Piú o meno un anno fa, il 15 maggio 2011, si levó spontaneo, limpido e
incontrollabile un vento nuovo nella nostro mondo di tutti i giorni. Un vento di
non conformismo. Un vento di implicazione in prima persona. Un vento di ribellione
intelligente e informata. Un vento di svolta. Si levó da Madrid, dove in Porta del
Sole inizió a confluire un sacco di gente spontaneamente, per affermare pubblicamente
il proprio sdegno e la propria non conformitá nei confronti di un sistema e di una
classe politica non li rappresentava. Quella stessa classe politica che stava
cercando, con l’ennesima farsa, quel consenso popolare che gli serviva per
essere rieletti nelle elezioni amministrative che si sarebbero svolte di lí a
una settimana. Ci riuscí, come sempre.
La cosa nuova di quel 15 maggio 2011 é che, appunto, una marea di
gente scese in piazza. Si voleva riappropriare dello spazio pubblico che le appartiene,
della sua individualitá di persona che non si sente rappresentata e vuole farlo
sapere, del proprio diritto a partecipare a quel processo di miglioramento
della societá nella quale si vive. E fu allora che successe qualcosa di magico:
si rese conto che non era sola. Non solo, ma che erano migliaia e migliaia le
persone mosse da quello stesso sentimento. Non gli si poteva non dare ascolto. Fu
una presa di coscienza travolgente, di quelle che ti danno l’impressione che –
se davvero é cosí, se davvero siamo tanti – tutto puó succedere.
Fu una presa di coscienza individuale prima, intima e profonda.
Quella che ti spinge a uscire di casa, a dire che no, non si puó piú accettare,
che la misura é colma. A pensare che é ora di fare qualcosa, qualsiasi cosa. E
soprattutto a sentire che va bene, magari non cambierá nulla, ma che non contino
su di me. Che non sperino di fregarmi ancora una volta, con me hanno chiuso. Per
me sono finiti, che lo sappiano.
Fu una presa di coscienza collettiva, poi. Come movimento
popolare, cioé fatto di persone. Ognuna col proprio diritto a dire la sua e la
propria testa per pensare. Ma con tanto in comune da poter parlare con una voce
sola. E voce sopra voce il coro assumeva dimensioni incredibili e una potenza
tale da non poter essere ignorato. L’unione fa la forza, mai piú vero che in questo
caso. Ma fu anche la dimostrazione palese che la diversitá é ricchezza. La
diversitá di un movimento eterogeneo e fermamente motivato. E si sa, con la motivazione
si muovono le montagne.
Quello che va capito per capire la grandezza di quello che successe quel
15 maggio 2011 (o, meglio detto, di quello che inizió a rendersi esplicito su
vasta scala), é che si trattava di gente comune. Gente comune che di problemi non
ne voleva e non ne cercava, ma voleva solo riappropriarsi di ció che é suo: il
diritto a contribuire a migliorare il proprio futuro. Per la stragrande
maggioranza non si trattava di professionisti delle manifestazioni o di gente
manipolata da questo o quell’interesse. Gente di ogni estrazione sociale e
provenienza. Per la prima volta si trovarono a marciare fianco a fianco i nonni,
i padri e i nipoti, i professionisti e gli studenti di questo e di quello, immigrati
e nativi.
La molla era la non conformitá con un sistema che prima ancora di rubare
il futuro delle persone, ne uccide il presente. Un sistema che vive sulle
spalle della gente umile per sostenere gli stili di vita insostenibili dei
pochi nelle cui mani si accumula tutta la ricchezza del mondo intero. Un
sistema che si autoperpetua evitando qualsiasi reale cambiamento, prendendoci
per di piú in giro con la farsa della democrazia rappresentativa. Un sistema
che assieme alle persone distrugge il pianeta in cui viviamo.
La gente disse basta. E lo disse ad alta voce e in coro. Impossibile
non sentirsi coinvolti. Impossibile ignorarla. Impossibile non vedere un prima
e un dopo il 15 maggio 2011. Da quel giorno la protesta fu virale e quotidiana.
Si diffuse in tutto il mondo. Pacifica, puntuale, mirata e sempre informata.
Da quel giorno nacque il movimento 15M, degli indignati, di quelli che sono
stufi di piegarsi e dicono che puó bastare cosí, ci riprendiamo in mano le
nostre vite grazie.
