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domenica 30 settembre 2012

30 Settembre


Le acque si stanno alzando. La marea sta montando. Gente sfinita, che di alternative non ne ha piú. Gente esasperata, rassegnata. Disposta perfino a manifestare, assieme ai ragazzi. Dopo una vita che si pensava instradata, sicura, di quelle da potere dormire tra due cuscini. Eppure no. Si scende in strada di nuovo, si riempiono le piazze, si scandiscono gli slogan e si alzano gli striscioni come 50 anni fa. Ancora una volta.

Gente che di scelte da fare non ne ha mai nemmeno avute. Gente che si é sentita da sempre ripetere lo stesso ritornello. Accorgersi all’improvviso di non avere piú strofe da cantare quando arriva il tuo turno é dura, davvero dura. Prendi una manciata di quegli occhi azzurri sognatori e li butti nel sacco dei panni sporchi. Da lavare con la tua illusione. Non credere piú a niente, d’ora in poi.

Poi ci sono quelli che sono lí perché devono, ma di piangersi addosso non se ne parla. Quelli che non hanno voglia di aspettare che la cavalleria li venga a salvare. Sia quella che sia, no grazie. Quelli che si rimboccano le maniche e iniziano la loro, di storia. Che si mantengono lucidi e passano lo sguardo dalle cause, quelle vere, alle soluzioni, quelle vere. Ci sono quelli che l’hanno sempre saputo e quelli che l’hanno appena scoperto,non importa. Ma avanti si va, che a restare fermi si marcisce ancora di piú.

A guardarla cosí sembra tutto bello, ma a che servirá? Che senso ha scendere in piazza? Tanto i fili in mano li tiene sempre qualcun altro. In tanti peró ci hanno insegnato che se una cosa la vuoi, la devi volere forte per poterla prendere. E che da soli non si puó. Tempo fa si alzavano le barricate, si incendiavano le macchine, si prendevano le manganellate. Questa volta forse, ma non é questo il punto. Questa volta il nemico non lo si conosce nemmeno poi tanto. Cioé, lo si intuisce piú che altro, perché non ha volto. Ma la sedia sotto il culo brucia lo stesso, e ti ci devi alzare. E allora succede che ti affacci alla finestra e vedi la strada come un fiume in piena, e due domande te le fai. Il sangue torna a bollire nelle vene, ti senti attratto da quella fiumana di civiltá ritrovata. E allora succede che spegni la tivvú, e ritorni a camminare nel mondo reale. E ti accorgi che ci sono anche quelli di 50 anni fa, di fianco ai figli e pure ai nipoti. Ti accorgi che vi eravate illusi tutti, che vi eravate accontentati delle storie della buonanotte che vi avevano raccontato, ma che non é bastato. Che a vederelo ora sembra tutto cosí chiaro... siamo stati complici anche noi.

Quella marea umana é come una secchiata di acqua fredda dritta in faccia. Guarda cosa ci hanno fatto mentre dormivamo. Si scende in piazza di nuovo. Ci si rimette in gioco. Gemme in attesa sotto il gelo dell’inverno. Brace che si spegne fievole col tempo ma che brucia non appena ci soffi sopra. Ci é voluto un po’, ma abbiamo riaperto gli occhi. Ritrovare l’orgoglio di dire no. Ritrovare la dignitá della non delega. Ritrovare la voglia di scegliere. Ritrovare se stessi in una piazza piena di gente.




domenica 12 febbraio 2012

La fabbrica del tempo


Quanta potenza esiste un una gemma che riporta la vita dopo il gelo dell’inverno? Piú o meno di quella che si nasconde dietro un intero esercito?

Siamo costantemente testimoni della potenza della natura, del suo inesorabile corso e della sua saggezza. Noi stessi siamo il frutto di milioni di anni di evoluzione.  La storia della Terra é costellata di fallimenti, strade alternative intraprese e, finalmente, il successo. Milioni di anni di lavoro e i suoi risultati davanti noi. Sarebbe saggio prenderla ad esempio. Sarebbe saggio trarre vantaggio da tanta esperienza. Sarebbe saggio non riniziare da capo perché di tempo per sbagliare, mi pare di capire, non ne abbiamo abbastanza.

Giá, il tempo. Il tempo é un qualcosa di strano. È una dimensione cosí come le tre che normalmente percepiamo dentro lo spazio. Ma contrariamente ad esse va solo in una direzione, in avanti. Il tempo é la risorsa piú preziosa che abbiamo. Perché é limitata, ma soprattutto perché non possiamo smettere di consumarla. In nessun modo.

