Se leggete qui, dovrete intendere terra così, come terra. La terra di una
volta, quella che ci raccontano i nonni, o quella di cui si legge a fatica descritta
in qualche libro pieno di ricordi che non dovrebbero morire.
Quella era la terra che dava il pane, sì, ma non troppo. Che non
serviva. Era la terra che si coccolava più che violentarla, poco a poco, come
piaceva a lei. Dopotutto, era la terra sulla quale anche noi si viveva. Anche,
non solo. Né soprattutto.
Era la terra che nascondeva gioie e dolori, lavoro duro e sensazioni
primordiali. Era la terra che ti regalava quello che aveva, ti invitava a
prenderlo. E se eri bravo, di sorrideva mentre ti accorgevi di come poterti
organizzare per prendere appena un po’ di più.
Mai troppo però. Era quella terra che ognuno la vedeva coi suoi occhi:
chi ci camminava sopra, chi ci correva e chi ci si gettava a dormire. Chi
andava a caccia, sentendosi non più di un’altra mano nel regolare quell’equilibrio
che la manteneva in salute, alla terra. Chi invece andava a pescare. Chi
coltivava, chi aveva le galline e scambiava uova col pane di un altro. Chi
aveva le bestie, e allora poteva lavorare più duro e offriva latte e formaggio
e, a volte, pure carne. Quella terra era il teatro di una comunità di persone. Non
di un gruppo di persone. Persone che avevano bisogno l’uno dell’altro per
vivere. E ne avevano bisogno in un modo che oggi forse fatichiamo a comprendere:
in un modo felice.
Era la terra che dava e toglieva. Che andava rispettata prima di
tutto, non temuta perché mai agiva per dispetto. Era la terra che ti manteneva
in sano e in forma, perché era lì dove gli uomini erano nati per vivere. Uomini
che vivevano assieme e assieme provvedevano ai bisogni di tutti. Senza doverlo
discutere, definire o pianificare. Perché quello che la terra gli insegnava,
era che ce n’era abbastanza per tutti. Ma mai tanto da potersi permettere di sprecare.
Tutto quello che gli passava tra le mani in un modo o in un altro doveva
tornare alla terra. E da lì sarebbe tornato di nuovo a loro. Una vita in
simbiosi.
E quelle persone si volevano
bene. Forse perfino in maniera disinteressata. Quasi sicuramente in maniera molto
sincera.
Era un vincolo quello tra uomo e terra che non esiste più. Un vincolo che
si rifletteva sul modo di vivere della stessa comunità umana. Un vincolo che
passava al regno animale intero, e a quello delle piante. Un vincolo che univa
tutta la sfera vivente, la biosfera. La univa perfino al sistema delle cose
inanimate: l’acqua del fiume, del lago o del mare. L’aria da respirare. Le
rocce e le pietre da costruzione. Il carbone per scaldarsi. Era un circolo che
coinvolgeva in ogni aspetto della vita tutte le componenti del mondo che si
aveva attorno. E che lo vedevi da dove venivano. Quel mondo attorno che si
fermava molto presto, senza andare troppo in là, verso mete inesplorate. Era un
mondo che già da quel che trovavi attorno a te, ti forniva tutto quello di cui
avevi bisogno per vivere. Per isolare le case dal caldo e dal freddo, per
accendere un fuoco e scaldarla, per mangiare cose buone e sane, per essere
felice con le cose semplici. Tante di quelle che tanto fatichiamo a trovare
oggi.
Certo, non vuol essere questo un pianto antico in memoria di un mondo
mitico perduto in cui tutto era meglio. Non voglio dire questo. Oggigiorno
abbiamo più salute, più cultura, più conoscenza, più comodità, un mondo in più di
possibilità, viviamo pi a lungo. Ma viviamo davvero meglio? Forse vale davvero
la pena farsi questa domanda. Forse dovremmo sforzarci e fare il possibile per
recuperare quanto di buono ci siamo lasciati alle spalle, senza nemmeno
pensarci troppo. Accecati da una luce che progresso, in realtà, non é. Forse
vale la pena ricordarsi che non si raggiunge mai la perfezione, che si può solo
tendere ad essa. E che questa tensione nessuno ci dice che vada sempre e
necessariamente in avanti. Forse é bene mantenere gli occhi aperti anche sulla
memoria, per vedere se ci siamo davvero lasciati sfuggire tra le dita qualcosa
di importante.
Era un mondo in cui gli anziani non erano vecchi, avevano solo vissuto
più degli altri. E per questo avevano da insegnare. Tanto da insegnare. Erano
venerabili, figure rispettate e guardate dai più piccoli con la reverenza di
chi ha visto il mondo dritto negli occhi. Era anche un mondo che lasciava i
ragazzi entrarci dentro senza nemmeno pensarci troppo, senza troppe difficoltà
dopotutto.
Quella era la terra cui si apparteneva. Su cui si era cresciuti.
Quella che si conosceva. Quella che ti teneva a doppio filo legato ad essa.
Quella da cui dipendevi e che da te dipendeva. Lo scenario di vita della propria
comunità, chiamata così perché quel qualcosa che si aveva in comune era proprio
la terra. Quella era la terra che si rimpiangeva, a dover partire. Perché
simboleggiava tutto, simboleggiava la vita stessa. Eri tu. Era la terra che uno
ricordava con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi a guardare all’infinito e l’anima
persa. Era quella terra che assumeva una dimensione trascendentale e poetica,
senza per questo essere fallacemente o smodatamente
caricaturata. Era la tua terra.
