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sabato 8 dicembre 2012

It’s evolution, baby!

A volte penso che siamo spacciati. Siamo come un’auto lanciata a folle velocitá contro un muro. In origine non lo sapevamo che stava lí, ma é da un po’ di tempo ormai che lo vediamo forte e chiaro. Evitarlo ormai non si puó, troppo tardi. Le cose sono due: o per lo meno rallentiamo e cerchiamo di ridurre i danni, oppure continuiamo a far finta di niente, ostriche e champagne fino al momento dello schianto.

Ultimamente peró, mi ha colpito pensare che forse dietro questa corsa ci sia ben piú di quel che sembra. Qualcosa che non si vede eppure muove da sempre i fili della storia, instancabile: l’evoluzione della specie.
Darwin diceva che sono i meglio adattati alle condizioni in cui vivono ad avere piú possibilitá di campare e, quindi, di conservare la specie. Bisogna fare un passo in piú qui. Dal punto di vista biologico infatti non é tanto la sopravvivenza dell’individuo ad essere importante, quando quella dei suoi geni. É proprio lí infatti che risiede la descrizione delle caratteristiche peculiari che gli hanno consentito di adattarsi al proprio ambiente cosí bene da poter sopravvivere. Ed é quindi tramandando i propri geni vantaggiosi che questo organismo fa un favore alla propria specie, visto che in futuro i discendenti meglio adattati saranno sempre in numero maggiore, fino a diventare la norma. É cosí, la specie é qualcosa di piú degli individui. Piú grande, piú importante. E quando si evolve, cioé in continuazione, la cosa non é affatto indolore per gli individui che la compongono.

Allora mi chiedo se non sia proprio questo il punto. Viviamo in un mondo che cambia velocemente come mai. É quindi sempre piú necessario sapersi adattare. Chi non riesce a farlo, rimane indietro. Chi ci riesce invece sará la base fondante per la specie del futuro. Quella da cui si ripartirá dopo lo schianto col muro.

É curioso spiegare come accade che qualcuno si riesca ad adattare meglio di altri. Tutto sta nel fatto che in natura, quella cosa a cui anche gli uomini appartengono, la diversitá non é un problema, ma una ricchezza. Se punti tutto sullo stesso numero in una roulette puoi vincere tanto. Ma hai anche tantissime possibilitá di non vincere proprio nulla. Per questo la natura decide di puntare su quanti piú numeri possibile. É per questo che nel processo attraverso cui i geni vengono tramandati cerca sempre di mischiarli il piú possibile. A volte poi accade anche qualche imprevisto, percui il codice non viene riprodotto come dovrebbe: sono le mutazioni genetiche. Intendiamoci, una mutazione genetica non é buona o cattiva in sé. É semplicemente quello che é: un qualcosa di inaspettato. Sebbene siamo portati a immaginarci deformazioni e cose aberranti quando pensiamo alle mutazioni genetiche (magari retaggio di quelle provocate dall’uomo coi suoi bei giocattoli nucleari), in realtá sono un valido strumento in piú nelle mani dell’evoluzione. Perché puó accadere che siano associate a caratteri sfavorevoli, e in quel caso non vengono tramandate visto che l’individuo muore o comunque avrá maggiori difficoltá di riprodursi, ma puó anche succedere che siano favorevoli. E in quel caso rappresentano un bel vantaggio competitivo, non c’é che dire. Un colpo di fortuna. Non stiamo parlando degli x-men chiaramente, ma con le dovute proporzioni il discorso é in realtá abbastanza simile.

La stessa cosa puó succedere con i comportamenti: alcuni favoriscono la sopravvivenza della specie, mentre altri no. Chiaramente qui la cosa é, almeno in teoria, piú semplice visto che non ci sono mutazioni genetiche random di mezzo. Se si vede che un certo  gioco funziona, sarebbe normale iniziare a giocare secondo le sue regole. La realtá non é poi cosí semplice, almeno non per tutti. Probabilmente anche in questo ci sono individui piú predisposti di altri a cambiare, a esplorare, a curiosare e a provare cose diverse. Ma non c’é dubbio che, visto in termini evolutivi, l’eclettismo é la tendenza ad auto-aiutarsi.