Soffermiamoci un momento, ognuno per sé, a pensare come spendiamo il nostro tempo. Pensa a cosa hai fatto fino adesso nella tua vita. A come spendi le tue giornate. Pensa a cosa pensi di fare domani. Pensa anche che non potrai girarti e tornare indietro quando, e se, ti accorgerai di esserti sbagliato.
Chi insegue, non sa bene perché, idee piú o meno farneticanti che qualcuno gli ha messo in testa alzi la mano. Chi segue una qualche strada sterile e indolore che lo guarda ammiccante, cosí come guarda chiunque altro. Chi perfino ci crede. Chi diventa un docile agnellino delegando ogni controllo della sua vita, del suo tempo, a un meccanismo piú grande di lui la cui validitá nemmeno prova soppesare. Modelli che vanno semplicemente seguiti. Chi arriva a un certo punto e si ribella. Chi si accorge semplicemente di aver sbagliato prioritá finora. Chi ha il coraggio di prendere la propria vita e cambiare corso.

La maggior parte delle persone, nella nostra societá della felicitá per tutti, non ha idea di cosa farsene del tempo. Il tempo non é qualcosa da valorizzare, é semplicemente una moneta di scambio. Io ti do il mio tempo, la mia vita intera a gocce, e tu mi dai altro in cambio. In genere, diciamolo pure, voglio soldi. Ci consumiamo lentamente per avere qualche pezzo di carta tra le mani. Perché?
È davvero per poter vivere in pace, senza bisogni e felici? Io credo di no. Probabilmente non avremmo bisogno di impiegare tanto tempo per poter davvero riuscire a soddisfare tutti i nostri veri bisogni.  Avremmo in realtá un sacco di tempo in piú per fare mille altre cose. Eppure abbiamo scelto di essere schiavi di questo sistema. Anche se, o forse proprio perché, non ne capiamo le regole. Non ne abbiamo il controllo in alcun modo.

Abbiamo perso il controllo delle nostre vite. Ci consumiamo in posti dove non vorremmo stare, facendo cose che non ci piacciono e insieme a facce che non vorremmo vedere. Messo un piede dentro al cerchio, siamo costretti a lavorare per poter vivere. Non lavoriamo perché vogliamo, ma perché dobbiamo. Ed é l’unico modo che conosciamo per poter tirare avanti. Ci manca l’inventiva per immaginare un altro mondo. Ci manca persino la memoria per ricordare come erano le cose prima che tutto si riducesse a questo. Ci manca perfino l’interesse. Siamo inebetiti dalle promesse di benessere e felicitá, che inevitabilmente rimangono promesse. L’unica cosa che cambia é che ci resta sempre meno tempo per realizzarle. Siamo nelle mani di chi regge le fila del teatrino della nostra vita, ci fa ballare e sballare un po’ per tenerci buoni quanto basta. E ci succhia la vita da dentro. Tempo per denaro. Questo é il nostro sistema. Prostituzione.

Ognuno ha le sue responsabilitá in tutto questo. Chi piú chi meno. Alcuni sono semplicemente nati in questo sistema, ed é difficile immaginarne un altro. Altri hanno lasciato che si arrivasse a questo. Nonostante tutto, se solo avessimo un minimo di curiositá per il mondo vero, quello fuori dalla finestra della societá umana, potremmo accorgerci di quanto poco senso abbia tutto questo. Potremmo imparare tanto, se solo lo volessimo.
Le uniche leggi che veramente esistono al mondo sono quelle naturali, che la fisica e la scienza in generale cerca di spiegare e decrivere. Tutto il resto, le cosidette leggi umane, sono solo convenzioni create da qualcuno prima di noi per poter vivere in societá. Come tali non sono né giuste né sbagliate in sé, ma andrebbero interpretate nel loro contesto. Ció che questo NON vuol dire peró, é che non siano suscettibili di miglioramento, di cambiamento, o perfino di abolizione. La stagnazione sociale arriva quando smettiamo di farci domande e prendiamo tutto per scontato. Diventiamo passivi. Senza spinta, senza voglia, senza fuoco dentro. Ci adeguiamo a vivere una vita normale, a seguire quel percorso che ci si stende ammiccante davanti ai piedi. Pronto ad essere calpestato, per l’ennesima volta.
Ci vuole coraggio per guardare da un’altra parte. Forse anche un po’ di testardaggine o di sana follia. In ogni caso é possibile. È possibile non prendere quella strada morta che ci consuma lentamente, giorno dopo giorno, la linfa vitale. Fino al momento in cui non ricordiamo nemmeno il perché l’abbiamo presa.

Il tempo é la cosa piú preziosa che abbiamo. Il denaro é una legge umana. Le nostre necessitá primarie sono una legge naturale. Sarebbe logico spendere il tempo per mettere in piedi un sistema che potesse soddisfarle. Il denaro non é assulutamente necessario qui, é semplicemente stato pensato come strumento per rendere le cose piú facili. Verrebbe da dire che la cosa ci é scappata un po’ di mano.
Ci vuole tanta forza e convinzione per prendere un’altra strada. Ma c’é tanta potenza in una scelta di questo tipo, quasi come quella contenuta in una gemma che si rinnova, anno dopo anno. Il rinnovarsi dei cicli naturali, un ritorno alle origini di quello che realmente ci serve. Una volta che siamo riusciti a mettere in piedi il nostro sistema, tramite cui ci assicuriamo l’abilitá di sostentarci e vivere dignitosamente, tutto il resto é un regalo. La vita riassume il suo significato vero. Torniamo proprietari del nostro tempo. Non dobbiamo piú cederlo a nessuno in cambio di niente. Possiamo farne ció che vogliamo. La vita torna quell’insieme di esperienze che é. Una vita per arricchirsi di conoscienze, di emozioni, di amore. Una vita che diventa sempre diversa, sempre emozionante. Una vita per meravigliarsi.

