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domenica 12 febbraio 2012

La fabbrica del tempo


Quanta potenza esiste un una gemma che riporta la vita dopo il gelo dell’inverno? Piú o meno di quella che si nasconde dietro un intero esercito?

Siamo costantemente testimoni della potenza della natura, del suo inesorabile corso e della sua saggezza. Noi stessi siamo il frutto di milioni di anni di evoluzione.  La storia della Terra é costellata di fallimenti, strade alternative intraprese e, finalmente, il successo. Milioni di anni di lavoro e i suoi risultati davanti noi. Sarebbe saggio prenderla ad esempio. Sarebbe saggio trarre vantaggio da tanta esperienza. Sarebbe saggio non riniziare da capo perché di tempo per sbagliare, mi pare di capire, non ne abbiamo abbastanza.

Giá, il tempo. Il tempo é un qualcosa di strano. È una dimensione cosí come le tre che normalmente percepiamo dentro lo spazio. Ma contrariamente ad esse va solo in una direzione, in avanti. Il tempo é la risorsa piú preziosa che abbiamo. Perché é limitata, ma soprattutto perché non possiamo smettere di consumarla. In nessun modo.

Soffermiamoci un momento, ognuno per sé, a pensare come spendiamo il nostro tempo. Pensa a cosa hai fatto fino adesso nella tua vita. A come spendi le tue giornate. Pensa a cosa pensi di fare domani. Pensa anche che non potrai girarti e tornare indietro quando, e se, ti accorgerai di esserti sbagliato.
Chi insegue, non sa bene perché, idee piú o meno farneticanti che qualcuno gli ha messo in testa alzi la mano. Chi segue una qualche strada sterile e indolore che lo guarda ammiccante, cosí come guarda chiunque altro. Chi perfino ci crede. Chi diventa un docile agnellino delegando ogni controllo della sua vita, del suo tempo, a un meccanismo piú grande di lui la cui validitá nemmeno prova soppesare. Modelli che vanno semplicemente seguiti. Chi arriva a un certo punto e si ribella. Chi si accorge semplicemente di aver sbagliato prioritá finora. Chi ha il coraggio di prendere la propria vita e cambiare corso.

La maggior parte delle persone, nella nostra societá della felicitá per tutti, non ha idea di cosa farsene del tempo. Il tempo non é qualcosa da valorizzare, é semplicemente una moneta di scambio. Io ti do il mio tempo, la mia vita intera a gocce, e tu mi dai altro in cambio. In genere, diciamolo pure, voglio soldi. Ci consumiamo lentamente per avere qualche pezzo di carta tra le mani. Perché?
È davvero per poter vivere in pace, senza bisogni e felici? Io credo di no. Probabilmente non avremmo bisogno di impiegare tanto tempo per poter davvero riuscire a soddisfare tutti i nostri veri bisogni.  Avremmo in realtá un sacco di tempo in piú per fare mille altre cose. Eppure abbiamo scelto di essere schiavi di questo sistema. Anche se, o forse proprio perché, non ne capiamo le regole. Non ne abbiamo il controllo in alcun modo.

Abbiamo perso il controllo delle nostre vite. Ci consumiamo in posti dove non vorremmo stare, facendo cose che non ci piacciono e insieme a facce che non vorremmo vedere. Messo un piede dentro al cerchio, siamo costretti a lavorare per poter vivere. Non lavoriamo perché vogliamo, ma perché dobbiamo. Ed é l’unico modo che conosciamo per poter tirare avanti. Ci manca l’inventiva per immaginare un altro mondo. Ci manca persino la memoria per ricordare come erano le cose prima che tutto si riducesse a questo. Ci manca perfino l’interesse. Siamo inebetiti dalle promesse di benessere e felicitá, che inevitabilmente rimangono promesse. L’unica cosa che cambia é che ci resta sempre meno tempo per realizzarle. Siamo nelle mani di chi regge le fila del teatrino della nostra vita, ci fa ballare e sballare un po’ per tenerci buoni quanto basta. E ci succhia la vita da dentro. Tempo per denaro. Questo é il nostro sistema. Prostituzione.

