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domenica 30 settembre 2012

30 Settembre


Le acque si stanno alzando. La marea sta montando. Gente sfinita, che di alternative non ne ha piú. Gente esasperata, rassegnata. Disposta perfino a manifestare, assieme ai ragazzi. Dopo una vita che si pensava instradata, sicura, di quelle da potere dormire tra due cuscini. Eppure no. Si scende in strada di nuovo, si riempiono le piazze, si scandiscono gli slogan e si alzano gli striscioni come 50 anni fa. Ancora una volta.

Gente che di scelte da fare non ne ha mai nemmeno avute. Gente che si é sentita da sempre ripetere lo stesso ritornello. Accorgersi all’improvviso di non avere piú strofe da cantare quando arriva il tuo turno é dura, davvero dura. Prendi una manciata di quegli occhi azzurri sognatori e li butti nel sacco dei panni sporchi. Da lavare con la tua illusione. Non credere piú a niente, d’ora in poi.

Poi ci sono quelli che sono lí perché devono, ma di piangersi addosso non se ne parla. Quelli che non hanno voglia di aspettare che la cavalleria li venga a salvare. Sia quella che sia, no grazie. Quelli che si rimboccano le maniche e iniziano la loro, di storia. Che si mantengono lucidi e passano lo sguardo dalle cause, quelle vere, alle soluzioni, quelle vere. Ci sono quelli che l’hanno sempre saputo e quelli che l’hanno appena scoperto,non importa. Ma avanti si va, che a restare fermi si marcisce ancora di piú.

A guardarla cosí sembra tutto bello, ma a che servirá? Che senso ha scendere in piazza? Tanto i fili in mano li tiene sempre qualcun altro. In tanti peró ci hanno insegnato che se una cosa la vuoi, la devi volere forte per poterla prendere. E che da soli non si puó. Tempo fa si alzavano le barricate, si incendiavano le macchine, si prendevano le manganellate. Questa volta forse, ma non é questo il punto. Questa volta il nemico non lo si conosce nemmeno poi tanto. Cioé, lo si intuisce piú che altro, perché non ha volto. Ma la sedia sotto il culo brucia lo stesso, e ti ci devi alzare. E allora succede che ti affacci alla finestra e vedi la strada come un fiume in piena, e due domande te le fai. Il sangue torna a bollire nelle vene, ti senti attratto da quella fiumana di civiltá ritrovata. E allora succede che spegni la tivvú, e ritorni a camminare nel mondo reale. E ti accorgi che ci sono anche quelli di 50 anni fa, di fianco ai figli e pure ai nipoti. Ti accorgi che vi eravate illusi tutti, che vi eravate accontentati delle storie della buonanotte che vi avevano raccontato, ma che non é bastato. Che a vederelo ora sembra tutto cosí chiaro... siamo stati complici anche noi.

Quella marea umana é come una secchiata di acqua fredda dritta in faccia. Guarda cosa ci hanno fatto mentre dormivamo. Si scende in piazza di nuovo. Ci si rimette in gioco. Gemme in attesa sotto il gelo dell’inverno. Brace che si spegne fievole col tempo ma che brucia non appena ci soffi sopra. Ci é voluto un po’, ma abbiamo riaperto gli occhi. Ritrovare l’orgoglio di dire no. Ritrovare la dignitá della non delega. Ritrovare la voglia di scegliere. Ritrovare se stessi in una piazza piena di gente.