Ma che siano caratteri o comportamenti, viene da pensare che il loro valore evolutivo probabilmente diventa evidente solo nel momento in cui serve davvero. Fino ad allora rimane qualcosa che non si capisce, senza valore. Finché non ti rendi conto che in effetti campare senza é dura. Ma ormai é troppo tardi.
C’é da aspettarsi che inizialmente si veda perfino con sospetto, essendo fuori dagli standard. Qualcosa di strano, di stravagante, di anormale. E tutti sappiamo quanto ci piaccia essere considerati normali, ricadere dentro il rassicurante sacco della media.
Pensateci: immaginatevi la prima comunitá di pesci che si sono spinti a vivere fuori dall’acqua. Muoversi non doveva essere la cosa piú semplice: sicuramente dovevano dimenarsi di continuo, scodare a scatti per saltellare di lato. Eppure pensate al primo che ha messo su le zampe... l’avranno guardato stortissimo! Denigrato e sbeffeggiato: “ma guarda te sto fricchettone che si mette in testa! Mica lui scoda come tutti, no! Ma dove vuole andare, con quelle cosacce che gli spuntano dalle pinne! É bruttissimo! Ti diró che poi, secondo me, é pure cattivo!” Eppure presto sarebbe stata l’evoluzione stessa a zittire tutte le malelingue. Ma daltronde é cosí, il diverso fa paura. Percui si osteggia, di deride, si perseguita al di lá di quello che la razionalitá suggerisce. Eppure se cercate di vedere il futuro, é proprio lá che dovreste guardare.

Mi chiedo allora se non siamo di fronte allo stesso processo, senza accorgercene. Si sta sviluppando in una parte sempre maggiore della popolazione mondiale una certa coscienza ambientale. Qualcosa che va al di lá delle patine verdi di facciata, qualcosa di profondo e vero. Un autentico senso di appartenenza, di rispetto e di ammirazione per la natura. I fricchettoni degli anni ‘60 (come venivano affettuosamente chiamati dai loro denigratori) hanno dato il via a questo processo. Beh, a giudicare dalla diffusione sempre maggiore, verrebbe da dire che l’evoluzione sta dalla loro parte. E se é cosí, di certo non é per partito preso. É perché quel modo di vivere e di rapportarsi col mondo, quella coscienza profonda probabilmente é in grado di assicurare una miglior capacitá di sopravvivere nel mondo di oggi. Il fatto che siano stati a lungo derisi, mentre ora – di fronte all’evidenza – vengono in qualche caso osteggiati, in altri strumentalizzati, non fa che accrescere la mia convinzione.

Mi piace allora pensare che sia cosí. E che in futuro questa coscienza si diffonderá ancora di piú fino a diventare comune a tutta la specie. Proprio perché vantaggiosa. Ma non mi faccio illusioni sul come. Il fatto che dobbiamo capire infatti, e al quale probabilmente ci dobbiamo preparare, é che il processo non sará affatto indolore. Per fare un esempio, non mi aspetto che possa essere una diffusione uniforme come quella che avviene da una bustina di té nell’acqua calda, in cui il té si propaga dalla fonte fino ad estendersi a tutto il sistema. Ammesso che potesse funzionare come strategia, non ne abbiamo tempo. Piuttosto sará una diffusione dovuta alla riduzione delle dimensioni del sistema, fino ad includere la fonte e poco piú. Come quando metti un cucchiaino di miele in un secchio pieno di acqua. Che differenza vuoi che faccia? Ma se fai un buco appena sopra il fondo dove si é depositato il miele, l’acqua esce tutta fino ad arrivare appena sotto il buco. Percui é chiaro che in quel modo l’acqua rimasta sará piú dolce di prima. Ma solo perché ce ne sará molta, molta di meno. L’acqua che ci sará permesso tenere dentro al secchio sará tanto maggiore quando piú riusciremo a metterci d’accordo sul frenare quella macchina lanciata contro il muro prima dello schianto inevitabile. Limitare i danni.

