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domenica 7 ottobre 2012

Cambiare il mondo senza prendere il potere

Certe cose le senti dire talmente tante volte che alla fine arrivi a convincerti che siano vere. Che debbano esserlo per forza. Frasi di tv ripetute migliaia di volte da migliaia di voci autorevoli (o pseudo-tali) diverse. Titoli di giornali. Radio e tiggí. Industriali, accademici e politici. Fiato alle trombe della vane necessitá contingente. Dobbiamo crescere, tirare la cinghia, produrre. E poi ancora, l’Europa ce lo chiede, la fiducia dei mercati, l’occidente sviluppato e i paesi emergenti, il terzo mondo e il sottosviluppo, l’economia di mercato e il protezionismo. Oppure ancora cambiare il modo di fare politica, la legge elettorale, creare posti di lavoro.

Stronzate. Frasi prive di senso ripetute anche (e sopratutto) fuori dal loro contesto, astratte e inconsistenti diventano familiari e rassicuranti, prescindendo da ogni significato. Che lo sappiano o meno, perché non é scontato che se ne rendano conto, tutti questi signori parlano per niente. Parlano di niente. Quello che fanno é asservire come docili agnellini un disegno che va oltre il tempo e lo spazio. Un disegno che parrebbe tracciato machiavellicamente da persone molto piú colte e potenti, i famosi poteri occulti. In mancanza di prove della loro esistenza, mi pare tuttavia lecito pensare che siano il frutto di una sorta di intelligenza colletiva degenerativa, emersa dall’evoluzione di una societá basata per decenni e sempre piú su paradigmi speculativi tipici dell’economia di mercato. L’idea che la sussistenza sia da poveri, che non sia in grado di garantire una sufficiente qualitá della vita. Qualitá della vita peraltro sempre piú misurata in termini materiali, basata sulla possessione di cose innecessarie ad una reale qualitá della vita, finti bisogni creati ad arte che siamo disposti a lavorare 24 ore al giorno o a indebitarci a vita per poterci garantire. Anni di doping consumistico e di capitalismo sregolato che ci hanno inconsciamente costretto ad una vita, a ben guardarla, miserabile. Ci preoccupiamo piú del domani che dell’oggi. L’idea che il surplus sia talmente importante da immolare sull’altare di un futuro benessere l’ora e il qui. La felicitá é costantemente posticipata, volutamente peraltro.

Adbichiamo quotidianamente al diritto ad una vita degna e di qualitá (per noi stessi, senza andare a parare in paesi o situazioni lontane) sull’altare di falsi miti creati ad arte. Siamo costantemente immersi nostro malgrado, e spesso a nostra insaputa, in una comunicazione di massa mirata ad una redistribuzione delle risorse (e della ricchezza) dal pubblico al privato, privato sempre piú concentrato nelle mani di pochi non-eletti.


LA CENTRALIZZAZIONE DEL POTERE

Al potere si pensa ormai necessariamente come a qualcosa di centralizzato. Qualcosa che risiede in una sede, nelle mani di qualcuno, o comunque di pochi, ma mai nostre. Chiedetevi il perché. Politica, economia, energia e risorse, perfino il sistema alimentare. Fanno tutti capo a un qualcuno, una elite, che ha le chiavi in mano e che per quanto ci riguarda potrebbe anche decidere di chiudere baracca e burattini quando le pare. Puó decidere per tutti, é l’assenza di democrazia ad ogni livello della nostra vita. Abbiamo perso la stessa concezione di decidere per noi stessi, di assicurarci in prima persona il nostro benessere, cosí come pensiamo sia piú giusto. Siamo in ogni aspetto della nostra vita in balia di cose che non controlliamo.  Non siamo padroni di noi stessi.

In politica deleghiamo il nostro potere decisionale, ci hanno fatto credere che sia una buona cosa e oggi come oggi accettiamo a tal punto da non riuscire nemmeno ad immaginare sistemi alternativi. La soluzione, di fronte alla corruzione dilagante della classe politica, é semplicemente quella di cambiare le facce, di mischiare un po’ le carte. Non si guarda nemmeno alla causa, un sistema percui il potere viene concentrato nelle mani di pochi, ma all’effetto: i nomi di quei pochi.