domenica 13 maggio 2012

Soffia, di nuovo, un vento nuovo


Piú o meno un anno fa, il 15 maggio 2011, si levó spontaneo, limpido e incontrollabile un vento nuovo nella nostro mondo di tutti i giorni. Un vento di non conformismo. Un vento di implicazione in prima persona. Un vento di ribellione intelligente e informata. Un vento di svolta. Si levó da Madrid, dove in Porta del Sole inizió a confluire un sacco di gente spontaneamente, per affermare pubblicamente il proprio sdegno e la propria non conformitá nei confronti di un sistema e di una classe politica non li rappresentava. Quella stessa classe politica che stava cercando, con l’ennesima farsa, quel consenso popolare che gli serviva per essere rieletti nelle elezioni amministrative che si sarebbero svolte di lí a una settimana. Ci riuscí, come sempre.
La cosa nuova di quel 15 maggio 2011 é che, appunto, una marea di gente scese in piazza. Si voleva riappropriare dello spazio pubblico che le appartiene, della sua individualitá di persona che non si sente rappresentata e vuole farlo sapere, del proprio diritto a partecipare a quel processo di miglioramento della societá nella quale si vive. E fu allora che successe qualcosa di magico: si rese conto che non era sola. Non solo, ma che erano migliaia e migliaia le persone mosse da quello stesso sentimento. Non gli si poteva non dare ascolto. Fu una presa di coscienza travolgente, di quelle che ti danno l’impressione che – se davvero é cosí, se davvero siamo tanti – tutto puó succedere.



Fu una presa di coscienza individuale prima, intima e profonda. Quella che ti spinge a uscire di casa, a dire che no, non si puó piú accettare, che la misura é colma. A pensare che é ora di fare qualcosa, qualsiasi cosa. E soprattutto a sentire che va bene, magari non cambierá nulla, ma che non contino su di me. Che non sperino di fregarmi ancora una volta, con me hanno chiuso. Per me sono finiti, che lo sappiano.
Fu una presa di coscienza collettiva, poi. Come movimento popolare, cioé fatto di persone. Ognuna col proprio diritto a dire la sua e la propria testa per pensare. Ma con tanto in comune da poter parlare con una voce sola. E voce sopra voce il coro assumeva dimensioni incredibili e una potenza tale da non poter essere ignorato. L’unione fa la forza, mai piú vero che in questo caso. Ma fu anche la dimostrazione palese che la diversitá é ricchezza. La diversitá di un movimento eterogeneo e fermamente motivato. E si sa, con la motivazione si muovono le montagne.

Quello che va capito per capire la grandezza di quello che successe quel 15 maggio 2011 (o, meglio detto, di quello che inizió a rendersi esplicito su vasta scala), é che si trattava di gente comune. Gente comune che di problemi non ne voleva e non ne cercava, ma voleva solo riappropriarsi di ció che é suo: il diritto a contribuire a migliorare il proprio futuro. Per la stragrande maggioranza non si trattava di professionisti delle manifestazioni o di gente manipolata da questo o quell’interesse. Gente di ogni estrazione sociale e provenienza. Per la prima volta si trovarono a marciare fianco a fianco i nonni, i padri e i nipoti, i professionisti e gli studenti di questo e di quello, immigrati e nativi.
La molla era la non conformitá con un sistema che prima ancora di rubare il futuro delle persone, ne uccide il presente. Un sistema che vive sulle spalle della gente umile per sostenere gli stili di vita insostenibili dei pochi nelle cui mani si accumula tutta la ricchezza del mondo intero. Un sistema che si autoperpetua evitando qualsiasi reale cambiamento, prendendoci per di piú in giro con la farsa della democrazia rappresentativa. Un sistema che assieme alle persone distrugge il pianeta in cui viviamo.
La gente disse basta. E lo disse ad alta voce e in coro. Impossibile non sentirsi coinvolti. Impossibile ignorarla. Impossibile non vedere un prima e un dopo il 15 maggio 2011. Da quel giorno la protesta fu virale e quotidiana. Si diffuse in tutto il mondo. Pacifica, puntuale, mirata e sempre informata. Da quel giorno nacque il movimento 15M, degli indignati, di quelli che sono stufi di piegarsi e dicono che puó bastare cosí, ci riprendiamo in mano le nostre vite grazie.