Ma anche dopo le tragedie, le catastrofi, la distruzione cui siamo destinati, la specie continuerá il suo cammino. E sará una specie diversa, senza dubbio. Sará una specie meno miope e piú lungimirante. Una specie che saprá vivere in armonia con la natura perché ne avrá infine compreso l’importanza. Sará una specie che é stata in grado, con le buone o con le cattive, di cambiare rotta.

Per lo meno mi conforta allora pensare che, d’ora in poi, ogni volta che mi sentiró deriso o denigrato per manifestare la mia convinzione che quello che stiamo facendo come uomini é essenzialmente e profondamente sbagliato e controproducente, almeno sapró di avere Darwin dalla mia parte.



“Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto.”
Oscar Wilde.




domenica 10 giugno 2012

Elogio dell’incompletezza






“In qualsiasi cosa, l’uniformitá é indesiderabile.  
Lasciare qualcosa di incompleto lo rende interessante, 
da l’impressione che ci sia spazio per la crescita”

Yoshida Kenko in Tsurezuregusa (Saggi sull’ozio), 1322



La nostra ricerca quotidiana di ordinare il mondo secondo criteri di intellegibilitá é cosí forte da divenire  devastante per il mondo stesso che cerchiamo di comprendere. O di domaniare, sarebbe forse il caso di dire. La conoscienza spesso si distorce nel fluire dal mondo reale alle nostre menti, dandoci l’illusione del controllo su cose che in veritá non controlleremo mai. Perché non le riusciremo a comprendere mai fino in fondo. Tanto vale accettarlo e comportarci di conseguenza. Lasciamo da parte la presunzione e l’orgoglio, la ricerca della perfezione e la quadratura del cerchio. Abituiamoci all’incompletezza, stato costante nella sua transitoreitá verso sé stesso.




Percepiamo il mondo attraverso i nostri sensi. Da essi riceviamo le informazioni secondo le quali ci relazioniamo con esso e con le quali cerchiamo di comprendere quello che abbiamo davanti. Questo é il nostro primo livello di conoscienza, non  molto diverso da quello di tutti gli altri animali. Il secondo livello é la nostra capacitá di astrazione. Il potere della nostra mente. Entra qui in gioco la nostra capacitá di creare modelli per interpretare quello che i nostri sensi ci hanno detto finora, per prevedere risposte a domande che ancora non ci siamo fatti. È davvero magica la nostra capacitá di astrazione. Si pensi solo all’intero universo matematico creato nei secoli con le sue leggi e il suo linguaggio, che ci permette di arrivare a contemplare cose che non avremo mai la possibilitá di percepire con i nostri sensi. Senza poi parlare della filosofia e della costante tensione nei secoli dell’essere umano verso ció che trascende i suoi sensi. Conosciamo e ragioniamo di cose che non avremo mai la capacitá di vedere o sentire, ma cui riusciamo a dare una applicazione piú o meno pratica nella vita di tutti i giorni.

Questa nostra capacitá di astrazione é come una finestra su un altra dimensione, una dimensione che non ci é dato percepire ma che pure é lí davanti a noi. O attorno a noi, sarebbe meglio dire. Ed é senza limiti. Continuando sullo stesso percorso di astrazione, non dovremmo sorprenderci se, al pari di cose che non percepiamo e che pur possiamo immaginare e considerare al pari di oggetti concreti, ne esistessero altre che non solo non percepiamo, ma nemmeno immaginiamo. Non dovremmo meravigliarci se dopo piú di migliaia di anni di storia evolutiva, la nostra conoscienza delle leggi che governano il mondo é ancora del tutto parziale. Lo rimarrá sempre. Incompleta.

