Oggi partiamo dalla fine. Il lavoro oggi come oggi altro non è che uno
strumento di controllo di massa e di denigrazione della dignità umana.
L’essere uomini ci spinge ad avere delle necessitá. Necessità che per
forza di cose dobbiamo soddisfare per poter vivere. Nutrirci in maniera
soddisfacente, sia per il gusto che per le necessitá nutrizionali. Energia, per
poterci riscaldare in inverno, rinfrescarci in estate, darci luce di notte e
mille altre funzioni che oggigiorno ci permettono di vivere una vita dignitosa.
Una casa, sede della nostra vita familiare e riparo dal freddo e dalle intemperie
atmosferiche. Calore umano, quello che la famiglia, gli amici e le persone che
ti vogliono bene riescono a darti. Cultura, il prodotto della nostra naturale
inclinazione all’esplorare il mondo, a conoscerlo e a tramandare le nostre
scoperte per il bene comune. Intrattenimento, per poterci rilassare, divertire
e svagare. E lavoro, per sentirci realizzati in quello che facciamo e sentire
di stare contribuendo al bene della comunità di cui facciamo parte.
Distorsione
Le dinamiche della societá moderna ci impongono invece di lavorare per
poter soddisfare tutti i suddetti bisogni primari. Si tratta di un sistema,
niente più, niente meno. Puó essere giusto o sbagliato. Molto probabilmente è
stato giusto, ma ora è incredibilmente sbagliato. Obsoleto, è la parola
giusta in questi casi.
Dunque l’ipotesi di fondo di questa nostra società è che ognuno deve
lavorare per poter guadagnare dei soldi e in questo modo riuscire a soddisfare
le proprie necessità. Sin dal formulare l’ipotesi passano del tutto inosservate
alcune cose.
UNO. Il lavoro diventa obbligo. Diventando obbligo
perde completamente il suo significato originale di realizzazione dell’uomo in
quanto contributo alla comunità. Diventa infatti contributo a sé stessi,
necessario per la propria sopravvivenza. Il lavoro è ormai per gli uomini
quello che gli artigli sono per i leoni: strumento di selezione naturale.
DUE. Il lavoro è condizione necessaria, ma non
sufficiente, per la soddisfazione delle necessità unversali dell’uomo. Se non
lavori non potrai aspirare quella vita di essere umano che il XX secolo
richiede. O se non lavori abbastanza. O abbastanza bene. O se non fai il lavoro
adeguato. Forse potrai in parte, forse non potrai affatto.
TRE. Consideriamo legittimo tutto questo. Prendiamo
per normale che ci sia gente che muore di fame solo perché non lavora. O che
non può permettersi l’università. O che dorme per strada tra i cartoni. Non si
tratta di inno alla pigrizia o all’indolenza. Si tratta di diritti umani. Si
tratta, anche qui, di giustizia. È questione di chi non riesce vivere in questo sistema, non di chi non ci prova. Di vivere dignitosamente, che non è sopravvivere.
Ne deriva il fatto che siamo del tutto dipendenti dal lavoro. Il lavoro
ha perso i suoi attributi positivi per diventare una condanna. Un incubo. Pochi
eletti e privilegiati possono dire di fare qualcosa che li realizza nella loro
vita. Per lo piú “si tira avanti”
facendo qualsiasi cosa ci permetta di campare. Dimenticandosi del fatto che il progresso
tecnologico e umano avuto sin qui ci impone di ripensare radicalmente il
concetto di lavoro oggi.
Vi pare possibile che quando si conosce qualcuno per la prima volta,
dopo il nome e prima del cognome, la prima domanda sia “cosa fai nella vita?”
Come se ci fosse una risposta. Come se si potesse fare solo una cosa nella vita. Come se si potesse
essere solo una persona nella vita.
Il fatto é che non siamo più persone, ma organismi lavoranti. Siamo quello che
lavoriamo. Ingranaggi della società.