C’é tanta demagogia attorno a questo movimento, come sempre. La veritá é che chi controlla i mezzi di comunicazione attraverso i quali ci arrivano le notizie non ha alcun interesse a presentarlo come altro che non sia l’ennesima, simpatica, inconcludente, protesta cittadina. Ben organizzata sí, materiale da poterci scrivere qualche bell’articolo pieno di populismo e frasi fatte. Qualche servizio colorato pieno di cori e slogan e striscioni simpatici. Ma poi basta. Vedrete, si diceva, svanirá presto. Alle elezioni si voterá come sempre, e quelli governeranno come sempre. E non cambierá nulla e arrivará un altro 15M un giorno. La gente rimase nelle piazze per piú di un mese, fino a che la polizia (tutt’altro che pacificamente) svuotó le piazze e mandó via tutti. Ecco qua, come non detto. Svanito nel nulla il 15M, l’indignazione e tutto quanto.

Quello che non si racconta peró, é che nel frattempo in quelle stesse piazze si parlava, si discuteva, si proponeva e ci si confrontava sui quegli stessi temi che avevano spinto la gente a uscire dai propri gusci. Si erano create vere e proprie commissioni di lavoro a cui bastava un po’ di curiositá per partecipare a chiunque passasse per quella piazza. Curiositá per ascoltare e, ovviamente, interesse per cambiare le cose. Interesse e competenze per cambiarle, anche quelle ci si rese ben presto conto che non mancavano.
La vera rivoluzione é stata il cambio dello stato mentale. É stato il rendersi conto del non essere piú soli e del mare di possibilitá che si aprivano dinnanzi per riprendersi in mano il diritto di gestire le proprie vite.
E allora a guardarla bene la scintilla di quel giorno in realtá non é mai svanita, anche se nel frattempo quelle piazze sono tornate ad essere spazi sterili dedicati al commercio e alla non-vita cittadina. Chi ne é stato colpito l’ha portata con sé nella sua vita quotidiana e la mantiene ben viva nel proprio quartiere, continuando con le assemblee e gli incontri locali a discutere e ad approfondire i perché. E a proporre soluzioni e alternative. Quello che ben pochi dicono, é che spesso nel loro piccolo le riescono anche a mettere in pratica. E questa, signori miei, é la vera rivoluzione cominciata quel 15 maggio 2011. La rivoluzione della partecipazione attiva e diretta.

Riappropriazione dello spazio che ci appartiene. Le piazze, simbolo delle cittá, sono nate come punto di incontro. Per scambiare le idee, per crescere come societá. Non per vendere pallocini, souvenir o granturco da dare ai piccioni. Da quel giorno le piazze sono un po’ meno mero luogo di passaggio, crocevia tra le strade dove consumiamo e quelle che ci portano a lavorare. La piazza torna ad essere quel luogo dove ci si confronta e ci si riunisce. Ma é una piazza senza populismo, che quello non serve. Non é la piazza del “le piazze chiedono”. Non é folla massificata e informe. É una miriade di persone civili. É la piazza della gente normale che é stufa e vuole dire la sua. E si rende conto all’improvviso che ha tanto da dire, e che non gli mancano certo le competenze per concorrere con i burocrati prezzolati che ci governano a nostre spese e rubandoci il consenso. La piazza é il simbolo che un’alternativa esiste ed é perfettamente possibile e attuabile. Oggi.

Riappropriazione della politica. Cioé della partecipazione a determinare il modo in cui gestire la cosa pubblica. Sanitá pubblica, educazione di qualitá, lavoro e non schivitú lavorativa, stato sociale, diritto ad una casa e una vita degna. Diritto alla realizzazione personale. La gente parla, discute, si interroga, ribatte, si confronta, propone, vota. Questo é il vero spirito di quelle giornate: democrazia vera e diretta.

Riappropriazione della comunicazione. In TV ci dicono quello che vogliono. Sui giornali piú o meno. Ma per fortuna la comunicazione non é piú unilaterale. C’é prima di tutto la piazza. Comunicazione diretta, faccia a faccia, come non se ne vedeva da tempo. E poi c’é internet con tutta la sua potenza innovativa e il mare di nuove possibilitá comunicative. Immediato, efficace, ramificato a tal punto da essere incontrollabile. Multilaterale, che rende ognuno comunicatore e recettore di comunicazione allo stesso tempo. E rende la questione virale: non puó piú essere ignorata.