Ci sono quelli che credono che esista una veritá, e la nostra conoscienza é semplicemente un tentativo di avvicinarci ad essa, di raggiungerla. Altri non credono che di veritá ne esista una, ma infinite, come infinite sono le modalitá di intepretarla e rapportarsi con essa. In ognuno dei due casi, mi pare di poter concludere che si tratta di qualcosa cui possiamo solo – eternamente – tendere, senza per questo poterla mai raggiungere. Siamo limitati, facciamocene una ragione. I nostri sensi sono limitati, le nostre menti sono limitate. Le nostre vite sono limitate. Abbiamo ampliato i nostri sensi con strumenti straordinari, le nostre menti si sono sviluppate in modi incredibili, raggiungendo perfino quello che si potrebbe definire come una mente collettiva, che tramanda le proprie conoscienze ben oltre i limiti delle vite individuali. Ma non é ancora abbastanza. Né lo sará mai.
La nostra visione del mondo, la nostra conoscienza, sará sempre incompleta e parziale. E cosí dobbiamo accettarlo. Ció non significa fermare il progresso, tutto il contrario. Ció significa peró che per quanto lo si porti avanti, non sará mai abbastanza da darci la sicurezza di aver capito il mondo. Né tantomeno di poterlo controllare o piegare a nostro piacimento. Occorre quindi guardare alla realtá attorno a noi con altri occhi rispetto a come facciamo ora. Non dare mai nulla per scontato perché, per quanto universalmente accettato possa essere, potrebbe risultare un giorno completamente fallace. O, ancora peggio, potrebbe semplicemente esserlo senza mai rivelarsi tale.

Alla luce di ció vale sempre piú la pena domandarsi se la nostra societá sia davvero un anello definitivo, o quantomeno stabille, nella catena dello sviluppo umano. Nonostante sia ora universalmente accettata come tale. Oppure se in realtá non stiamo credendo troppo alle favole che noi stessi ci raccontiamo. Vale la pena chiedersi se dovremmo, invece che credere a noi stessi, aprire bene gli occhi e cercare altri modelli solidi di sviluppo, plasmati dalla natura nel corso di milioni di anni. Il tempo che noi non abbiamo mai avuto, né avremo mai.
Dice Bill Mollison che tutto quello che c’é da imparare nella vita é davanti ai nostri occhi quando camminiamo in un bosco. Direi che noi, invece, abbiamo preso una strada radicalmente diversa per organizzare le nostre vite. Limitando il verde presente nelle nostre vite a sporadiche creazioni artificiali e sotterrandoci in un mare di cemento. Condivisibile o no come stile di vita, resta il fatto che lo abbiamo creato noi, basandoci su considerazioni estemporanee se comparate con i tempi della natura. Eppure non ci passa nemmeno per la testa rivederle in qualche modo. Dietro questa convinzione ferrea c’é ben piú che l’umana arroganza, c’é l’infida credenza di possedere qualcosa che in realtá non riusciremo mai ad avere se non forse solo in una minuscola parte: conoscienza.
La nostra conoscienza é necessariamente caratterizzata dalla validitá parziale che deriva dalla limitatezza dei nostri sensi e della nostra mente. Faremmo meglio a capirlo, ad accettarlo e comportarci come tale. La ricerca della perfezione é una menzogna. Non lo é la ricerca della conoscienza, ma questa deve essere onesta e rendersi conto che, in qualsiasi momento, potrá solo essere parziale. Scordiamoci quindi la perfezione o, il suo riflesso, la completezza. L’incompleto deve essere il nostro stato mentale, quell’incompleto che ci stimola alla crescita senza fine, senza preconcetti e senza aspettative frustrate.




Sentiamoci a nostro agio nell’incompletezza, é la nostra condizione naturale di esseri umani. Non accontentiamoci davanti all’illusione di un qualcosa che non possiamo raggiungere. Riconosciamo la nostra vera natura e viviamo di conseguenza. Smettiamo di correre dietro alle chimere ed apriamo bene gli occhi invece, davanti alla vera unica maestra che abbiamo sempre avuto attorno a noi. Ascoltiamo l’eco dei boschi. È quanto di piú sensato possiamo fare. Forse.





“La mente umana é alla disperata ricerca di modelli, per questo siamo ossessionati dalla simmetria. Un modello implica un significato. Peró a volte le cose accadono per puro accidente e non seguono nessun modello.”