C’é tanta demagogia attorno a questo movimento, come sempre. La veritá
é che chi controlla i mezzi di comunicazione attraverso i quali ci arrivano le
notizie non ha alcun interesse a presentarlo come altro che non sia l’ennesima,
simpatica, inconcludente, protesta cittadina. Ben organizzata sí, materiale da
poterci scrivere qualche bell’articolo pieno di populismo e frasi fatte.
Qualche servizio colorato pieno di cori e slogan e striscioni simpatici. Ma poi
basta. Vedrete, si diceva, svanirá presto. Alle elezioni si voterá come sempre,
e quelli governeranno come sempre. E non cambierá nulla e arrivará un altro 15M
un giorno. La gente rimase nelle piazze per piú di un mese, fino a che la
polizia (tutt’altro che pacificamente) svuotó le piazze e mandó via tutti. Ecco
qua, come non detto. Svanito nel nulla il 15M, l’indignazione e tutto quanto.
Quello che non si racconta peró, é che nel frattempo in quelle stesse
piazze si parlava, si discuteva, si proponeva e ci si confrontava sui quegli
stessi temi che avevano spinto la gente a uscire dai propri gusci. Si erano
create vere e proprie commissioni di lavoro a cui bastava un po’ di curiositá per
partecipare a chiunque passasse per quella piazza. Curiositá per ascoltare e, ovviamente,
interesse per cambiare le cose. Interesse e competenze per cambiarle, anche
quelle ci si rese ben presto conto che non mancavano.
La vera rivoluzione é stata
il cambio dello stato mentale. É stato il rendersi conto del non essere
piú soli e del mare di possibilitá che si aprivano dinnanzi per riprendersi in
mano il diritto di gestire le proprie vite.
E allora a guardarla bene la scintilla di quel giorno in realtá non é mai
svanita, anche se nel frattempo quelle piazze sono tornate ad essere spazi
sterili dedicati al commercio e alla non-vita cittadina. Chi ne é stato colpito
l’ha portata con sé nella sua vita quotidiana e la mantiene ben viva nel
proprio quartiere, continuando con le assemblee e gli incontri locali a discutere
e ad approfondire i perché. E a proporre soluzioni e alternative. Quello che
ben pochi dicono, é che spesso nel loro piccolo le riescono anche a mettere in
pratica. E questa, signori miei, é la vera rivoluzione cominciata quel 15
maggio 2011. La rivoluzione della partecipazione attiva e diretta.
Riappropriazione dello spazio che ci appartiene. Le piazze, simbolo
delle cittá, sono nate come punto di incontro. Per scambiare le idee, per crescere
come societá. Non per vendere pallocini, souvenir o granturco da dare ai
piccioni. Da quel giorno le piazze sono un po’ meno mero luogo di passaggio,
crocevia tra le strade dove consumiamo e quelle che ci portano a lavorare. La
piazza torna ad essere quel luogo dove ci si confronta e ci si riunisce. Ma é
una piazza senza populismo, che quello non serve. Non é la piazza del “le
piazze chiedono”. Non é folla massificata e informe. É una miriade di persone
civili. É la piazza della gente normale che é stufa e vuole dire la sua. E si
rende conto all’improvviso che ha tanto da dire, e che non gli mancano certo le
competenze per concorrere con i burocrati prezzolati che ci governano a nostre
spese e rubandoci il consenso. La piazza é il simbolo che un’alternativa esiste
ed é perfettamente possibile e attuabile. Oggi.
Riappropriazione della politica. Cioé della partecipazione a
determinare il modo in cui gestire la cosa pubblica. Sanitá pubblica,
educazione di qualitá, lavoro e non schivitú lavorativa, stato sociale, diritto
ad una casa e una vita degna. Diritto alla realizzazione personale. La gente
parla, discute, si interroga, ribatte, si confronta, propone, vota. Questo é il
vero spirito di quelle giornate: democrazia vera e diretta.
Riappropriazione della comunicazione. In TV ci dicono quello
che vogliono. Sui giornali piú o meno. Ma per fortuna la comunicazione non é
piú unilaterale. C’é prima di tutto la piazza. Comunicazione diretta, faccia a
faccia, come non se ne vedeva da tempo. E poi c’é internet con tutta la sua
potenza innovativa e il mare di nuove possibilitá comunicative. Immediato,
efficace, ramificato a tal punto da essere incontrollabile. Multilaterale, che
rende ognuno comunicatore e recettore di comunicazione allo stesso tempo. E
rende la questione virale: non puó piú essere ignorata.