Come già discusso la nostra società è condannata ad una insana crescita
perpetua. Come ingranaggi di questa società siamo portati, siamo chiamati direi,
ad essere protagonisti di questo scempio. A comprare compulsivamente e senza
alcuna necessità. A dimenticare il vero significato del fatto che siamo al
mondo. A non farci più domande, ma a vivere facile e consumare. Semplicemente.
A spendere il nostro tempo su questo mondo nella maniera più indolore
possibile. A vivere le nostre piccole vite cercando di non dare troppo nell’occhio.
Patetico è il nuovo cool. Comprare
comprare comprare.
Siamo schiavi del denaro che possediamo. È solo quello che ci permette
di fare
quello che vogliamo. Solo quello che ci permette di essere
chi vogliamo. La conseguenza è evidente: siamo schiavi del nostro lavoro. Senza lavoro ci sentiamo non solo
incapaci di fare qualsiasi cosa, ma inetti, perdiamo ogni senso.
La cosa forsa più grave è infatti che ci sentiamo legittimati a
giustificare questo senso di inutilità, senza ribellarci all’idea che non sei
il tuo lavoro, ma sei sempre e comunque una persona. Con delle aspirazioni,
delle capacità, delle speranze e anche dei vizi. Con delle possibilità e delle responsabilità.
Invece no, se non lavori sei un non-uomo. Smetti di essere ingranaggio e quindi
tutto attorno a te ti spinge a non considerarti degno di questa società.
Completamente inutile. Lo scopo della tua vita sarà quello di trovare un lavoro.
Ben prima che per soddisfare i tuoi bisogni, per soperire a quel senso di
vergogna. Ci si autoingranaggia. È forse lo strumento di controllo di massa
meglio nascosto e meglio riuscito a disposizione del sistema per la sua
perpetuazione.
Automazione
C’é un altro fatto interessante qui, attuale ora più che mai. La
disoccupazione, le sue cause e le sue conseguenze. Sono abbastanza sicuro che
nella top 10 delle parole più usate al mondo nel 2011, e in qualsiasi lingua,
ci sia la parola crisi. Lo
spauracchio della crisi – più che la manifesta follia umanicida di un sistema
perverso, lo scempio ambientale che esso comporta, l’ingiustizia perpetrata ad
ogni livello e senza battere ciglio – è la disoccupazione. Tanta gente sta
perdendo il proprio lavoro, e questo è una vera tragedia. Non c’é ironia nel
dirlo, non oso immaginarmi il dramma interiore. Forse tra poco sarò nella
stessa situazione, spero di no ma non lo posso escludere a priori. È qualcosa
che non si augura a nessuno.
Ciò nonostante, credo che sia necessario rimettere le cose al loro
posto, nella gerarchia delle cose importanti.
Spesso si sottovaluta il fatto la disoccupazione sia dovuta non tanto
alla crisi, quanto alla congiuntura di una sana economia (una volta tanto) e
del progresso scientifico-tecnologico. L’automazione ha reso possibile cose
impensabili fino a poco tempo fa. Le macchine fanno lavori umilianti per gli uomini,
lavorano 24h al giorno senza lamentarsi e senza vacanze. Lavorano senza
stancarsi e in maniera molto più precisa ed affidabile di qualsiasi essere
umano. Si chiama efficienza, e va di pari passo con l’economia. Ignorare le possibilità
che derivano da tutto questo sarebbe del tutto privo di senso. Eppure tante
persone si trovano senza lavoro proprio a causa di ciò. E qui, attenzione, non
parliamo di lavoratori immigranti costretti a lavori umilianti che gli autoctoni
non vogliono piú fare; qui non parliamo di esportare la produzione per abbassare
i costi di manodopera facendo finta di non vedere le pessime condizioni di lavoro
e i diritti umani calpestati. Qui parliamo di vera evoluzione del lavoro. Qui parliamo
di persone che non sono piu costrette a fare lavori stancanti, pericolosi o
denigranti perché il progresso ha permesso che quegli
stessi lavori venissero svolti più efficientemente, più economicamente da
macchine costruite, programmate e controllate dall’uomo. Qui, signori, si
assiste al trionfo dell’uomo. Trionfo che si tramuta, però, in tragedia.