Marcus du Sautoy, Simmetria.







mercoledì 4 aprile 2012

Ordine e l'illusione del controllo


DOMANDE

Mi sono sempre chiesto perché sará poi tanto importante conservare la biodiversitá. Certo, vedere il ritmo crescente con cui le specie si estinguono dopo milioni di anni di faticosa evoluzione é un gran dispiacere.  Specie se pensiamo che forse abbiamo piú di qualche responsabilitá a riguardo. Ma, diciamo, da un punto di vista prettamente ego(istico)centrico cosa ce ne importa a noi esseri umani se decine di specie che nemmeno conosciamo spariscono ogni giorno per sempre dalla faccia della Terra? Questioni etiche a parte, s’intende... da un punto di vista prettamente utilitaristico, perché la biodiversitá é cosí importante?

Una domanda di questo tipo si porta necessariamente dietro un treno intero di altre domande. Domande non richieste, spesso nemmeno gradite, ma latenti nella mente di tutti.
Perché l’immigrazione non va combattuta, ma invece incoraggiata o – perlomeno – accettata?
E ancora, perché dovremmo andarci piano con le modificazioni genetiche?

Uno puó anche pensare non ci sia nessuna relazione tra di esse, ma non é cosí.
Una relazione esiste, forte e chiara. A pensarci bene si potrebbe forse riassumere in un’ultima domanda fondamentale: siamo davvero legittimati noi uomini ad assumere il controllo di tutto quello che ci circonda? O, dopotutto, dovremmo invece lasciare da parte questo innato senso di superioritá che ci pervade, farci una bella iniezione di umiltá ed imparare da chi sa come vanno davvero fatte le cose?
A questo punto, potrá sembrare che abbia perso la bussola, se non altro perché la domanda – l’ennesima – che qui sorge é, sostanzialmente, “E chi saprebbe per davvero come vanno fatte le cose?”

Ma non é ancora il momento delle risposte. Prima, vale la pena ragionarci sopra un po’.



ORDINE E CAOS

Tutte queste domande hanno nascosto in sé un qualcosa che spesso sottovalutiamo: la nostra innata paura per il caos. Caos, ossia la tendenza al disordine. Ci spaventa. La nostra indole infatti tende a cercare l’ordine. Lo desidera forse piú di ogni altra cosa. Forse perché piú semplice – per le nostre menti semplici – da interpretare. Fatto sta che in questo modo possiamo avere l’illusione di controllare ció che ci circonda. Spesso in realtá – ordine o no – non é cosí, ma in ogni caso ci rassicura.
Il grado di disordine che siamo disposti ad accettare cresce con la nostra conoscenza del sistema che ci circonda e con la nostra capacitá di processare in maniera adeguata l’informazione che ci arriva. Potremmo dire che in un certo senso la nostra intera vita é una lotta per ordinare il disordine naturale del Mondo attorno a noi. Lo facciamo continuamente, cercando relazioni tra fatti apparentemente scollegati tra loro, creando teorie, leggi o anche solo interpretazioni. La scienza deriva da lí. La religione, pure. L’uomo da sempre cerca spiegazioni a quello che vede, il che altro non significa se non organizzare le informazioni che riceve dall’esterno spesso in maniera confusa e disordinata – tanto dello spazio come nel tempo – in una qualche maniera che gli possa essere utile. L’uomo cerca di creare l’ordine dal caos.

È questa la nostra grande forza e allo stesso tempo la nostra grande debolezza. Il fatto é che la natura non gioca necessariamente secondo le stesse regole. La natura vuole il caos. Una cosa che mi ha sempre affascinato é il concetto di entropia, una grandezza usata in fisica per descrivere il grado di disordine di un sistema. Bene, esiste un postulato che dice che in un sistema isolato sottoposto a uno stimolo irreversibile l’entropia puó solo aumentare. Se consideriamo l’intero universo – che é tutto quello che conosciamo e pertanto il sistema piú grande concepibile – come un sistema isolato (visto che non esiste nient’altro con cui puó rapportarsi), ogni fenomeno che avviene dentro di esso porta necessariamente ad aumentarne l’entropia. Cioé il disordine. Nell’universo, sostanzialmente, il caos é in continuo aumento. Siamo fregati.