Oggi, la tua terra, non c’é più. Oggi la tua terra é la Terra. Oggi
siamo cittadini del Mondo, per necessità e per virtù. Se oggi la lasciamo siamo
pressoché certi di poterci tornare altrettanto facilmente; il distacco non é
così duro perché avviene solo a livello fisico. Grazie alle tecnologie di
comunicazione, sì. Ma forse anche perché di tutto il resto é rimasto ben poco.
Certo, rimane quel pizzico di nostalgia, ma non ti sai nemmeno spiegare più il
perché tante volte. Tante volte sembrano futili motivi, dopotutto. Inutili
piagnistei destinati a morire col tempo. In realtà abbiamo radicato qualcosa
nel profondo che nemmeno sappiamo, qualcosa che deriva dai giorni antichi in
cui i nostri piedi camminavano a contatto con la nostra terra. Non ci
scivolavano sopra.
È inutile dire qual é il trattamento che oggigiorno le stiamo riservando.
È inutile dire che la guardiamo come si guarda una puttana, più che una madre. È
inutile menzionare la mancanza di rispetto, la mancanza di conoscenza, l’assenza
di dignità che le riserviamo ogni giorno. È desolante vedere come tutto questo
sia accaduto così velocemente, nello spazio di appena due generazioni. E quanta
poca attenzione riceva ogni giorno da parte nostra o di chi decide quello che
ci deve importare. È arrivato il momento per sentirsi responsabili anche, e
soprattutto, di lei, della nostra terra. Ognuno di noi, della sua terra. Tutti,
della nostra Terra.
Si deve passare attraverso la riscoperta delle proprie radici. La
cultura che ci lasciamo alle spalle e che ci abbandonerà presto, coi nostri
nonni. Facciamocela raccontare. Tramandiamola ai nostri figli. Scriviamola nei
libri e che non ne vada persa nemmeno una briciola. Non guardiamoli con
accondiscendenza quando ci raccontano i loro aneddoti, perché sono forse una
delle cose più preziose che ci siano rimaste. Non consideriamole solo
storielle. Dobbiamo goderne come di racconti di altri tempi sì, con quel sapore
agrodolce che hanno, tra il nostalgico e il divertito. Ma dobbiamo anche saper
leggere tra le righe la loro vera saggezza. Il messaggio è in codice. È una
caccia al tesoro, il tesoro di quella saggezza popolare che gli consentiva di
vivere in armonia e in equilibrio con la loro terra. Che rendeva il loro mondo
ecologico e sostenibile molto prima ancora che questi termini diventassero di
uso comune.
Abbiamo il grandissimo vantaggio di anni di progresso vero. Di una
maggior conoscenza dei problemi e delle loro cause. Di milioni di nuove
soluzioni che ci aiuteranno a risolverli. E di un incessabile e incredibile
qualità: l’intelletto umano. Quello che ci spinge alla conoscenza. Quello che ci
spinge a ingegnarci per risolvere i problemi. Lo stesso che ci grida forte ora
che non ha senso perdere qualcosa tanto importante così, senza batter ciglio.
Pensiamoci noi.
Buon anno a tutti, e che possa portarci la saggezza di cui abbiamo tanto
bisogno.
..quest'anno è iniziato con una specie di coltre cupa su tutto.. Mi pare di avvertire un senso di inquietuine, la puzza dell'ambizione che si affanna a scavarsi un varco, l'ansia di ottenere tanto, il terrore di perdere tutto..
RispondiElimina..forse se partissimo davvero dalla terra, sarebbe più facile fare ordine e rigerarchizzare le priorità e perfino la crisi, che tanto ci atterrisce impedendoci di gioire veemente per un nuovo anno che la vita ci regala, perfino l crisi non farebbe poi così paura.. e la cura di questa terra, l'intero ecosistema, ripartirebbero dal senso di comunità..
un felice felice 2012, l'augurio è di continuare a perseguire i tuoi intenti e soprattutto godere sempre e appieno delle tue priorità!
...Ricordo che erano i tempi delle scuole elementari e c'era un vasto terreno poco distante da casa mia. Mio nonno ne possedeva una parte e io mi recavo insieme a lui in estate e lo osservavo mentre coltivava la sua terra. Anche io mi divertivo ad aiutarlo e a raccogliere i frutti che gli alberi offrivano. Li vicino c'era una vecchia casa di campagna, ricordo ancora l'odore particolare che si poteva avvertire appena entrati in quella casa...un odore che oggi non riesco più a sentire da nessuna parte...solo nei miei ricordi. Capitava spesso che la sera, attorno a quella casa, gli anziani si radunassero semplicemente per stare insieme. Sono passati solo 20 anni e oggi al posto di quei campi e di quella casa c'è la zona industriale della mia città, industrie, magazzini e strade. Cemento ovunque...e anche io sono finita per trovare lavoro all'interno di uno di quegli edifici di cemento che come tutti gli altri oggi fa fatica ad andare avanti...Col senno di poi forse quei campi non erano poi così male e a volte penso a quanto sarebbe bello averli ancora davanti agli occhi. Forse i nostri ricordi e quelli dei nostri genitori e dei nostri nonni potrebbero esserci d'aiuto in un momento complesso come quello che stiamo vivendo oggi. Forse dovremmo ripartire proprio da qui.
RispondiEliminaÈ una consapevolezza sempre più diffusa, quella di dovere fare un passo indietro nel tempo per tante cose. Perché prima di tutto ci stiamo perdendo tanto (vedi bambini che credono che i polli nascano nei supermercati già imballati) ma anche perché se qualcuno staccasse davvero la spina dobbiamo sapere come reagire ed essere pronti a farlo. La cosa bella è che anche nelle città ormai si fanno sempre più strada gli orti urbani :-)
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