Ognuno ha le sue responsabilitá in tutto questo. Chi piú chi meno. Alcuni sono semplicemente nati in questo sistema, ed é difficile immaginarne un altro. Altri hanno lasciato che si arrivasse a questo. Nonostante tutto, se solo avessimo un minimo di curiositá per il mondo vero, quello fuori dalla finestra della societá umana, potremmo accorgerci di quanto poco senso abbia tutto questo. Potremmo imparare tanto, se solo lo volessimo.
Le uniche leggi che veramente esistono al mondo sono quelle naturali, che la fisica e la scienza in generale cerca di spiegare e decrivere. Tutto il resto, le cosidette leggi umane, sono solo convenzioni create da qualcuno prima di noi per poter vivere in societá. Come tali non sono né giuste né sbagliate in sé, ma andrebbero interpretate nel loro contesto. Ció che questo NON vuol dire peró, é che non siano suscettibili di miglioramento, di cambiamento, o perfino di abolizione. La stagnazione sociale arriva quando smettiamo di farci domande e prendiamo tutto per scontato. Diventiamo passivi. Senza spinta, senza voglia, senza fuoco dentro. Ci adeguiamo a vivere una vita normale, a seguire quel percorso che ci si stende ammiccante davanti ai piedi. Pronto ad essere calpestato, per l’ennesima volta.
Ci vuole coraggio per guardare da un’altra parte. Forse anche un po’ di testardaggine o di sana follia. In ogni caso é possibile. È possibile non prendere quella strada morta che ci consuma lentamente, giorno dopo giorno, la linfa vitale. Fino al momento in cui non ricordiamo nemmeno il perché l’abbiamo presa.

Il tempo é la cosa piú preziosa che abbiamo. Il denaro é una legge umana. Le nostre necessitá primarie sono una legge naturale. Sarebbe logico spendere il tempo per mettere in piedi un sistema che potesse soddisfarle. Il denaro non é assulutamente necessario qui, é semplicemente stato pensato come strumento per rendere le cose piú facili. Verrebbe da dire che la cosa ci é scappata un po’ di mano.
Ci vuole tanta forza e convinzione per prendere un’altra strada. Ma c’é tanta potenza in una scelta di questo tipo, quasi come quella contenuta in una gemma che si rinnova, anno dopo anno. Il rinnovarsi dei cicli naturali, un ritorno alle origini di quello che realmente ci serve. Una volta che siamo riusciti a mettere in piedi il nostro sistema, tramite cui ci assicuriamo l’abilitá di sostentarci e vivere dignitosamente, tutto il resto é un regalo. La vita riassume il suo significato vero. Torniamo proprietari del nostro tempo. Non dobbiamo piú cederlo a nessuno in cambio di niente. Possiamo farne ció che vogliamo. La vita torna quell’insieme di esperienze che é. Una vita per arricchirsi di conoscienze, di emozioni, di amore. Una vita che diventa sempre diversa, sempre emozionante. Una vita per meravigliarsi.

Provate a immaginarvi in tutta onestá cosa fareste senza andare a lavoro, o senza un’occupazione fissa, per – diciamo – un anno. Finita l’euforia iniziale, finito il periodo in cui ci si toglie qualche sfizio, si gira un po’ o magari ci si riposa... cosa? Arriva il vuoto. L’idea é talmente potente che fa paura. Senza routine, senza lavoro, avremmo talmente tanto tempo che non sapremmo come utilizzarlo. Noia, frustrazione, vuoto. Sono tutte conseguenze della perdita della nostra vera identitá di persone. Sono tutte malattie tipiche del paradigma in cui viviamo. Siamo meccanismi in un ingranaggio e non ricordiamo nemmeno perché ci siamo entrati. Abbiamo smesso di chiedercelo perché siamo piú preoccupati a guadagnare carta straccia per comprare cose che non ci servono. Siamo contenitori vuoti per gli ultimi vestiti alla moda. Senza emozioni, senza interesse, senza curiositá. Seguiamo ciecamente e senza questionarle le leggi che noi stessi abbiamo creato, mentre non riusciamo piú nemmeno a percepire la potenza della natura attorno a noi. Che ripete sé stessa. Non ne sentiamo la magia, la freschezza, la potenza fin dal piú piccolo dettaglio che ci offre il mondo davanti. Siamo schiavi, sta ad ognuno di noi capirlo e liberarsi dalle proprie catene.