Provate a immaginarvi in tutta onestá cosa fareste senza andare a lavoro, o senza un’occupazione fissa, per – diciamo – un anno. Finita l’euforia iniziale, finito il periodo in cui ci si toglie qualche sfizio, si gira un po’ o magari ci si riposa... cosa? Arriva il vuoto. L’idea é talmente potente che fa paura. Senza routine, senza lavoro, avremmo talmente tanto tempo che non sapremmo come utilizzarlo. Noia, frustrazione, vuoto. Sono tutte conseguenze della perdita della nostra vera identitá di persone. Sono tutte malattie tipiche del paradigma in cui viviamo. Siamo meccanismi in un ingranaggio e non ricordiamo nemmeno perché ci siamo entrati. Abbiamo smesso di chiedercelo perché siamo piú preoccupati a guadagnare carta straccia per comprare cose che non ci servono. Siamo contenitori vuoti per gli ultimi vestiti alla moda. Senza emozioni, senza interesse, senza curiositá. Seguiamo ciecamente e senza questionarle le leggi che noi stessi abbiamo creato, mentre non riusciamo piú nemmeno a percepire la potenza della natura attorno a noi. Che ripete sé stessa. Non ne sentiamo la magia, la freschezza, la potenza fin dal piú piccolo dettaglio che ci offre il mondo davanti. Siamo schiavi, sta ad ognuno di noi capirlo e liberarsi dalle proprie catene.

Ognuno sia padrone di sé stesso, delle proprie aspirazioni, capacitá e sogni.

E del suo tempo.






giovedì 22 dicembre 2011

Pensa globalmente, agisci localmente


In quanto solo uno dei 7 miliardi di componenti delle quasi 9 milioni di specie censite sul pianeta, ognuno di noi deve necessariamente sentirsi una piccola parte di un qualcosa di piú grande, di molto piú grande.
Giá, ma comunque una parte di esso. E una parte importante.

Parlando di specie, credo sia difficile trovarne un’altra che abbia un impatto maggiore sul pianeta in cui viviamo della nostra. Dobbiamo quindi essere responsabili e coscienziosi delle nostri azioni. Avere cioé coscienza del fatto che abbiamo sulle spalle il futuro non solo mio, tuo, nostro, ma di qualcosa di meraviglioso e infinitamente piú complesso di quanto potremo mai capire o comprendere: l’intero pianeta Terra. Per quanto ne sappiamo, non esiste nient’altro di simile in tutto l’Universo. Eppure possiamo distruggerlo. Anzi, svariate prove ci dicono che purtroppo stiamo giá andando in questa direzione.
Dobbiamo pensare globalmente quindi. Significa renderci conto dell’impatto che abbiamo e coportarci di conseguenza. Non fare finta di niente né essere egoisti. Sentirsi responsabili delle proprie azioni e assumersi le proprie responsabilitá. Sia in senso spaziale, su quello che per quanto lontano ci sta attorno (per quanto lontano), sia in senso temporale. Ossia per il futuro del pianeta. Garantire a quelli che non ci sono ancora, ma che verranno, le stesse possibilitá che abbiamo avuto noi. Il concetto di sviluppo sostenibile nasce proprio qui, cosí come definito nel 1987 e sancito ufficialmente come principio internazionalmente condiviso sin dalla prima conferenza sul cambio climatico  a Rio nel 1992:

uno sviluppo che soddisfa i bisogni delle generazioni attuali 
senza compromettere la possibilitá delle generazioni future di fare altrettanto

Pensare globalmente implica necessariamente avere in mente una visione instesa sí come planetaria, ma anche come del tutto generale, olistica, che non trascuri nessun aspetto. Che cerca di considerare il complesso sistema di interazioni causa-effeto che caratterizzano il sistema in cui viviamo. Che cerca di prevedere, se necessario controllare, anche quel piccolo battito d’ali di farfalla che sembra insignificante. Cercare in definitiva di usare le doti migliori di cui natura ci ha dotato, la logica e la ragione, la creativitá e l’ingegno, per non farsi prendere alla sprovvista dagli effetti delle nostre azioni.

