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sabato 3 novembre 2012

Il mito della disoccupazione


In inglese esistono due parole per esprimere quello che noi chiamiamo, semplicemente, lavoro. Una é work, che esprime il concetto di lavoro in senso ampio come attivitá produttiva con cui l’uomo – attraverso il dispendio di energie fisiche e intellettuali – si procura beni e servizi. Per questo, la parola work é almeno vecchia quanto l’uomo. L’altra, molto piú recente, é job. Rispetto a work, job é prettamente il lavoro salariato. Cioé esprime il fatto che delle persone prestino il loro tempo, le loro energie e capacitá per svolgere mansioni non necessariamente volte a soddisfare le loro necessitá o aspirazioni, ma per le quali ricevono un compenso monetario.


LE ORIGINI DELLO SGOBBONISMO

Si pensa che il termine job abbia origine nel XVI secolo, lo stesso periodo in cui nascono gli stati moderni e il sistema monetario cosí come oggi lo conosciamo, quello delle banche centrali. Le banche centrali sono, giá allora, enti controllati da privati che assolvono la funzione essenzialmente pubblica di creazione e controllo della moneta dello stato.

A proposito della moneta, ci sono un paio di cose interessanti da notare. La prima é che il valore della moneta risiede nella fiducia che la circonda. Trattandosi di una convenzione attraverso cui regolare gli scambi di beni e servizi, non é tanto il valore in sé dell’oggetto che si usa come moneta a darle effettivamente valore, quanto la sicurezza che chiunque potrá poi cambiarlo in qualsiasi altra cosa. Ne deriva che moneta puó in realtá essere qualsiasi cosa, tanto che nel tempo si sono usate conchiglie, pelli e perfino il sale come moneta! É quindi l’alone di fiducia che la circonda a darle valore, ma come si crea? Beh, questa é la seconda cosa interessante...
É in realtá lo stato stesso a crearla ma in un modo che nessuno si aspetterebbe: con le tasse! É infatti creando ad arte la necessitá per i cittadini di pagare le tasse con la moneta emessa dallo stato che questo letteralmente li costringe a procurarsela, altrimenti non avrebbero necessariamente bisogno e potrebbero magari continuare a barattare o a usare il sale invece che le banconote. É quindi sapendo che chiunque potrá usare quella carta per pagare ció che lo stato richiede che tutti sanno, di colpo, che quella cosa ha valore per tutti e che si puó usare per scambiarsi tutto il resto.

Dunque la gente inizia a lavorare per avere monete piú che per altro. In questo modo il risultato del lavoro si uniforma, é sempre e comunque moneta. Moneta che in sé non é niente, ma che in potenza puó essere tutto. Il lavoro diventa in questo modo job, ed é forse lí che iniziano tanti problemi.
La moneta diventa infatti l’unitá di misura non solo del valore delle cose, ma della vita stessa e delle persone. Anche tu diventi misurabile in termini di monete: quelle che possiedi o quelle che sei in grado di guadagnare in un certo tempo. Non importa il come, non importa se sei un artista eccelso o semplicemente un subdolo truffatore. Sono i soldi a dare prestigio, non la qualitá delle persone. E i soldi, cosí come ogni altra forma di ricchezza, danno potere. E il potere, si sa, da sempre piú soldi.


DISTORSIONE DELLA REALTÁ E OMOGENEIZZATO MONETARIO

Eccoci dunque come d’incanto arrivati ad una situazione che conosciamo molto bene. Le scelte che compiamo nella nostra vita, cosí come – e forse piú – le scelte che NON compiamo poiché le diamo per scontate, dipendono sempre piú dai soldi che dalle vere capacitá e aspirazioni delle persone. Si tratta in definitiva di un aridimento estremo della nostra societá, in cui l’infinito ventaglio di possibili espressione della diversitá umana si riduce ad essere sempre e costantemente valutata usando lo stesso metro. Li sordi.
Succede quindi che quando conosciamo qualcuno gli chiediamo “cosa fai?”, avendo giá chiaro in mente – sia noi che lui/lei – che intendiamo il lavoro. E lavoro inteso come job. Semplifichiamo le persone e la loro estrema complessitá facendole passare per l’imbuto del lavoro, omogeneizzazione monetaria. Le capacitá, i talenti, gli hobbies o le inquietudini e aspirazioni delle persone passano sempre piú in secondo piano.

“Cosa fai?”
“Io vivo, e tu?”

Ma dietro questo impoverimento di relazioni, c’é ben altro. E qualcosa di forse molto piú concreto. C’é un sentimento di scarsezza cronica, di insufficienza costante e di preoccupazione per futuri bisogni insoddisfatti che ci obbligano costantemente a scendere a compromessi, tutto sempre in nome del dio denaro. Quanti possono dirsi cosí fortunati da lavorare in qualcosa che gli piace per davvero? La necessitá é peró quella di arrivare a fine mese, cioé di avere di che vivere. Percui é normale, sempre piú normale, fare buon viso a cattivo gioco. Verrebbe da dire che é quasi il contrario, ultimamente. Non é normale quando trovi qualcuno soddisfatto del proprio lavoro. Oggi queste persone appaiono sempre piú dei privilegiati.