Parlando di economia, nessuno ci capisce niente ormai, e si ripetono a vanvera concetti che si sentono dire. Discorsi per gli addetti ai lavori e i professori. E questo, chi ha in mano le redini dei mercati finanziari, lo sa bene e sa di poter agire incontrastato. Sono loro il vero motore dell’economia oggigiorno, svincolato totalmente dall’economia reale, quella che sarebbe funzionale alla qualitá della vita delle persone. E gli va bene cosí, gli va bene che si creino ad arte discussioni fasulle. Crea l’austeritá e ti pregheranno per crescere. E crescita, lo sappiamo, significa soldi a palate per questa gente. Significa depredazione di diritti e risorse, significa avvelenamento e violazione, significa alienazione consumistica per il resto delle persone di questo pianeta.

L’energia é prodotta in impianti enormi che soddisfano i bisogni di tutta la popolazione. In alcuni casi (vedi impianti nucleari) devono essere persino protetti dall’esercito. Lo stato decide per tutti anche qui. Se qualcosa cambiasse, se qualcuno assumesse il controllo di questi impianti, potrebbe mettere in ginocchio un'intera nazione nel giro di qualche ora. Le rinnovabili sono osteggiate anche per questo, permetterebbero uno svincolamento da questa dipendenza, la delocalizzazione della produzione elettrica che darebbe il via a un sentimento di maggior autosufficienza. E per questo persino laddove si affermano, sono perlopiú in mano dei privati, non della gente. Sono rari i casi in cui siano le stesse comunitá a gestire impianti fotovoltaici o eolici. Specie per i secondi, sono sempre piú posseduti da privati. A pensarci bene, é la privatizzazione del vento come risorsa. Ma nessuno ci pensa bene a queste cose.

L’intera popolazione mondiale potrebbe autoalimentarsi se ognuno coltivasse per sé un piccolo orto. Senza grande bisogno di manodopera, attraverso tecniche tradizionali rispettose della natura, della sua stagionalitá, della sua diversitá. Ri-adattando il nostro stile alimentare a quello che la natura ci offre, non a quello che pretendiamo. Ci sarebbe molta meno incidenza sulla produzione alimentare di fattori negativi come l’oscillazione dei prezzi del petrolio (per fertilizzanti, pesticidi, macchine da lavoro e trasporti) rispetto alla grande distribuzione basata sulle monoculture. L’apparente abbondanza di oggi, figlia della grande distribuzione, é in realtá convertita in sprechi da una parte e in impossibilitá di accesso dall’altra.


RADICAMENTO DELL’IMPOSSIBILITÁ DEL CAMBIAMENTO

Attraverso questo continuo lavaggio del cervello, attraverso la progressiva e costante centralizzazione del potere, attraverso la denigrazione di un passato piú sostenibile del presente, o degli stili di vita di quelle comunitá che tuttora lo sono. É cosí che passa l’idea che siamo condannati a continuare a percorrere questa strada. L’impossibilitá del cambiamento é figlia della radicazione nei nostri cuori e nelle nostre menti di stili di vita fasulli, scollegati dalla natura e incontrollabili da parte nostra. Che ci rendono dipendenti da qualcosa che non vediamo, pedine di un gioco che non conosciamo. Fragili e insicuri. Meglio un male che conosciamo (o perlomeno crediamo di conoscere) che un presunto bene lontano e sconosciuto.



Signore e signori, l’impossibilitá del cambiamento é una balla. Ma non dobbiamo aspettarci che nessuno ce lo regali, quello no. Non dobbiamo nemmeno sperare di arrivare al potere per poter cambiare le cose, sarebbe impossibile stando alle regole del gioco che stiamo giocando. Il cambiamento parte dalle cose trascurate e inutili. O meglio, quelle che ci passano come tali. Passa dal vedere che in realtá non abbiamo bisogno di quello che ci dicono, ma di altro. Dal capire che possiamo avere una vita davvero migliore, e che ce la meritiamo. Tutti. E iniziando a perseguirla, nel nostro quotidiano e nel nostro piccolo. Cambiando noi stessi e le nostre aspirazioni, il nostro stile di vita. E condividendo la nostra esperienza con chiunque. Per farlo poi, un giorno, diventare normale. Non é cosí difficile come sembra, c’é un mondo lá fuori che ha giá iniziato a farlo. Il fatto che non ne abbiate sentito parlare, beh quella é tutta un’altra storia.






sabato 26 maggio 2012

Ma quest'Europa, che cos’é?