Ma perché é importante agire localmente? Perché ognuno di noi conosce meglio quello che ha attorno. Perché é da lí che bisogna cominciare. Dando l’esempio in prima persona. Lá dove l’azione e il suo effetto diventano immediatamente tangibili, il buon esempio diventa contagioso. Perché diventare i primi nodi di una rete che si espande attorno a noi. Col nostro buon esempio stimoliamo chi ci sta attorno, chi meglio ci conosce, a fare altrettanto. E quando questi faranno lo stesso una nuova rete si creerá attorno a loro, fino a che le piccole reti diventeranno talmente tante, o talmente grandi, da unirsi tra loro. L’impatto locale delle nostre azioni puó arrivare as avere cosí conseguenze globali.
Prima ancora che da chi ci sta intorno, occorre peró partire da ancora piú vicino: da dentro. Il mondo si cambia partendo da sé stessi. Per questo, ognuno di noi puó cambiare il mondo.

Agire localmente quindi, nel posto dove e nel momento in cui viviamo. Qui e ora. Dove é piú immediato vedere gli effetti di quello che facciamo. Positivi o negativi. Agire localmente per migliorare prima di tutto l’intorno in cui viviamo. Il nostro mondo. Per vivere meglio. E se abbiamo successo il Mondo, quello grosso, ci seguirá.

Avendo questo ben chiaro in mente, navigando su internet ultimamente mi capita di imbattermi ogni giorni in progetti, iniziative, comunitá, movimenti che condividono lo sforzo per arrivare ad una societá piú giusta, piú sostenibile. In cui é piú facile vivere. E piú bello, anche. In cui tanti dei problemi della nostra societá scompaiono, essendo prodotti collaterali di cause ben piú profonde che questi progetti cercano di risolvere alla base. Ognuno a modo suo, occupandosi di qualche aspetto specifico. Sono una grande fonte di ispirazione. Per quanto diversi, tutti guardano nella stessa direzione. E ti fanno sentire che non sei solo, che il pazzo, dopotutto, forse non sei tu.

Ne ho raggruppati alcuni nella barra qui a fianco. Voglio farlo per diffonderne la conoscenza a chi sia interessato, ma anche per dimostrare a tutti che esiste già una vera e propria rete di persone, o molte reti di persone, che cerca sul serio di cambiare le fondamenta della societá per arrivare ad un mondo migliore. Tutti affrontano il problema sotto una diversa prospettiva. Possono quindi risultare piú o meno interessanti a seconda dei propri interessi e aspirazioni.
I concetti sono quelli di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, lotta al cambio climatico, riduzione dell’impatto umano, ecologia, resilienza, importanza della cultura e dell’educazione, qualità contro qualità, grandiositá dell’ingegno e della creativitá umana, nuove possibilità offerte dallo sviluppo scientifico-tecnologico, recupero dell’appartenenza a una realtá locale e della saggezza secolare delle generazioni passate, giustizia ed equitá sociale, economia stazionaria basata sulle risorse e non sul denaro, lavoro socialmente utile.
Tutti individuano problemi e cercano di risolverli, proponendo un’alternativa percorribile. In alcuni casi avendo riscosso giá i primi frutti del proprio lavoro. Prego chiunque abbia altri esempi di questo tipo di indicarli qui in modo da poterli introdurre nella lista. Si tratta di una lista che ispira e da speranza. Che incita alla consapevolezza e all’azione. Una lista per il futuro.

A te che stai leggendo: se pensi che ci siano cose che non funzionanno in questo mondo non ti abbattere, non sei il solo. Ma non basta non abbattersi. Si possono avere diversi approcci al problema:

  1. Ignorarlo e continuare come se nulla fosse
  2. Catastrofismo: tutto è perduto
  3. Prendersi le proprie responsabilitá e iniziare a lavorare per migliorare le cose


Se senti di appartenere alla terza categoria questo blog é il posto per te. Ognuno di questi link é un posto per te. Prendi in pugno il tuo futuro e agisci. Localmente. Apporta il tuo contributo, in maniera positiva, fai quello che meglio ti si da, quello che puoi, quello che credi. Ma mentre lo fai, pensa globalmente. Abbi chiara la visione del problema nel suo insieme. Capisci quel’é la causa di fondo e trova un modo per attaccarla alle radici, ma ora e qui. Lá dove vivi e con quello che puoi fare. Ognuno alla sua maniera.
Abbi fiducia in quello che fai. Se lo farai bene e con convinzione altri ti seguiranno. E allora avrai un impatto visibile nel risolvere i problemi che ti preoccupano.



PENSA globalmente, AGISCI localmente.



Buon Natale.







venerdì 9 dicembre 2011

Il mito della crescita


È ora di iniziare ad andare a fondo sulle questioni che contano.

Parliamo di crescita. Parliamo del mito della crescita.

Prima di tutto vi consiglio di vedere questo video, se non l’avete ancora fatto.


Introduce molto bene cose che qui vorrei riprendere. Vorrei cercare di farlo nella maniera più logica e semplice possibile. Senza usare nessun concetto astruso con lo scopo di invogliare a prendere le cose per oro colato. Non serve, qui vorrei che ognuno riflettesse con la propria testa. Poi vedremo se quello che si dice avrà senso o no.