Ognuno sia padrone di sé stesso, delle proprie aspirazioni, capacitá e sogni.

E del suo tempo.






sabato 17 dicembre 2011

Il senso del lavoro, oggi


Oggi partiamo dalla fine. Il lavoro oggi come oggi altro non è che uno strumento di controllo di massa e di denigrazione della dignità umana.

L’essere uomini ci spinge ad avere delle necessitá. Necessità che per forza di cose dobbiamo soddisfare per poter vivere. Nutrirci in maniera soddisfacente, sia per il gusto che per le necessitá nutrizionali. Energia, per poterci riscaldare in inverno, rinfrescarci in estate, darci luce di notte e mille altre funzioni che oggigiorno ci permettono di vivere una vita dignitosa. Una casa, sede della nostra vita familiare e riparo dal freddo e dalle intemperie atmosferiche. Calore umano, quello che la famiglia, gli amici e le persone che ti vogliono bene riescono a darti. Cultura, il prodotto della nostra naturale inclinazione all’esplorare il mondo, a conoscerlo e a tramandare le nostre scoperte per il bene comune. Intrattenimento, per poterci rilassare, divertire e svagare. E lavoro, per sentirci realizzati in quello che facciamo e sentire di stare contribuendo al bene della comunità di cui facciamo parte.

Distorsione

Le dinamiche della societá moderna ci impongono invece di lavorare per poter soddisfare tutti i suddetti bisogni primari. Si tratta di un sistema, niente più, niente meno. Puó essere giusto o sbagliato. Molto probabilmente è stato giusto, ma ora è incredibilmente sbagliato. Obsoleto, è la parola giusta in questi casi.

Dunque l’ipotesi di fondo di questa nostra società è che ognuno deve lavorare per poter guadagnare dei soldi e in questo modo riuscire a soddisfare le proprie necessità. Sin dal formulare l’ipotesi passano del tutto inosservate alcune cose.

UNO. Il lavoro diventa obbligo. Diventando obbligo perde completamente il suo significato originale di realizzazione dell’uomo in quanto contributo alla comunità. Diventa infatti contributo a sé stessi, necessario per la propria sopravvivenza. Il lavoro è ormai per gli uomini quello che gli artigli sono per i leoni: strumento di selezione naturale.

DUE. Il lavoro è condizione necessaria, ma non sufficiente, per la soddisfazione delle necessità unversali dell’uomo. Se non lavori non potrai aspirare quella vita di essere umano che il XX secolo richiede. O se non lavori abbastanza. O abbastanza bene. O se non fai il lavoro adeguato. Forse potrai in parte, forse non potrai affatto.

TRE. Consideriamo legittimo tutto questo. Prendiamo per normale che ci sia gente che muore di fame solo perché non lavora. O che non può permettersi l’università. O che dorme per strada tra i cartoni. Non si tratta di inno alla pigrizia o all’indolenza. Si tratta di diritti umani. Si tratta, anche qui, di giustizia. È questione di chi non riesce vivere in questo sistema, non di chi non ci prova. Di vivere dignitosamente, che non è sopravvivere.