Bella domanda. Con tutto quello che se ne parla... eppure credo che valga la pena riflettere un attimo su cosa sia, e cosa significhi, davvero, l’Europa. Perché c’é tanta, troppa (e voluta) confusione.



É DAVVERO L'UNIONE CHE FA LA FORZA?

Mi piace pensare all’Europa come unita, ma divisa allo stesso tempo. La scacchiera su cui giochiamo oggi si é ampliata notevolmente, e con essa gli orizzonti. Se un tempo arrivava al massimo ai bordi del vecchio continente, oggi é globale. In questo modo le differenze sono aumentate a tal punto da risaltare paradossalmente quello che abbiamo in comune. L’essere uomini. E, per noi europei, le nostre radici comuni. Che nascono da un’antica storia comune. Da un filo logico – non sempre pacifico – che si é sviluppato, nella sua complessitá e polivalenza, comunque per tutti allo stesso tempo. Dopo la seconda guerra mondiale qualcuno (il vero perché non é l’argomento di cui parliamo, ma varrebbe la pena approfondirlo) si rende conto che in fin dei conti é arrivato il momento di guardare al di lá delle differenze che ci hanno portato 30 anni di guerra. Per farle diventare opportunitá, invece che causa di problemi. A ben vedere, si tratta di qualcosa di fantastico. É bellissimo. É vero progresso.

L’Europa, da quel momento, diventa un polo di vero progresso. Diventa un sogno. Si distingue da tutto il resto del mondo. Non si tratta del vecchio motto opportunistico “l’unione fa la forza”. No, non c’é niente da guadagnare dall’essere uniti se non se ne capisce il perché. La vera rivoluzione qui, sta nel riconoscere la nostra diversitá e nel guardare oltre. Nell’ampliare la visione d’insieme elevandosí un po’ piú in alto, per vedere che é proprio quella la nostra ricchezza. In realtá qui si parla di cooperazione, non di unione. Un corpo umano non sopravviverebbe se fosse solo composto di cuori. Di quello ne serve uno. Come di un fegato e di un cervello e cosí via. Ma perché l’organismo funzioni bene davvero, essi devono conoscere le loro funzioni alla perfezione, lavorare bene e cooperare bene. Io rimango con quell’idea di Europa, non con quella che oggi ci sbandierano in continuazione davanti agli occhi. L’Europa unita, l’Europa piatta. L’Europa uguale per tutti. A me piace l’idea di un Europa cooperativa che si arricchisce grazie alle proprie mille identitá.



UN'EUROPA PER L'EUROPA

Perché é bene che rimaniamo diversi e lo riconosciamo, affinché la diversitá non torni ad essere tabú e pretesto di guerre. E perché cooperare non significa fingere di essere uguali questo la storia ce lo ha insegnato fin troppo bene. Se si ignora questo, possono solo nascere problemi. Problemi di ipocrisia.

Perché le stesse regole non valgono per tutti. Perché bisogna conoscere il proprio territorio alla perfezione per poterlo amministrare al meglio. Credo che la sovranitá (che appartiene al popolo) vada gestita nella maniera piú locale possibile per potersi adattare alla vera realtá di ogni luogo. Poi, quello che serve dall’alto, é una visione comune per coordinare le politiche locali. Per dargli una direzione chiara e condivisa. Servono principi e valori. Ma poco altro.
A vederla cosí, si direbbe che quello che abbiamo in comune per davvero, é che siamo uomini. Uomini che percorrono quotidianamente strade talvolta profondamente diverse, su uno sfondo storico-culturale e ambientale distinto. Ma dopotutto uomini che hanno le stesse aspirazioni di giustizia, felicitá e amore. L’Europa deve essere questo. Deve essere qualcosa che, a costo di sembrare mieloso e inutile, ci dia una direzione da seguire. Qualora ce la dimentichiamo, calati come siamo nella realtá di tutti i giorni. Deve essere qualcosa di elevato. Qualcosa di “al di sopra”, che veda lontano. Che superi le barriere del tempo e dello spazio, laddove noi uomini spesso restiamo intrappolati. Quello deve essere il suo fine ultimo e unico. Per il resto, occorre che il potere sia gestito laddove va applicato.