La premessa è che come specie umana viviamo su un pianeta che, per grande che sia, è pur sempre limitato. E limitate sono la stragrande maggioranza delle risorse che esso ci può offrire. Quelle che usiamo di più, le fondamenta del nostro sistema di vita. Altre, che paradossalmente usiamo molto meno, sono invece rinnovabili.
Il mantra delle risorse rinnovabili andrebbe visto in prospettiva. La rinnovabilità é, come moltissime altre cose, un concetto del tutto relativo. Non un attributo in sé. Va infatti definito in base al ritmo con cui quelle risorse si producono e si consumano. Se le consumiamo ad un ritmo piú lento di quello cui si producono, le risorse sono rinnovabili. Altrimenti no. Tutto qui. Se usassimo il petrolio solo per lavarci i denti, forse potremmo considerarlo una risorsa rinnovabile. Purtroppo, peró, dal petrolio dipendono non solo i combustibili per i trasporti, ma anche tutti i processi industriali, l’industria farmaceutica, l’industria petrolchimica (appunto), i pesticidi e l’industria delle materie plastiche. E state pur certi che me ne sto dimenticando qualcuna. In pratica tutto quello che ogni giorno vi passa tra le mani, o tutto quello che fate ogni giorno, dipende – in piú di un senso – dal petrolio.  Il vero perno dell’economia e della vita moderna. Petrolio che tarda milioni di anni in prodursi. A vederla così non sorprende più di tanto che la necessità di petrolio muova guerre e determini tutti gli scenari strategici geopolitici come su un tavolo di risiko.

Dunque viviamo su un pianeta limitato, di risorse limitate, che in ogni caso un giorno finiranno. Lasciamo ora perdere il fatto che, già prima che finiscano, il solo fatto che siano scarse, limitate, genera tensioni e soprusi da parte di chi vuole, o puó, accapparrarsele per sé. Per il proprio bene privato. Facciamo finta di niente. Chiediamoci qui solamente quale, in uno scenario di limitatezza come quello che viviamo (ma del quale non sembriamo affatto accorgerci) potrebbe essere una strategia sensata per gestire al meglio la situazione.

Una crescita sfrenata e a tutti i costi? Da un punto di vista di pura logica, direi proprio di no. Ma da dove nasce allora questa dipendenza, questo affanno da crescita?

La nostra pseudo-economia é completamente scollegata dal mondo fisico in cui, tuttavia, continuiamo a vivere. Non si rapporta in alcun modo alla quantità di risorse disponibili per le attività che facciamo, venendo meno al suo ruolo primario di economia stessa: la loro gestione strategica. Il tutto é stato soppiantato dal concetto di denaro, concetto artificiale e non naturale. Inventato dall’uomo. Una volta poteva aver senso come concetto, ma ci si è andati gradualmente dimenticando del perchè è stato introdotto...ed è successo che il mezzo è diventato il fine. Quello che ci viene continuamente dato in pasto per farcelo accettare, è la chimera del progresso. Il progresso? Un concetto nobile che è stato distorto, tant’é che non si sa nemmeno piú di cosa si parla. Il progresso rappresenta quel processo che porta al miglioramento della condizione umana. Il progresso così come si intende oggi equivale invece puramente alla necessità di aumentare la produzione di beni e servizi, alla quale si suppone sia collegato il miglioramento della qualità della vita. L’idea che ci vendono e che all’aumentare le possibilità di scelta aumenta la qualità della vita. All’aumentare la quantità di cose che possiedi o di servizi di cui puoi usufruire, migliorerà la qualità della tua vita. Falso. Pensate solo a cosa significa avere troppe scelte nel quotidiano. Pensate quanto tempo sprecato per fare scelte futili su questioni completamente irrilevanti. Quanto tempo sottratto a questioni che importanti lo sono davvero. L’eccessiva possibilità di scelta ci porta in realtà alla paralisi: possiamo tutto ma facciamo niente. E pensate alla mole di oggetti che quotidianamente, e soprattutto in questi giorni di tranche pre-natalizia, siamo spinti a comprare. Tante volte, troppe, si tratta di cose che non ci servono, che nemmeno vogliamo. Pazzia consumistica. In ogni caso, ad ogni acquisto inutile o no, contribuiamo al deperimento delle risorse, allo spreco di energia, all’inquinamento, all’aumento dei rifiuti e, collateralmente, molto probabilmente allo sfruttamento immorale del lavoro di qualcuno e al peggioramento della sua qualità di vita. E all’arricchimento indebito di qualcun’altro. Ooops.

Ma perchè l’economia deve crescere? Qual é il vero bisogno? Chi l’ha deciso, da dove nasce quest’idea? È un prodotto dell’attuale sistema monetario. Un prodotto di qualcosa deciso dall’uomo. In questo sistema entità private producono denaro prestandolo con un interesse agli stati e, quindi, creando debito. Un debito che non puó esser ripagato perché non esistono in circolo i soldi per pagare gli interessi, a meno che le stesse entità private ne producano ancora. E con esso, va da sé, ulteriori interessi da pagare. Non é molto diversa da una forma di usura.