Ne deriva il fatto che siamo del tutto dipendenti dal lavoro. Il lavoro ha perso i suoi attributi positivi per diventare una condanna. Un incubo. Pochi eletti e privilegiati possono dire di fare qualcosa che li realizza nella loro vita. Per lo piú “si tira avanti” facendo qualsiasi cosa ci permetta di campare. Dimenticandosi del fatto che il progresso tecnologico e umano avuto sin qui ci impone di ripensare radicalmente il concetto di lavoro oggi.
Vi pare possibile che quando si conosce qualcuno per la prima volta, dopo il nome e prima del cognome, la prima domanda sia “cosa fai nella vita?” Come se ci fosse una risposta. Come se si potesse fare solo una cosa nella vita. Come se si potesse essere solo una persona nella vita. Il fatto é che non siamo più persone, ma organismi lavoranti. Siamo quello che lavoriamo. Ingranaggi della società.
Come già discusso la nostra società è condannata ad una insana crescita perpetua. Come ingranaggi di questa società siamo portati, siamo chiamati direi, ad essere protagonisti di questo scempio. A comprare compulsivamente e senza alcuna necessità. A dimenticare il vero significato del fatto che siamo al mondo. A non farci più domande, ma a vivere facile e consumare. Semplicemente. A spendere il nostro tempo su questo mondo nella maniera più indolore possibile. A vivere le nostre piccole vite cercando di non dare troppo nell’occhio. Patetico è il nuovo cool. Comprare comprare comprare.
Siamo schiavi del denaro che possediamo. È solo quello che ci permette di fare quello che vogliamo. Solo quello che ci permette di essere chi vogliamo. La conseguenza è evidente: siamo schiavi del nostro lavoro. Senza lavoro ci sentiamo non solo incapaci di fare qualsiasi cosa, ma inetti, perdiamo ogni senso.
La cosa forsa più grave è infatti che ci sentiamo legittimati a giustificare questo senso di inutilità, senza ribellarci all’idea che non sei il tuo lavoro, ma sei sempre e comunque una persona. Con delle aspirazioni, delle capacità, delle speranze e anche dei vizi. Con delle possibilità e delle responsabilità. Invece no, se non lavori sei un non-uomo. Smetti di essere ingranaggio e quindi tutto attorno a te ti spinge a non considerarti degno di questa società. Completamente inutile. Lo scopo della tua vita sarà quello di trovare un lavoro. Ben prima che per soddisfare i tuoi bisogni, per soperire a quel senso di vergogna. Ci si autoingranaggia. È forse lo strumento di controllo di massa meglio nascosto e meglio riuscito a disposizione del sistema per la sua perpetuazione.

Automazione

C’é un altro fatto interessante qui, attuale ora più che mai. La disoccupazione, le sue cause e le sue conseguenze. Sono abbastanza sicuro che nella top 10 delle parole più usate al mondo nel 2011, e in qualsiasi lingua, ci sia la parola crisi. Lo spauracchio della crisi – più che la manifesta follia umanicida di un sistema perverso, lo scempio ambientale che esso comporta, l’ingiustizia perpetrata ad ogni livello e senza battere ciglio – è la disoccupazione. Tanta gente sta perdendo il proprio lavoro, e questo è una vera tragedia. Non c’é ironia nel dirlo, non oso immaginarmi il dramma interiore. Forse tra poco sarò nella stessa situazione, spero di no ma non lo posso escludere a priori. È qualcosa che non si augura a nessuno.
Ciò nonostante, credo che sia necessario rimettere le cose al loro posto, nella gerarchia delle cose importanti.
Spesso si sottovaluta il fatto la disoccupazione sia dovuta non tanto alla crisi, quanto alla congiuntura di una sana economia (una volta tanto) e del progresso scientifico-tecnologico. L’automazione ha reso possibile cose impensabili fino a poco tempo fa. Le macchine fanno lavori umilianti per gli uomini, lavorano 24h al giorno senza lamentarsi e senza vacanze. Lavorano senza stancarsi e in maniera molto più precisa ed affidabile di qualsiasi essere umano. Si chiama efficienza, e va di pari passo con l’economia. Ignorare le possibilità che derivano da tutto questo sarebbe del tutto privo di senso. Eppure tante persone si trovano senza lavoro proprio a causa di ciò. E qui, attenzione, non parliamo di lavoratori immigranti costretti a lavori umilianti che gli autoctoni non vogliono piú fare; qui non parliamo di esportare la produzione per abbassare i costi di manodopera facendo finta di non vedere le pessime condizioni di lavoro e i diritti umani calpestati. Qui parliamo di vera evoluzione del lavoro. Qui parliamo di persone che non sono piu costrette a fare lavori stancanti, pericolosi o denigranti perché il progresso ha permesso che quegli stessi lavori venissero svolti più efficientemente, più economicamente da macchine costruite, programmate e controllate dall’uomo. Qui, signori, si assiste al trionfo dell’uomo. Trionfo che si tramuta, però, in tragedia. Tragedia della disoccupazione.
Si tratta di un processo che non solo non si deve, ma non si può fermare. Qualsiasi impresa, perseguendo la chimera della massimizzazione del profitto, non potrà mai rinunciare all’automatizzazione, che continuerà ad aumentare. Non è matrix; non è la Cina. È il semplice progresso. E viene a beneficio dell’uomo.