SOVRANITÁ E DELOCALIZZAZIONE

Credo che non dovremmo cedere nessun tipo di sovranitá a nessun tipo di ente sovranazionale. Anzi, credo che dovremmo recuperare buona parte della nostra sovranitá a livello sotto-nazionale, a livello locale. Ci sarebbero meno sprechi, piú fiducia e piú partecipazione. Credo che il sistema organizzato gerarchicamente vada piú che bene. Ma credo che serva renderlo piú efficiente, evitando livelli di gestione ripetitivi e inutilianalizzando le vere prioritá. Il vero potere deve restare vicino il piú possibile alla persona, all’uomo. In modo che si adatti alla realtá e rimanga reale. Piú potere ai comuni, dunque. O perfino ai quartieri, nelle grandi cittá. Le province? Non servono, grazie. Le regioni e gli Stati? Discutiamo il loro ruolo. Ma che l’Europa ci sia, e che faccia l’Europa dandoci una direzione giusta da seguire. Una direzione valutata in maniera olistica, che abbia come fine ultimo la realizzazione personale dell’uomo nella sua interezza. E nel rispetto dei suoi diritti, come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.



EURO, DENARO E MONETA

E non credo che la sovranitá monetaria debba rimanere in mano all’Europa. L’Euro potrebbe rimanere, come mezzo di scambio comune europeo, ma essere affiancato da monete nazionali. O meglio ancora, da monete regionali. Il cambio con l’Euro tornerebbe ad essere stabilito nello specifico per ogni valuta nazionale. Cosí come si fa oggi col Dollaro, ad esempio.
Inoltre sono convinto che servano piú e piú monete locali. Lo scambio tra monete locali e nazionali sarebbe sempre 1 a 1, ma queste servirebbero a favorire l’economia locale, a riportarci con i piedi per terra e a far sí che tutti gli ingranaggi del sistema si muovano, e non solo quelli trainanti. E servirebbe a  creare sacche di resilienza, cioé quella capacitá di un sistema di resistere agli urti, ai traumi. A creare attorno ad ogni realtá locale quell’insieme di attivitá produttive fondamentali (alimentazione, energia, casa, lavoro) per assicurare il suo corretto funzionamento, indipendentemente da eventi esterni ad essa.

Ma soprattutto, soprattutto, che la moneta torni ad essere emessa liberamente dallo Stato. O, al livello che si voglia, dalla pubblica amministrazione. Basta con l’emissione privata di moneta a debito. Basta con l’imperialismo della finanza. Basta con il potere privato delle banche internazionali. Basta con l’indebitamento e la schiavitú di intere popolazioni. Basta con la speculazione. Basta con l’FMI, la Banca Mondiale e ora pure l’ESM. Basta con l’usura e il ricatto legalizzato. Quella é la vera cosa da cambiare. E quella si puó cambiare solo localizzando l’emissione di moneta e facendola tornare in mano pubblica. Adeguandola alla realtá produttiva e all’economia locale. Per emetterla quando serve, favorendo attivitá produttive utili alla comunitá e controllando cosí l’inflazione. E scordarsi del debito pubblico. Che tornerebbe letteralmente a significare qualcosa che noi dobbiamo a noi. Pari e patta, grazie.



UN'EUROPA PER IL MONDO INTERO

Io credo nell’Europa. Credo che sia un modello di sviluppo positivo e che si debba differenziare ulteriormente dal resto di quello che vediamo sulla scena mondiale. Imperialismo cannibale mascherato da libero mercato mascherato da sogno americano, e dittatura mascherata da capitalismo di stato mascherato da comunismo cinese. Fuori, ne abbiamo avuto abbastanza.
É ora di dare spazio a un modello di sviluppo che riconosca il valore dell’uomo, prima di ogni altra cosa. Che sia per davvero uno sviluppo sostenibile. Che punti sull’indipendenza energetica, sulla salvaguardia delle risorse naturali, sul rispetto dei diritti umani, sull’educazione e la sanitá pubblica e di qualitá, sul libero accesso e sulla conservazione della cultura in tutte le sue manifestazioni, sull’innovazione scientifico-tecnologica, sul lavoro come strumento di realizzazione personale e non schiavitú. Un modello che punti sulla cooperazione del diverso, invece che sull’appiattimento e l’unificazione.