Tu produci 10 e me li presti chiedendomi 11. “Dove te lo vado a prendere quell’1 extra,scusa?” “Non ti preoccupare, te lo presto io per 1.1.” “Ok, a questo punto ti devo 12.1 ma ne ho solo 11...”

È cosí che gli stati si indebitano e, con loro, noi tutti. Ogni banconota in circolazione rappresenta una percentuale di debito. Se non é tuo, sará di qualcun’altro. I cittadini, da parte loro, si indebitano con le banche. Per poter ripagare il proprio debito i cittadini, cosí come gli stati, devono produrre ricchezza. Far fruttare quei 10 in qualche modo per poter ripagare quei dieci piú gli interessi e, magari, conservare anche qualcosa per sé. Da qui la necessitá di avere un economia in costante crescita. Da qui la necessitá di avere una societá che consumi. Di avere l’economia in movimento. Se tu compri e spendi, qualcuno guadagna. Finché tutto gira va bene, piú o meno. Quando qualcosa si ferma il sistema va in tilt. Come in questi giorni che siamo chiamati a vivere.
Il lato B di questo sistema é che tende a concentrare la ricchezza. Alla fine della giostra, questo continuo scambio di debito accumula la ricchezza nelle mani di pochissimi. Quelli che il soldi li stampano, o i loro amici stretti. Quella stessa ricchezza originalmente intrinseca nelle risorse naturali, quindi di proprietà di tutti e nessuno, distribuita piú o meno equamente su tutto il pianeta. La scoria di questo sistema invece, il debito, che per ragioni intrinseche al sistema stesso che lo genera puó solamente continuare ad aumentare, si diffonde come un cancro verso i livelli piú bassi della società. Da qui i milioni di bambini che muoiono di fame. Non é che non hanno da mangiare, é semplicemente che non gli lasciano niente. E non possono mangiare debito. A volte riusciamo a nasconderlo provvisoriamente sotto il tappeto, facendo finta che non ci sia solo perché l'abbiamo affibbiato a qualcun'altro. Altre volte, infatti, succede che il giochino non basti più e ci esploda di colpo tutto in faccia. E allora anche noi uomini della strada ci rendiamo conto che, in realtà, avevamo un problema, ma non ci avevamo mai pensato sul serio. In questo senso occorre rendersi conto di come davvero non sia un problema nazionale, o locale, ma globale. 

Il problema sembrerebbe quindi risiedere nello stesso sistema che diamo per scontato. Ci siamo cosí abituati che non vediamo nemmeno piú il problema. Non riusciamo nemmeno ad immaginare come si potrebbe vivere senza soldi. E senza interessi. In realtà una cosa così piccola come gli interessi riesce ad avere effetti cosí globali. Un vero e proprio cataclisma.

Abbiamo iniziato a correre per un motivo. Continuiamo per abitudine. Come dei criceti ammaestrati. Sotto lo sguardo compiaciuto e invisibile di chi si diverte a nostre spese. Senza preoccuparci di dove andiamo. Finchè, forse, sarà troppo tardi.

Il contrasto lampante tra oltraggiosa ricchezza ed estrema povertà, con l’ingiustizia planetaria che ne deriva, non é peró l’unica controindicazione a questa sete di crescita e di consumo. Un’altra, ben piú grave forse, è il modo in cui questo sistema consuma le risorse finite della Terra. Producendo masse di rifiuti e inquinamento per avere in cambio niente. O meglio, per avere più debito e cose futili che realmente non ci servono. Consumiamo continuamente risorse finite, senza renderci veramente conto della loro preziosità. Senza chiederci il perché, o se ne valga davvero la pena. Come entrati in un circolo vizioso, in cui sono le nostre stesse balle ad assuefarci. Non ci rendiamo conto che tutto questo non é sostenibile. Sostenibile non é una bella parola priva di significato in bocca a qualche ambientalista hippy. Significa semplicemente che non ce lo possiamo permettere, se vogliamo continuare a vivere. Se non vogliamo estinguerci come specie. Transcinando nel baratro assieme a noi, peraltro, migliaia di altre specie innocenti. Continuiamo a consumare risorse senza criterio. Ancora prima che si esauriscano, la loro scarsezza in aumento determina una sempre maggior aggressivitá e violenza da parte dei potenti per poterne usufruire: aumentano le guerre. Morte e soprusi. Inguistizie planetarie.

In poche parole, ci é stata assegnata una possibilitá e la stiamo letteralmente sprecando. Le leggi naturali non si possono cambiare. Quando non ci sará piú acqua da bere, non ce ne sará piú. Quello che si possono cambiare sono le leggi dell’uomo. Quelle fatte da lui. Come questa pazzia generalizzata della crescita economica a tutti i costi.

Qual’é la soluzione?

