussione. Da dove eravamo partiti?

Economia, dal greco οἴκος (oikos), "casa" inteso anche come "beni di famiglia", e νόμος (nomos), "norma" o "legge": “scienza che studia l’utilizzo di risorse scarse per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa”.  
Su questo direi che possiamo essere piú o meno d’accordo.

Facciamo ora lo sforzo di analizzare l’attinenza di questa definizione con quello di cui tanto si parla.



Prima di tutto: mi sembra utile centrare la discussione sull’economia umana, ossia quello che noi esseri umani cosideriamo il modo migliore per soddisfare i bisogni legati alla sopravvivenza e al benessere della nostra specie. Uno strumento che usiamo egoisiticamente e utilitaristicamente per il nostro bene esclusivo.
Non si tratta di una precisazione inutile, dato che dalla definizione generale non è affatto chiaro di quale tipo di individui parliamo, nè di quale tipo di comunità. Potermmo parlare di un ristretto gruppo di persone o, all’estremo opposto, di tutto il regno animale, o perfino di tutta la biosfera. Le cose cambierebbero notevolmente, in quel caso. Si tratta del concetto di simbiosi, ma di questo forse meglio parlare un’altra volta per non mettere troppa carne al fuoco.

Parliamo quindi di economia umana. Ora, visto che tutti gli esseri umani abitano nello stesso posto, comunemente noto come pianeta Terra, possiamo circorscrivere abbastanza il ragionamento sulle risorse: sono quelle contenute dal pianeta.
L’unico modo in cui ha senso parlare di economia umana, é quindi facendo un discorso a livello globale.



Definiamo ora il concetto di risorsa: il senso comune ci dice che è risorsa qualsiasi cosa possiamo usare per fare qualcosa. Possiamo distinguere principalmente tra risorse naturali, tra cui materie prime e risorse energetiche, e risorse umane.

Le risorse umane sono incredibilmente importanti, il fondamento della nostra civiltà direi. Sono le nostre capacità, quello che ci permette di fare ciò che facciamo. Più persone, più risorse umane. A livello globale quindi potremmo dire che le risorse umane aumentano con la popolazione mondiale. Qui peró trascuriamo un fatto estremamente importante, cioè il loro carattere emergente. In altre parole se in matematica uno piú uno fa due, in genere in biologia non funziona cosí. Dall’unione di strutture uguali in una superstruttura normalmente emergono proprietà che prima non esistevano. Pensate a quello che puó fare una persona; pensate a quello che puó fare un gruppo di persone che si organizzano tra loro. Non c’é paragone. Il concetto é conosciuto come proprietà emergenti. Vale la pena approfondire il concetto, ma forse meglio rimandare anche questo ad un altro post.
La cosa chiara è che, se di scarso c’é qualcosa su questo pianeta, non sono di certo le risorse umane. Per lo meno secondo una prospettiva di utilizzo umano, che è quella che ci interessa.



E le materie prime? Mi sembra abbastanza ovvio che qui è un altro paio di maniche. Per il semplice fatto che il pianeta Terra è un pianeta, ne deriva che ogni risorsa che può contenere è per definizione limitata. Limitata non vuol dire necessariamente scarsa, ma vuol dire che va gestita perchè altrimenti prima o poi lo diverrà. A volte ce ne dimentichiamo, ma tra le materie prime rientrano anche l’aria che respiriamo e l’acqua.



Per quanto riguarda le risorse energetiche, invece, parliamo di qualcosa che potremmo considerare come una delle frodi più grandi della storia umana. Si tratta di una frode perpetuata, piuttosto recentemente per la verità, da un gruppo di esseri umani contro la totalità del genere umano che, forse a insaputa dei primi, li include.
Infatti, la stragrande maggioranza delle risorse energetiche utilizzate finora sono in realtà niente più che altre materie prime. Petrolio. Carbone. Gas naturale. Comunemente detti combustibili fossili, sono il prodotto della decomposizione durante milioni di anni di materia organica. Esseri viventi che crescono assorbendo l’energia solare (piante) o acquisendo energia già accumulata in altri organismi (animali). In ogni caso il tutto è riconducibile ad una conversione piú o meno lunga di energia solare in quello che si chiama energia chimica di legame, che si puó liberare molto facilmente semplicemente bruciando questi composti.  L’energia infatti non si crea nè si distrugge, si puó solo convertire da una forma ad un altra. Per via del ritmo estremamente lento con cui si originano queste sostanze, rispetto al ritmo con cui le consumiamo, vengono chiamate risorse energetiche non rinnovabili. Si tratta della nostra principale fonte di energia ora e, nonstante tutto, si prevede che continuerà ad esserlo ancora per molto tempo.
A queste possiamo aggiungere il nucleare che, dipendendo dalla disponibilità di una materia prima, l’uranio, è anch’essa per definizione non rinnovabile.