Io credo che l’Europa debba essere questo. Credo che l’Europa possa essere questo e che in parte giá oggi lo sia. Credo che un sistema del genere, a volerlo tutti per davvero, possa funzionare. E allora l’Europa sarebbe il modello da seguire per tutti. Un modello non imposto e che non impone soluzioni, ma che suggerisce un metodo con l’esempio. Metodo che si adatterebbe poi necessariamente alla specificitá locale. Esaltandola invece che appiattirla. E il mondo intero ne beneficerebbe, arricchendosi invece che impoverendosi continuamente.





Ma anche qui, come sempre, il discorso é deviato, esacerbato, ideologicizzato. Posizioni estreme e partitiche. Gioco ben noto che conviene a qualcuno. Svegliamoci...

...non esiste solo bianco o nero, esiste quello che vogliamo,
in tutte le sue possibili sfumature...

...ragioniamo sul cuore della questione
e andiamo al di lá del problema contingente...

...immaginiamo il nostro mondo, il migliore dei mondi possibili...

...se non si danno le cause per il sorgere di un problema,
non dovremo cercarvi poi una soluzione





giovedì 22 marzo 2012

Sono il mondo che vorrei


POLVERE

Ognuno di noi é come un diamante grezzo. Un tutto in potenza venuto al mondo in una terra ricca di eventualitá. Quelle stesse che fatalmente ci indirizzano verso una strada piuttosto che un’altra. Quelle che, volendolo o no, ci rendono la persona che siamo.
Le stesse eventualitá della vita mondana che spesso aggiungono l’ennesima lieve patina al nostro brillio naturale. Affievoliscono ancora un po’ di piú la luce che emaniamo. Ci spengono, un po’ alla volta. Ci ingobbiscono, ci sfiancano, ci stancano. Ci sfiduciano.
Fino a che arriva il momento in cui ci sentiamo troppo piccoli per il mondo in cui viviamo. Arriva il momento in cui ci sentiamo insignificanti. Si sta come in autunno sugli alberi le foglie. O si sta come le foglie che giá danzano in balia del vento. Perdiamo il timone delle nostre vite perché non ci reputiamo all’altezza di governarlo. Troppo piccoli; troppe cose da sapere, da maneggiare, da controllare; troppo insignificanti, noi. Dimentichiamo il nostro vero valore e lo nascondiamo. Perfino a noi stessi. Non ci rendiamo conto delle nostre enormi potenzialitá.




L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO

Dimentichiamo che il mondo ha la forma che noi gli diamo. Dimentichiamo che siamo noi necessariamente il centro del mondo. Del nostro mondo, che in definitiva per ognuno di noi é anche IL mondo. Dimentichiamo che siamo in grado di deformare la realtá a nostro piacimento. In forma soggettiva, grazie al potere della nostra mente, e quindi poi anche in forma oggettiva e fattuale. In forma effettiva. Da poterlo toccare con mano. Siamo noi a determinare il mondo in cui viviamo, il nostro mondo.

Giacché per nessuno é uguale, é unico per tutti. Percui tutti devono sentirsi in grado di tenerne le redini e dirigerlo verso dove vogliono. Ne hanno il diritto. Ne hanno il dovere. Poiché nessun altro lo puó fare per loro. E chi si vuole appropriare di questo diritto é solo un bugiardo. Alzate la testa, perché é una vostra responsabilitá.

Rendersi conto di tutto ció significa tornare a brillare. Significa sentirsi leggeri. Significa volare. Significa libertá. Significa felicitá e sollievo. Prendere in mano il proprio futuro significa non avere piú padroni. Significa non avere piú obblighi. Significa scollarsi dalla (s)comoda poltrona degli spettatori. Significa diventare finalmente attori sulla scena della vita. Significa decidere, non piú obbedire.