La soluzione è prima di tutto, capire cosa sta succedendo. Essere consapevoli di quello che abbiamo davanti.  Di cosa ci aspetta. Che il problema vero non è lo spread. Non é la recessione.

Poi, proporre ed elaborare una alternativa. Anche se non se ne sente parlare, modelli alternativi esitono e sono quotidianamente discussi e migliorati. In alcuni casi idee piuttosto vecchiotte, elaborate in tempi non sospetti da gente abbastanza onesta da riuscire a (pre)vedere la realtá delle cose. Da riuscire a (pre)vedere l’insostenibilità di questo sistema.
Un’alternativa non puó prescindere dal fare a meno del mito della crescita. Nel sistema in cui viviamo, deve rispettarsi quello che viene definito equilibrio dinamico, volto al raggiungimento di un economia stazionaria. Un sistema che si adatta a quello che ha, in ogni momento, in modo da mantenere un equilibrio tra produzione e consumo. Tra l’uso delle risorse e il loro rimpiazzo. Un sistema in grado di mantenere dimensioni accettabili da poter continuare a vivere su questo pianeta. In mutuo rispetto. Potremmo definirla un Economia Basata sulle Risorse (Resource Based Economy), piuttosto che sul denaro.

Torniamo alle leggi naturali. Torniamo alle cose vere, a quelle che importano.

Torniamo a vivere in armonia col nostro pianeta. Non possiamo vivere senza di esso, non dimentichiamocene. 






mercoledì 2 novembre 2011

Imagine


Partiamo dalla matematica. In matematica ci sono delle cose che si chiamano assiomi. Sono certe cose che non puoi spiegare, che puoi solo assumere come vere. Non si tratta di fede, attenzione, il concetto é ben diverso. Fede si ha nei confronti di qualcosa che riteniamo vero, qualcosa che pensiamo – crediamo – esista davvero. Non si ha fede negli assiomi. Gli assiomi sono uno strumento creato dall’ingegno umano, e non esistono da nessuna parte. Si tratta semplicemente di fondamenta che necessariamente dobbiamo assumere per potervi costruire sopra tutto il resto. Tutta la cattedrale della matematica. Tutto il resto si può poi dimostrare, attraverso l’uso di elementi logici più semplici e intuitivi. Gli assiomi no. Si arriva a un punto in cui la nostra mente non va più oltre; probabilmente é dovuto all’estrema astrazione raggiunta, che si scontra con quello che le nostre percezioni possono offrirci. Si arriva ad un punto in cui bisogna fermarsi e dire “ok, questo é così e basta”.

Credo sia importante sottolineare che tutti quelli che si occupano di queste cose sono bene al corrente che si tratta di una specie di contratto. La matematica é un linguaggio creato dall’uomo, un sistema vero e proprio, con lo scopo di descrivere (forse a volte perfino di spiegare) quello che ci succede attorno in maniera univoca e precisa. Perché possa funzionare comunque, dobbiamo pur partire da qualche parte. Ed ecco il contratto. Si parte dagli assiomi, e da lì sviluppiamo il nostro sistema. Ma abbiamo perfettamente presente, ad  ogni momento, che le regole del gioco le abbiamo stabilite noi, più o meno a ragion veduta e tutto sommato arbitrariamente. Sappiamo cioè che non é l’unico sistema possibile, nonché che probabilmente non é il migliore. È la base stessa della scienza, il metodo scientifico. Dimostrami che sbaglio e sarò felice di cambiare idea.

Per quel che ne so, la nostra geometria, che potemmo definire come la maniera in cui interpretiamo lo spazio e le forme, si basa su 5 assiomi fondamentali, detti postulati di Euclide. Si tratta di tutte cose di senso comune, osservabili ogni giorno. Il quinto dice:

“per un punto passa una e una sola parallela a una retta data”

Pensateci. Bella scoperta, si sa che é così. È logico, talmente tanto da renderlo scontato, quasi banale. Eh no. È una banalità perché ci siamo letteralmente nati e cresciuti dentro. È il modo in cui interpretiamo lo spazio. Non riusciamo proprio ad immaginare un mondo al di fuori di questa semplice regola, eppure esiste. Esistono diverse geometrie dette non euclidee in cui questo postulato non é valido. Si tratta allo stesso modo di sistemi creati dall’uomo, forse meno immediata comprensione, ma comunque ugualmente validi e con mille applicazioni pratiche. È completamente al di fuori dal mio scopo dilungarmi di più su questioni geometriche, ma mi serviva per spiegare nella maniera più scientifica possibile una cosa di cui spesso ci dimentichiamo:

Abbiamo bisogno di convenzioni. Tutta la nostra società si basa su convenzioni create dall’uomo stesso. Se ci fermiamo a pensare un momento le possiamo vedere dappertutto. Nella scienza, nel linguaggio, nella società. Sono ovunque. Sono compromessi necessari ad assicurare il buon funzionamento di comunità composte da più individui. Servono ad esempio a favorire l’evoluzione della nostra conoscenza; o la sopravvivenza; o il benessere.
Cosa c’é di interessante in tutto ciò? Beh, la cosa curiosa é che c’é una marea di convenzioni che non vediamo. Sono quelle in cui siamo nati e con cui ci hanno educati, in cui siamo cresciuti. Sono quelle che ci accompagnano da sempre. La particolarità che le accomuna é che le diamo per scontate. La conseguenza é che abbiamo smesso (o forse non abbiamo mai nemmeno incominciato) di domandarci

esiste una alternativa?