O forse non é poi nemmeno questo il punto. Forse ció che oggi non capiamo, ció che consideriamo come disordine, domani non lo sará piú. È quello che continua a succedere ogni volta che aumenta la nostra conoscenza dei fenomeni naturali. Ci sentiamo sempre piú a nostro agio sulla Terra perché abbiamo imparato a conoscerla sempre piú, percui ció che ieri era disordine oggi non lo é piú. Questo da un lato é incoraggiante per il futuro, dall’altro ci invita ad almeno due riflessioni.

La prima, e piú scontata, é che non necessariamente questo “sentirci a nostro agio” ha avuto sempre e solo conseguenze positive per il sistema in cui viviamo. La seconda é che esistono tante cose che ancora oggi non capiamo e ci spaventano, ma per la natura non é cosí. Ció che per noi é disordine per la natura non lo é. Ció che per noi é caos per la natura é logica e ordine.
Non avendolo del tutto chiaro, spesso tendiamo con le nostre azioni a voler semplificare e appiattire la natura, privandola della sua complessitá per poterla ordinare e quindi controllare meglio. Il fatto é che la natura di per sé si conosce abbastanza bene, molto meglio di quanto non la potremo mai conoscere noi, tanto da non aver bisogno di nessun altro tipo di ordine imposto. Funziona benissimo da sé, cosí com’é.

Per di piú – e tendiamo a dimenticarcene continuamente – tutto ció che ci circonda si é continuamente adattato e migliorato durante milioni e miliardi di anni di evoluzione. Sarebbe a dir poco presuntuoso per noi novellini – arrivati quaggiú da appena qualche migliaio di anni – pretendere di poter migliorare processi che hanno passato il filtro dell’evoluzione.



CIÓ CHE NATURA CHIEDE

Eccoci dunque ad una prima considerazione molto importante: la natura deve essere la nostra guida. La natura chiede di poter essere la nostra guida. Cerchiamo di non sforzarci troppo ad essere sordi. Dobbiamo imparare dai suoi errori perché non avremo il tempo di commetterli tutti da parte nostra. E imparare dai suoi errori significa prendere i risultati che abbiamo davanti come buoni. Significa ispirarci ad essi come a un modello. Significa imparare dalla natura.

Se l’uomo tende all’ordine, la natura tende al caos. O meglio, abbiamo capito che il suo grado di complessitá é talmente elevato da risultarci incomprensibile. Il nostro scopo non dovrebbe peró in nessun caso essere quello di cercare di semplificarla, di ridurne la complessitá uniformandola ai nostri infimi standard. Dovremmo invece cercare di comprenderne la ricchezza, rispettarla e imparare da essa. Dovremmo basare i sistemi umani sullo stesso principio: complessitá significa ricchezza.

Dovremmo mirare in alto invece che ignorare tutto ció che abbiamo al di sopra delle nostre teste.

Ecco perché la biodiversitá é importante.
Ecco perché l’immigrazione é importante.

Un sistema complesso ha 1000 modi in piú di rispondere agli stimoli che uno piatto e uniforme. Un sistema variegato e ricco in componenti ha molte piú possibilitá di trovare strade alternative ed evolversi positivamente. Un sistema ricco di diversitá, biologiche o etniche, ha molte piú possibilitá di migliorarsi che uno rigido e univocamente definito.

Ecco anche perché bisogna andarci molto cauti con le modificazioni genetiche. Perché essendo di origine umana é molto difficile che riescano a tenere in considerazione l’intero ventaglio di conseguenze che da esse derivano. Perché cercano di modificare per qualche ragione appena ció che l’evoluzione ha plasmato per mille ragioni diverse. Perché la conseguenza tende ad essere ancora una volta la stessa: appiattimento. Perdita di diversitá. Ordine semplice e impoverimento. Seppur con l’illusione del controllo.