POTERE

È solo allora che realizziamo i nostri sogni ed esprimiamo per davvero le nostre potenzialitá. È solo allora che lo splendore del diamante grezzo ormai sepolto dentro di noi riesce finalmente a venire alla luce. Ed é solo allora che uno si rende conto, non senza sorpresa, che il mondo che vorrebbe é lí a portata di mano.

Il mondo che vorrebbe é lui stesso.
Il cambiamento che aspettava é lui stesso.
Cade ogni limite. La forza di cambiare il mondo é nelle sue mani, cosí come nelle mani di chiunque. Perché chiunque puó cambiare il suo mondo. Chiunque lo voglia. Non serve altro che arriavre ad aver sufficiente chiarezza mentale per capirlo. La sola in grado di supportare la nostra innata forza interiore.
Serve volontá, per farlo.

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva Gandhi.

Quel cambiamento nasce necessariamente dentro di noi. Ma la cosa piú difficile é proprio che riesca a farsi strada tra gli strati della nostra insicurezza, modellati da anni di eventualitá ed occorrenze esterne che hanno affievolito e spento la nostra scintillante potenza originaria.
Quella potenza che non ha confini e non ha limiti, che riluce abbagliante dentro ognuno di noi. Aspettando solo il momento in cui potrá emergere.  Ancora una volta.

Dobbiamo esserne consapevoli, e sforzarci per tirarlo fuori. Lottare per poi poter godere del suo enorme potere di modellare la realtá che ci circonda.




Siamo noi il cambiamento che aspettiamo.



Siamo noi il mondo che vogliamo.








venerdì 2 dicembre 2011

Responsabilità partecipativa contemporanea


Il tempo, come ormai è comunemente accettato, è relativo. Relativo in molti sensi. Einstein ci spiega che piú rapidamente ci muoviamo, piú il tempo si dilata in sé. Passa piú lentamente. Concetto per lo piú teorico, di cui abbiamo scarso riscontro nella nostra vita quotidiana, ma che é pur sempre lí. Un fenomeno fisico in sé e uguale per tutti che potremmo definire, con buona pace di Einstein, assoluto.
La dilatazione del tempo peró, a livello umano, é soprattutto psico-emozionale. Un qualcosa, questo, che tutti abbiamo sperimentato in prima persona. Dilatazione qualitativo-quantitativa. Un processo, questo, estremamente relativo.
Potremmo allora dire che sono le nostre azioni e le circostanze in cui ci troviamo a cambiare il tempo. Ne cambiano il corso e ne cambiano la sostanza. Sentiamo di averne di piú o di meno e lo viviamo in maniera diversa.

È forse vero anche il contrario? Puó il tempo influenzare le nostre azioni? Direi proprio di si e, ancora, in piú di un senso. Se intendiamo il tempo in maniera assoluta come il tappeto rosso che si srotola davanti a noi, quale in effetti é, quello che possiamo conoscere solo all’indietro e vivere solo in avanti, allora é evidente che non ci comportiamo di certo nello stesso modo in cui ci si comportava, ad esempio, nel Medio Evo. Se invece lo interpretiamo in maniera relativa, allora é anche vero che non ci comportiamo nello stesso modo nemmeno al sapere di avere un minuto o 10 ore per fare qualcosa.

Le nostre azioni, intese come azioni della collettività, hanno avuto lungo la storia enormi conseguenze. Non hanno in questo caso modificato il tempo in sé, che continua inesorabile il suo corso come ha sempre fatto; hanno peró modificato la nostra societá e il modo in cui vediamo il mondo. L’insieme delle inevitabili conseguenze che ogni azione porta con sé ha modificato la nostra concezione del tempo in cui viviamo e, di conseguenza, il nostro modo di vivere in esso. Necessariamente, ogni nuovo tempo ha poi portato con sé azioni diverse, nuove anch’esse. É la storia dell’evoluzione e del progresso della nostra societá nel tempo, la stessa che ci spinge costantemente a cambiare il modo in cui agiamo e vediamo il mondo.
Le nostre azioni influenzano il tempo. Il tempo influenza le nostre azioni.

Le nostre azioni influenzano le nostre azioni.