Pazienza quindi quando le piazze principali si svuotano forzosamente. L’insegnamento
di quei giorni resta e continua giorno dopo giorno in migliaia di gruppi di
persone auto-organizzate che continuano a vivere nelle piazze minori o in
quelle private o virtuali. Persone che restano lí, pronte a riunirsi di nuovo
ogni volta che serva. Persone che si identificano con una causa non perché
qualcuno glielo dice, ma perché lo sentono e ci credono personalmente e
profondamente. Questo é quello che la gente non capisce quando pensa che tutto
sia finito e allo stesso tempo la dimostrazione piú palese del fatto che le
cose stiano iniziando a cambiare per davvero.
Tante volte si dice che il sistema bisogna cambiarlo dall’interno. In
questo senso chi aspettava la formazione di un partito 15M o qualcosa del
genere é rimasto deluso. I detrattori sono invece soddisfatti, affermando tronfi
che c’era da aspettarselo che si sarebbe presto sgonfiato tutto. Cari signori, entrambi,
temo non abbiate capito niente. Einstein diceva “non si puó risolvere un problema con la stessa mentalitá che l’ha
generato”. E allora la politica e i partiti rimangano pure fuori. Ci si
riunisce ognuno a titolo suo, responsabile di quello che dice in prima persona,
in modo che ognuno sia costretto a pensare e criticamente ragionare. Non
aspettiamo piú che il cambiamento arrivi dall’alto, perché sappiamo, abbiamo
capito, che cosí non arriverá mai. Semplicemente perché a quelli in alto non
conviene. Allora cambiamo strategia, cambiamo la prospettiva con cui guardiamo
al problema e alla sua soluzione. Cambiamo
il cambiamento. Il cambiamento ce lo prendiamo noi, direttamente, dal
basso. Con gli strumenti che abbiamo noi formiche: lavorando. Fintanto che questo
sistema oppressore e parassita che vive sulle nostre spalle diventi obsoleto e
cada sotto il proprio peso.
Questa é l’idea, ma non guardiamo troppo lontano, rimaniamo concreti.
CI concentriamo sul breve termine. Non creiamo artificiose impalcature sociali
da cui possiamo solo aspettarci il fragore di quando cadranno davanti ai nostri
occhi. Passo dopo passo, proviamo soluzioni nuove. La rivoluzione vera adesso
come adesso é che il processo é giá in marcia e segue il suo percorso:
ravvivare le menti e le coscienze critiche delle persone. Chi parlava tanto di
speculazione finanziaria fino a 5 anni fa? Chi parlava di bolla immobiliaria? Chi
aveva davvero coscienza del teatrino della politica e del potere? Chi sapeva
come funziona il denaro, chi lo crea e chi lo gestisce? Chi parlava di debito? Chi
aveva mai sentio parlare di queste cose 5 anni fa? Chi si confrontava
quotidianamente su questi temi? La rivoluzione é che gente come me stia scrivendo
di queste cose. É che gente come noi continui a leggere, che ne parli giorno
dopo giorno, ne sia al corrente, si continui ad informare. Che sia chiaro ai governanti
che sono sotto la nostra lente di ingrandimento ma non solo, che presto non ci
serviranno piú.
Stiamo costruendo un sistema nuovo, non ci accontentiamo di aggiustare
quello vecchio. Come? Come possiamo. Come sará? Non lo sappiamo ancora, ma sará
diverso questo é certo. Per il fatto che sará per il bene di tutti e non per il
bene di pochi, perché tutti perteciperemo. Sará democratico per davvero. Sará a
rete, sará collegato al mondo reale.
A distanza di un anno da quel giorno la marea di gente é tornata ieri a
riunirsi, a riappropriarsi delle piazze e delle strade. Tanti di quelli che li
credevano morti solo perché tornati invisibili ai loro occhi sono caduti dalle
nuvole. Noi sapevamo di continuare ad essere tanti, sempre di piú. E
continueremo ad aumentare. Perché
prima ti ignorano,
poi ti deridono,
poi ti combattono,
poi vinci.
Anche questa volta succederá proprio cosí.
Nessun commento:
Posta un commento