Tragedia della disoccupazione.
Si tratta di un processo che non solo non si deve, ma non si può
fermare. Qualsiasi impresa, perseguendo la chimera della massimizzazione del
profitto, non potrà mai rinunciare all’automatizzazione, che continuerà ad
aumentare. Non è matrix; non è la Cina. È il semplice progresso. E viene a
beneficio dell’uomo.
Ripensiamo il lavoro
Allora vale la pena ripensare, riformulare il concetto di lavoro in sè.
Occorre dissociare il lavoro dalle necessità umane, quelle che ci consentono
doverosamente, nel XX secolo, di vivere una vita dignitosa. Il lavoro deve tornare
alla sua funzione originale: quella che gli conferiva il ruolo di realizzare l’uomo
nello spirito e nel corpo. Quello di rendere degno l’uomo secondo le sue
proprie aspirazioni, non di togliergli la dignità.
Il lavoro dev’essere, in altre parole, volontario. Non deve
supponere alcuna ricompensa, perchè solo così può essere puro. Solo così ognuno
può dedicarsi a ciò che più gli piace, a ciò che meglio gli riesce, al campo in
cui può realmente contribuire apportando miglioramenti importanti. E per pura
passione. La passione deve tornare ad essere quello che ci muove, non il bisogno.
Perchè ciò sia possibile, dobbiamo fare sì che tutte le necessità di
tutte le persone della Terra vengano soddisfatte a prescindere.
Indipendentemente da qualsiasi cosa vi venga in mente. A tutti secondo il loro
bisogno. Non è un comunismo mascherato. La dicotomia tra capitalismo e
comunismo non ha piú senso oggi. Le cose cambiano, il mondo cambia. Se dei
concetti potevano aver senso decenni fa, la rapida evoluzione delle cose rende
certe definizioni, e le relative contrapposizioni, semplicemente obsolete. La
rivoluzione delle telecomunicazioni, della robotica, dell’automazione, le
nanotecnologie, sono tutte cose sconosciute appena qualche decennio fa. Vale la
pena provare a vedere se con lo stato attuale delle conoscenze tecnologiche
sarebbe possibile soddisfare
il bisogno di cibo, energia, casa e beni di prima necessitá per TUTTE le
persone. E perchè no, anche i beni di seconda e terza necessità. Nel momento in
cui questo sia possibile, DEVE essere fatto. DEVE anche essere fattibile.
Liberi dalla schiavitú del lavoro, ognuno sarebbe libero di
contribuire al bene dell’umanità senza altra ricompensa che non sia il fatto
stesso di star contribuendo al bene dell’umanità. Ognuno nel suo piccolo,
ognuno con quello che gli riesce meglio, ognuno con la sua passione e i suoi
mezzi.
Per chi se ne è accorto, le cose stanno già iniziando a funzionare così.
Sempre di più. Guardate in informatica, guardate gli open source. Non essendo un esperto, ve ne cito solo alcuni: linux,
wikipedia, i social network ect. Rivoluzioni vere e proprie. Tutti nascono dal
tempo che persone, professioniste o no nei loro campi, dedicano gratis al progetto in cui credono. Senza altro
beneficio che il fatto di vederlo realizzato. Tutto questo oggi, ora. Nella
società che si regge sul denaro, il profitto e il lavoro per mangiare.
Immaginate quello che sarebbe possibile. L’era della competizione non esiste più.
Oggi è l’era della cooperazione.
Superiamo la visione standard delle cose. Torniamo a chiederci quale
sia il senso della vita. Torniamo a farci domande senza risposta.
Interroghiamoci sul perché camminiamo su questo mondo, non diamolo per scontato.
Non viviamo alla leggera.
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