Il loro utilizzo si poteva giustificare in passato, vista la relativa abbondanza di materie prime e il fatto che non fosse tecnicamente possibile utilizzare risorse energetiche rinnovabili. Entrambe queste scuse ormai da qualche tempo non reggono più. Il progresso scientifico-tecnologico (vedasi proprietà emergenti delle risorse umane) ha reso possibile diverse tecniche per convertire in elettricità, la nostra moneta di scambio per veicolare l’energia, le risorse energetiche rinnovabili. Tra queste sono molto popolari il solare e l’eolico, ma ne esistono anche altre come il geotermico e l’energia marina (onde e maree). Possiamo includere tra le rinnovabili anche l’idraulico, visto che il ciclo dell’acqua si ripete constantemente e avremo piú o meno sempre acqua nei fiumi per riempire le dighe.
Si tratta di risorse che, su un orizzonte umano, NON sono limitate. In altre parole, dal momento in cui é diventato possibile utilizzare risorse energetiche rinnovabili sarebbe economico eliminare del tutto l’uso delle non rinnovabili. Lasciando quelle stesse materie prime ad altri usi che non siano la produzione energetica (e ce ne sono). Secondo la definizione di economia stessa.




Torniamo a questo punto al problema di definire l’economia umana ad un livello globale. Abbiamo visto che il cuore di questa scienza dovrebbe essere il modo in cui utilizzare efficientemente le materie prime, visto che risorse umane non presentano problemi di scarsità e che potremmo utilizzare fonti energetiche illimitate su questo pianeta.
Ho volutamente sostituito il concetto di “per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa” con “efficientemente”, visto che mi sembra più facile da ricordare. Produrre il massimo consumando il minimo. Efficienza.



Fatto tutto questo discorso abbiamo finalmente ben chiaro il concetto di economia umana:

la scienza che studia come utilizzare efficientemente le materie prime a livello globale, per il bene del genere umano”.

Se volessimo riassumerlo in un concetto, sarebbe massimizzare l’efficienza.



Esattamente quello di cui si parla normalmente quindi. Economia.


O mi sono perso qualcosa?





Beh, nel sistema attuale economia letteralmente significa: massimizzare il profitto.
Niente più. Niente meno.

Perché massimizzare il profitto? Perché il nostro sistema si regge sulla necessità intrinseca di una crescita continua, dovuta alla necessità ben nota di ripagare gli interessi sul debito contratto. Debito personale, con la banche, oppure debito pubblico, sempre con la banche.
È il sistema monetario. Denaro prodotto da banche che lo prestano ad un certo interesse.
Per ripagare una somma maggiore di quella iniziale, si può solo farla crescere in qualche modo.

Come si massimizza il profitto? Attraverso la ben nota società dei consumi. Il classico far girare l’economia.
Ma cosa succede in un sistema del genere?

  • Beni e servizi devono continuamente essere prodotti e venduti se si vuole evitare il collasso. Questo implica necessariamente una limitazione della loro qualità, in modo che dovranno essere prima o poi sostituiti o riparati. Il che implica una limitazione artificiale dell’efficienza nell’uso delle risorse naturali.  Anti-economia.
  • Altra conseguenza è la continua produzione di rifiuti. Un inquinamento cronico intrinseco al sistema. Non conviene limitarlo se si vuole massimizzare il profitto. L’inquinamento riduce l’utilizzabilità delle risorse naturali. I rifiuti sono risorse andate perse. Anti-economia.
  • Una sistema di questo tipo trae inoltre vantaggio da uno stato di scarsezza cronica di beni e servizi. Limitando artificialmente l’offerta infatti, a parità o aumento di domanda, i prezzi aumentano. E con loro, a parità di costi, il profitto. Se ci fosse abbondanza per tutti invece i prezzi crollerebbero e con loro il profitto. In un sistema intrinsecamente schiavo della crescita continua, questo non è possibile. Il bene del genere umano in quanto tale non è conciliabile con la ricerca del profitto. Anti-economia.




Mi chiedo come mai siamo in crisi.



E di cosa sentiamo parlare ogni giorno.