Il trascorrere del tempo porta con sè avvenimenti e novità, scoperte e idee. Una nuova concezione della societá e della natura che ci circonda. Un nuovo rapporto con la spiritualitá e una nuova scienza. Nuovi rapporti interpersonali, nuove esigenze e nuove paure. Una nuova visione del mondo e concezione del nostro ruolo di suoi coinquilini privilegiati. Un nuovo paradigma comunemente accettato da tutti per descrivere il complesso e intricato insieme di relazioni in cui viviamo, nel cui ci muoviamo.
Tutto cambia, con il tempo. Tutto cambia, perché non riusciamo a stare fermi. Siamo inesorabilmente mossi da qualcosa, qualcosa che ci spinge a fare meglio di prima, a cercare nuove soluzioni per vivere meglio o anche per il puro e semplice piacere della scoperta e della conoscienza. Siamo nomadi, non ci accontentiamo mai.





Il sistema in cui ci organizziamo si è costantemente evoluto fino ad arrivare qui, oggi. Ma al percorrere la linea del tempo si vede quel che si ha alle spalle ma non quel che si ha davanti, credendo spesso di essere arrivati. Che non ci sia niente di nuovo piú. Accade peró, spesso non senza sorpresa, che quella linea si allunga ancora un po’, e un altro po’ ancora...e cosí continua, sempre.
L’uomo si é sempre organizzato in una qualche struttura sociale, per sopravvivere. Da ognuna di essa é inevitabilmente emerso un certo gruppo di persone che, per qualitá o meriti fuori dalla norma, si é assunta la responsabilitá di guidare gli altri verso un cammino sicuro. Organizzazione della societá e leadership. La cosiddetta classe dirigente, quelli che, in un modo o nell’altro, reggono il potere tra le dita.
Ogni sistema ha prodotto una classe simile salvo poi, seguendo l’inevitabile corso della storia e del tempo, abbandonarla nel momento in cui nuove forze e pulsioni hanno prodotto un cambiamento sostanziale nel sistema di cui quella classe dirigente era l’espressione. Curiosamente, si tratta spesso e volentieri di qualcosa originatosi e all’esterno della classe dirigente stessa. La classe dirigente, il gruppo dei potenti, per definizione, tende ad autoperpetuarsi. Tende a rimanere al potere. Con o senza malizia. Vuoi perché non vedano il cambiamento, vuoi perché non lo accettino. Vuoi perché vogliano rimanere al potere, dimenticandosi del motivo per cui ci sono arrivati: servire gli altri per via delle proprie capacitá fuori dalla norma. Si tratta spesso di una degenerazione di qualcosa di nobile in qualcosa che suona molto come “il potere per il potere”. Da che mondo é mondo il sistema stabilito si é potuto cambiare solo grazie a spinte provenienti dall’esterno della classe dirigente di quello stesso sistema. A volte in modo sommamente violento e tragico. A volte meno. Sempre e comunque obbediendo all’ineluttabile pulsione umana che ci richiede, gridando, progresso.

Ma che cos’é il progresso? Significa forse modernizzazione? Significa fare piú soldi? Significa fare di piú con meno? Progresso significa un qualche insieme di azioni volte al miglioramento della condizione di vita umana. Si puó parlare di progresso tecnologico, scientifico, ecnomico, sociale etc...
La naturale sete di progresso, intrinseca nell’uomo, ci ha sempre spinto verso il cambio. Ineluttabilmente, il cambiamento arriva. Lo si voglia o no. E tende ad arrivare per mano di chi non beneficia piú di tanto del sistema attuale, normalmente gli stessi ad avere piú urgenza nel cambiarlo. Non si tratta forse di qualcosa di particolarmente nobile. Il potere corrompe chiunque. Forse si tratta di mera causalitá. Chi non ha, vuole; chi ha giá, non vuole cedere.