Ripensiamo il lavoro

Allora vale la pena ripensare, riformulare il concetto di lavoro in sè. Occorre dissociare il lavoro dalle necessità umane, quelle che ci consentono doverosamente, nel XX secolo, di vivere una vita dignitosa. Il lavoro deve tornare alla sua funzione originale: quella che gli conferiva il ruolo di realizzare l’uomo nello spirito e nel corpo. Quello di rendere degno l’uomo secondo le sue proprie aspirazioni, non di togliergli la dignità.
Il lavoro dev’essere, in altre parole, volontario. Non deve supponere alcuna ricompensa, perchè solo così può essere puro. Solo così ognuno può dedicarsi a ciò che più gli piace, a ciò che meglio gli riesce, al campo in cui può realmente contribuire apportando miglioramenti importanti. E per pura passione. La passione deve tornare ad essere quello che ci muove, non il bisogno.
Perchè ciò sia possibile, dobbiamo fare sì che tutte le necessità di tutte le persone della Terra vengano soddisfatte a prescindere. Indipendentemente da qualsiasi cosa vi venga in mente. A tutti secondo il loro bisogno. Non è un comunismo mascherato. La dicotomia tra capitalismo e comunismo non ha piú senso oggi. Le cose cambiano, il mondo cambia. Se dei concetti potevano aver senso decenni fa, la rapida evoluzione delle cose rende certe definizioni, e le relative contrapposizioni, semplicemente obsolete. La rivoluzione delle telecomunicazioni, della robotica, dell’automazione, le nanotecnologie, sono tutte cose sconosciute appena qualche decennio fa. Vale la pena provare a vedere se con lo stato attuale delle conoscenze tecnologiche sarebbe possibile soddisfare il bisogno di cibo, energia, casa e beni di prima necessitá per TUTTE le persone. E perchè no, anche i beni di seconda e terza necessità. Nel momento in cui questo sia possibile, DEVE essere fatto. DEVE anche essere fattibile.
Liberi dalla schiavitú del lavoro, ognuno sarebbe libero di contribuire al bene dell’umanità senza altra ricompensa che non sia il fatto stesso di star contribuendo al bene dell’umanità. Ognuno nel suo piccolo, ognuno con quello che gli riesce meglio, ognuno con la sua passione e i suoi mezzi.

Per chi se ne è accorto, le cose stanno già iniziando a funzionare così. Sempre di più. Guardate in informatica, guardate gli open source. Non essendo un esperto, ve ne cito solo alcuni: linux, wikipedia, i social network ect. Rivoluzioni vere e proprie. Tutti nascono dal tempo che persone, professioniste o no nei loro campi, dedicano  gratis  al progetto in cui credono. Senza altro beneficio che il fatto di vederlo realizzato. Tutto questo oggi, ora. Nella società che si regge sul denaro, il profitto e il lavoro per mangiare. Immaginate quello che sarebbe possibile. L’era della competizione non esiste più. Oggi è l’era della cooperazione.

Superiamo la visione standard delle cose. Torniamo a chiederci quale sia il senso della vita. Torniamo a farci domande senza risposta. Interroghiamoci sul perché camminiamo su questo mondo, non diamolo per scontato. Non viviamo alla leggera.