Pazienza quindi quando le piazze principali si svuotano forzosamente. L’insegnamento di quei giorni resta e continua giorno dopo giorno in migliaia di gruppi di persone auto-organizzate che continuano a vivere nelle piazze minori o in quelle private o virtuali. Persone che restano lí, pronte a riunirsi di nuovo ogni volta che serva. Persone che si identificano con una causa non perché qualcuno glielo dice, ma perché lo sentono e ci credono personalmente e profondamente. Questo é quello che la gente non capisce quando pensa che tutto sia finito e allo stesso tempo la dimostrazione piú palese del fatto che le cose stiano iniziando a cambiare per davvero.



Tante volte si dice che il sistema bisogna cambiarlo dall’interno. In questo senso chi aspettava la formazione di un partito 15M o qualcosa del genere é rimasto deluso. I detrattori sono invece soddisfatti, affermando tronfi che c’era da aspettarselo che si sarebbe presto sgonfiato tutto. Cari signori, entrambi, temo non abbiate capito niente. Einstein diceva “non si puó risolvere un problema con la stessa mentalitá che l’ha generato”. E allora la politica e i partiti rimangano pure fuori. Ci si riunisce ognuno a titolo suo, responsabile di quello che dice in prima persona, in modo che ognuno sia costretto a pensare e criticamente ragionare. Non aspettiamo piú che il cambiamento arrivi dall’alto, perché sappiamo, abbiamo capito, che cosí non arriverá mai. Semplicemente perché a quelli in alto non conviene. Allora cambiamo strategia, cambiamo la prospettiva con cui guardiamo al problema e alla sua soluzione. Cambiamo il cambiamento. Il cambiamento ce lo prendiamo noi, direttamente, dal basso. Con gli strumenti che abbiamo noi formiche: lavorando. Fintanto che questo sistema oppressore e parassita che vive sulle nostre spalle diventi obsoleto e cada sotto il proprio peso.

Questa é l’idea, ma non guardiamo troppo lontano, rimaniamo concreti. CI concentriamo sul breve termine. Non creiamo artificiose impalcature sociali da cui possiamo solo aspettarci il fragore di quando cadranno davanti ai nostri occhi. Passo dopo passo, proviamo soluzioni nuove. La rivoluzione vera adesso come adesso é che il processo é giá in marcia e segue il suo percorso: ravvivare le menti e le coscienze critiche delle persone. Chi parlava tanto di speculazione finanziaria fino a 5 anni fa? Chi parlava di bolla immobiliaria? Chi aveva davvero coscienza del teatrino della politica e del potere? Chi sapeva come funziona il denaro, chi lo crea e chi lo gestisce? Chi parlava di debito? Chi aveva mai sentio parlare di queste cose 5 anni fa? Chi si confrontava quotidianamente su questi temi? La rivoluzione é che gente come me stia scrivendo di queste cose. É che gente come noi continui a leggere, che ne parli giorno dopo giorno, ne sia al corrente, si continui ad informare. Che sia chiaro ai governanti che sono sotto la nostra lente di ingrandimento ma non solo, che presto non ci serviranno piú.

Stiamo costruendo un sistema nuovo, non ci accontentiamo di aggiustare quello vecchio. Come? Come possiamo. Come sará? Non lo sappiamo ancora, ma sará diverso questo é certo. Per il fatto che sará per il bene di tutti e non per il bene di pochi, perché tutti perteciperemo. Sará democratico per davvero. Sará a rete, sará collegato al mondo reale.

A distanza di un anno da quel giorno la marea di gente é tornata ieri a riunirsi, a riappropriarsi delle piazze e delle strade. Tanti di quelli che li credevano morti solo perché tornati invisibili ai loro occhi sono caduti dalle nuvole. Noi sapevamo di continuare ad essere tanti, sempre di piú. E continueremo ad aumentare. Perché

prima ti ignorano,
poi ti deridono,
poi ti combattono,
poi vinci.



Anche questa volta succederá proprio cosí.