Considerando l’inesorabilitá del cambiamento, che ci accompagna da sempre, emerge il fatto che niente é giusto o sbagliato in sé e per sé, ma andrebbe sempre giudicato nel suo contesto storico, socio-economico, tecnico-scientifico. Tutto é relativo. La migliore opzione 100 anni fa probabilmente non lo é piú ora, visto il progresso maturato in questo lasso di tempo. Vale allora la pena fare qualche domanda: 
  1. Quali sono i tratti salienti che caratterizzano il sistema in cui viviamo? Sono adatti al nostro tempo, sia in termini di esigenze che di possibilità? Ovvero, questo sistema é in grado di soddisfare le esigenze dell’umanitá del giorno d’oggi? Si avvale di tutti gli strumenti che migliaia di anni di progresso gli mettono ogni giorno a disposizione? Ma soprattutto, sta usando adeguatamente le incredibili possibilitá che il vertiginoso progresso tecnico-scientifico degli ultimi 100 anni, seguendo un andamento esponenziale, gli continua a fornire giorno dopo giorno?
  2. Crediamo esista un’alternativa migliore a questo sistema? Con alternativa non intendo dire andare a vivere sulla Luna, ma un’alternativa concreta, attuabile, percorribile ma sostanziale all’architettura che permea la nostra visione del mondo.
  3. Cosa sta facendo l’attuale classe dirigente per preservare il proprio potere, al giorno d’oggi? Se il progresso esiste davvero, forse hanno in mano gli strumenti piú potenti di sempre per garantirsi di mantenere saldo il potere nelle loro mani. Immaginando che sia cosí, quali sono questi strumenti? Stanno influendo nella nostra capacità di immaginarci un’alternativa?





Il sistema in cui viviamo si contraddistingue per una diseguaglianza estrema. Se tutti gli uomini sono nati uguali, apprendiamo ben presto che non é affatto cosí. Vediamo costantemente bambini morire di fame o, anche se non li vediamo, sappiamo perfettamente che sono lí. Uno ogni 5 secondi in media su questo pianeta. Qual é la differenza tra loro e noi? Mera casualitá. L’essere nati nella parte sbagliata del mondo. Concepiti nel letto sbagliato. Siamo davvero pronti ad accettarlo e a continuare a tenere chiusi gli occhi?
Vogliamo davvero continuare a inchinarci ad un sistema cannibale basato sul mito della crescita e del profitto? Vogliamo stare a guardare mentre come un cancro divora tutte le risorse del pianeta su cui viviamo da sempre, senza offrirci nessun’altra possibilitá?
Viviamo in una societá giusta, o forse siamo tutti solamente degli egoisti? Siamo davvero tutti struzzi che finché non ci tocca a noi il problema non esiste? Guardiamo sotto un’altra prospettiva quello che sta succedendo in Europa. Siamo pur sempre lontanti anni luce da quello che é sempre successo in aree piú o meno remote del pianeta. Soprusi, violenze, morte, povertá. Eppure é quello che ci aspetta, prima o poi. Anche a noi ricchi, educati e perbene.
Il punto, qui, non é quando arriverá. State pur certi che arriverá. Il punto é se riusciamo davvero ad accettare l’idea che arrivi, fino al punto da rimanere inermi sulla rotta di collisione aspettando l’impatto.

Io credo che un alternativa sia possibile. E credo che sia ora di prendersi le proprie responsabilitá, in prima persona. Non si puó pretendere di essere ascoltati seriamente senza dare l’esempio. Gandhi diceva

sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo

E allora per quanto mi riguarda cercheró di fare del mio meglio, nel mio piccolo, per cambiare le cose. A cominciare da qui. Per elaborare e proporre un’alternativa. Magari per essere d’ispirazione a qualcuno. Al pari di tutte quelle, tante, persone che lo sono state per me. Di quelle che continuano ad esserlo. Di quelle che lo saranno.

Credo che sia arrivato il momento di aprire gli occhi, di alzarsi davvero in piedi e di prendersi, tutti, le proprie responsabilitá. Di togliere la testa dalla sabbia. Perché se non lo facciamo, se non agiamo subito, immediatamente, ognuno cosí come potrá, possiamo ben considerarci complici di tutto quello di cui tanto ci piace lamentarci.

Il tempo cambia e si evolve, e noi con lui. Il tempo di aspettare che qualcuno faccia qualcosa é finito. É iniziato il tempo della responsabilitá partecipativa. Attiva. Contemporanea. Individuale prima ancora che collettiva.


Agire per cambiare il tempo, come abbiamo sempre fatto.




Corre l’anno 2011. 

Chissá se il 2012 sará davvero la fine del Mondo. As we know it.