Esiste una alternativa? E se si, conviene prenderla in considerazione?
Credo sia importante considerare che ogni convenzione ha il suo perché. O per lo meno ogni convenzione lo ha avuto, almeno in un certo momento storico. Qualche altro esempio:

Normalmente non viene in mente a nessuno di andare in giro nudo per strada. Per la verità in più di un’occasione mi è capitato di vedere qualcuno farlo (e nel farlo di goderne abbastanza), ma in genere la gente quando esce di casa si veste. Ok, dato di fatto. Partiamo da qui, chiediamoci il perché. Una risposta che si può trovare é che sin dai tempi del paleolitico, o qualcosa del genere, i nostri antenati hanno dovuto coprirsi per sopravvivere meglio alle avverse condizioni atmosferiche. Col passare del tempo la cosa si è diffusa talmente tanto che è diventato un fattore sociale, ossia un fattore comunemente accettato che sta alla base di una società. È scontato, tanto che ormai il nudismo é spesso condannato o persino vietato. È curioso come le immagini che ci arrivano di societá in cui la gente vive più o meno svestita siano relative a tribù indigene in Africa o in Amazzonia. Non propriamente climi in cui ci si debba proteggere dal freddo.

Un ultimo esempio, forse più controverso. Chi ha detto che sia da condannare chi non vuole lavorare? Potremmo dire che il lavoro sta alla base della nostra societá. È il mezzo in cui ci procuriamo la possibilità di garantire il nostro sostentamento. È una specie di contratto sociale. Se non lavori non hai soldi, se non hai soldi non puoi mangiare, non avrai un posto per vivere, finirai per non far parte della societá in quanto tale. Non solo, ma non contribuisci al benessere generale della comunità. Si tratta in realtà del fatto che se non lavori effettivamente inizierà una crisi alimentare per cui i supermercati si svuoteranno, oppure che non ci sarà necessariamente più spazio da nessuna parte per te, lasciandoti a vivere col culo al gelo? Non mi sembra...cibo continuerà ad esserci, case e spazio pure. Ma non lavorare non significa nemmeno non fare niente della propria vita. Uno può perfettamente avere mille interessi, capacità e passioni per rendersi utile agli altri e a sé stesso anche non lavorando. 
In ogni caso sarà difficile che possa sopravvivere in questa società. Nessuno in realtà mette mai in dubbio questo ragionamento. Chi non lavora è considerato un parassita, declassato a inferiore, messo ai margini. Pensiamo ai rom. Non lavorano, non hanno una casa fissa, non mandano i bambini a scuola e riconoscono prevalentemente la trasmissione orale del sapere, più che quella scritta. Parassiti. A me, comunque, la musica rom mi fa impazzire.

Ve la siete mai fatti quella domanda? Vale davvero la pena lavorare?
Farsi una domanda del genere significa ribaltare completamente la scala dei valori che ci hanno insegnato, con cui siamo cresciuti. Uno dei tanti valori che diamo per scontati. Chiaramente la risposta, adesso come adesso, è SI: vale la pena lavorare, altrimenti si finisce male. Ma davvero, credo che valga la pena farsela quella domanda.

Probabilmente molti dei futuri post saranno dedicati a domande di questo tipo. Domande scomode. Domande affatto scontate, che a ben pochi vengono in mente. E a chi vengono in mente, si accantonano in fretta come idealiste, stupide, o perfino sovversive e pericolose per la società. Farsi quelle domande è però relativamente semplice. La parte complicata è poi dare una risposta, ovvero chiedersi: quale può essere l’alternativa? E se c’è, varrebbe la pena provarci?
Beh, voglio anche provare a darla qualche risposta a queste domande, anche solo fosse uno spunto di riflessione. È davvero importante non fermarsi ad accettare le cose per come sono, ma capirne il perché. Continuare ad indagare sempre, non fermarsi mai pensando di aver trovato LA soluzione, ma solo una soluzione. Tutto é migliorabile, se me lo sai dimostrare. È il metodo scientifico.

Immaginati un mondo senza lavoro forzoso, senza fame, senza povertà, senza guerre, senza politica, senza finanza, senza crisi, senza truffe, senza criminali. Immaginati un mondo in cui ognuno fa quello che meglio gli riesce, quello che vuole, senza esserne costretto, per il bene degli altri: volontariato diffuso.


You may say I am a dreamer.



Vedremo.