SCARSEZZA O NON SCARSEZZA?

Ma quali sono le radici di questa scarsezza? E dopotutto, esiste per davvero!? C’é veramente bisogno di tagliare i servizi sociali e aumentare le tasse per poter fare qualsiasi altra cosa? Abbiamo visto che la ricchezza si misura in termini monetari, percui lo stesso vale per la scarsezza. A questo punto, se nel sistema monetario di oggi i soldi se li stampa lo stato, dov’é il problema? La questione é spinosa, c’é da tenere conto dell’inflazione, del tipo di attivitá fornite (produttive o speculative) e di molte altre cose, ma in generale si potrebbe concludere che questa scarsezza non ha ragione di esistere. O potrebbe perlomeno essere infinitamente minore.
A ben vedere uno potrebbe chiedersi: su che base misuriamo la scarsitá? Sulle vacanze in resort 5 stelle ai Caraibi? Sulla quantitá di depositi milionari? Oppure sul numero di Ferrari che girano per strada? Mi pare non ci siano dubbi nel dire che questo senso di scarsitá si riferisce alle cose che ci servono necessariamente per vivere. Il senso di scarsezza riguarda il poter soddisfare le proprie necessitá primarie. Percui eliminare la scarsitá nella fornitura di alimenti, acqua, energia, case e poche altre cose significherebbe giá ridurre sostanzialmente il problema. Tutti dovrebbero avere accesso a queste cose, per le quali non dovrebbe esistere scarsezza. Bene.

Ma soddisfare le necessitá primarie per tutti significa o uno stato iper-assistenzialista in cui nessuno si deve piú nemmeno preoccuparsi di lavorare, oppure significa garantire un lavoro a chiunque in modo che tutti possano avere una entrata minima. Nel secondo caso ognuno sente di dover contribuire in qualche modo al bene della collettivitá, ma nessuno gli impone piú il come. Significa quindi cambiare nuovamente il paradigma lavorativo, facendolo tornare ad essere work, non piú job. Se potesse esistere una situazione nella quale, indipendentemente da quello che fai, avresti di che vivere, perché mai dovresti fare qualcosa che non ti piace? L’unico caso che mi viene in mente é “non so cosa mi piace”. Bene, nel caso in cui qualcuno non abbia aspirazioni particolari ci sará sempre una marea di lavori socialmente utili (ossia utili alla collettivitá) da dover fare. Nel momento in cui l’hai capito, sei libero di fare quello che meglio credi, che piú ti realizza e ti fa stare bene. La magia in questo caso é che é fisiologico che il tuo lavoro sia anche qualcosa che fai con trasporto e passione, quindi bene. Con voglia di migliorarti costantemente non perché qualcuno te lo impone, ma perché sei tu a volerlo. Se cambiano le condizioni, sei libero di cambiare lavoro. Nel momento in cui si verifica questa condizione é anche il settore privato a beneficiarne, in quanto si vengono a creare imprese nuove, espressione delle aspirazioni di persone che seguono i propri sogni e i propri ideali. Non la necessitá di profitti e benefici economici. Lo stato é quindi tramite tra una disoccupazione che non ha ragione di esistere e il settore privato in crisi.

Ma facciamo un esempio per capirci meglio. Immaginiate, con grande sforzo e solo se ci riuscite, una situazione in cui la disoccupazione é alta e allo stesso tempo non ci sono abbastanza risorse per offrire servizi pubblici di qualitá (ad esempio: la salvaguardia del territorio dal dissesto idrogeologico, oppure la manutenzione delle infrastrutture, oppure ancora l’assistenza sanitaria). Ci siete riusciti? Complimenti, non era facile! Ok, pensate ora: qual é effettivamente il fattore limitante del processo, i soldi o la mancanza di risorse (pensiamo in particolare a quelle umane in questo caso)? Chiaramente sono i soldi. Pare che non ce ne siano mai abbastanza da poter pagare tutti quelli che dovrebbero fare quelle cose. Di lavoro da fare invece, chissá come mai, ce n'é sempre anche troppo! Ma allora se per un momento aggirassimo il sistema dei soldi, niente vieterebbe di prendere la massa dei disoccupati e metterli a lavorare in queste cose che servono eppure nessuno fa. In questo modo loro sentirebbero di avere una funzione, magari imparerebbero un mestiere, si qualificherebbero etc. E se in cambio gi dessimo anche (in un modo o in un altro) di che vivere, dove starebbe il problema? Nello stampare un altro po’ di carta straccia?

Nel momento in queste persone avranno soldi da spendere per comprarsi di che vivere, sará l’intera economia a beneficiarne, molto piú che con le tristemente famose cure a base di lacrime e sangue! E quindi significa che magari le imprese del settore privato torneranno ad un certo punto ad aver bisogno di lavoratori, piú che a doverne licenziare, e che li dovranno per forza di cose pagare meglio di quello che fa lo stato col lavoro garantito. Ci saranno quindi delle persone che transiteranno semplicemente attraverso il lavoro garantito, piuttosto che stare a casa a deprimersi su come le cose vanno male e non si vede la luce in fondo al tunnel, per poi tornare a lavorare nel settore privato. E se poi i salari aumentano troppo? semplice, allora – solo allora – li si tassa un po’ di piú per evitare l’inflazione.


IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Ne deriva che la piaga della discoccupazione, oggi, é figlia (anche) di un sistema basato totalmente sul lavoro salariato. Un sistema in cui non esistono piú, almeno in teoria, persone che vengono comprate per lavorare (gli schiavi), ma in cui comunque ogni giorno miliardi di persone vengono letteralmente affittate per farlo. Il fatto é che non hanno alternativa, se vogliono campare.
Da lí l’importanza del lavoro e della professione nella presentazione personale e il suo peso nella vita di ognuno di noi. Da lí la distorsione di valori sempre orientata verso l’ottenere ricchezza economica. Da lí un sistema basato sulla competizione perenne, giudicata necessaria per aggiudicarsi le scarse risorse disponibili a scapito degli altri. Da lí il giustificare, seppur magari inconsciamente, la povertá. Perché in un mondo di risorse scarse qualcuno sará necessariamente povero. Da lí la frenesia di dover accumulare ricchezza pur mantenendola improduttiva (speculazione) piuttosto che usare non piú di quel che ci serve, quando ci serve. Da lí un sacco di altre malattie della nostra societá.

Ma la disoccupazione dilagante, con tutte le piaghe sociali che ne derivano, é anche figlia di una scarsezza artificialmente creata e mantenuta dagli organismi che controllano le politiche monetarie. Scarsezza che, attraverso una reale oculata gestione delle risorse, di fatto non avrebbe ragione di esistere. Gestione basata sulla condivisione di beni e servizi e sulla cooperazione degli sforzi per il bene comune piú che sulla proprietá privata a tutti i costi e sulla competizione predatoria. E tutto questo perché, non dimentichiamocelo, la scarsezza si misura in termini di qualcosa – la moneta – che siamo liberi di creare e distruggere a piacimento. E che non ha nessun valore in sé e per sé.

“Non confidare nei soldi, non sono la realtà.” (Blow)








domenica 28 ottobre 2012

The dark side of the euro


A volte, a ben scavare, uno si accorge che nel mondo succedono cose strane.


Basta considerare per un momento la questione dell’euro. Sará possibile, mi dico io, che gente comune che si occupa di economia in maniera non piú che amatoriale – come il sottoscritto –  riesca a dipingersi in mente un quadro chiaro del perché non si puó andare avanti, mentre gli eruditissimi e rispettatissimi tecnocrati che ci governano ad ogni livello (non solo in Italia) non riescono davvero a vedere il lato oscuro dell’euro?

Uno deve per forza pensare che sia malafede. O forse é solo un'estrema chiusura mentale che sfocia nell'idiozia? Probabilmente entrambe, ma in fin dei conti nessuna delle due. Dopotutto non dimentichiamoci che balliamo costantemente sui carboni ardenti del caos, che ci piaccia o no. Ma andiamo per gradi. Analizziamo prima brevemente il problema.


IMPORTANZA DELLA SOVRANITÁ MONETARIA

L’euro é la conseguenza dell’unione monetaria di piú paesi, ognuno dei quali é rimasto esattamente quello che era prima, meno il fatto che ora usa la stessa moneta degli altri. Non é quindi un’unione economica, fiscale, politica, né tantomeno culturale. Dio ci scampi. Solo monetaria. Ma giá basta e avanza.

Il poter gestire la propria politica monetaria é quello che per uno Stato si chiama sovranitá monetaria, ed é una cosa FON-DA-MEN-TA-LE affinché uno Stato possa definirsi tale. Il compito di uno Stato infatti, non mi stancheró mai di dirlo, é quello di fornire ai propri cittadini i servizi essenziali a garantirne il benessere e i diritti fondamentali. Non il pareggio di bilancio, ma benessere e diritti. Lo Stato infatti non é una famiglia che deve arrivare a fine mese coi conti a posto. E questo perché le famiglie usano la moneta, lo Stato la crea. E quindi non ha senso pensare che possa non averne abbastanza. Anzi, dovendo adempiere a quelle funzioni che gli spettano ed essendo l’unico in grado di creare moneta al netto, é proprio a lui che spetta spenderla prima di tutti. Deve quindi necessariamente avere i conti in rosso a fine mese. Ammesso che la moneta sia la sua e la controlli lui, appunto.

Ora il discorso che va per la maggiore é che in ogni caso se ne stampasse troppa finirebbe per materializzare quel temutissimo spauracchio che é l’iper-inflazione modello Repubblica di Weimar o Zimbabwe, ossia rialzo spropositato dei prezzi e crollo del potere di acquisto. In realtá la questione é molto piú complessa e non c’é un semplice legame diretto di causa-effetto tra immissione di liquiditá in un sistema e inflazione. Bisogna infatti vedere di che sistema stiamo parlando e per che cosa si usa quella nuova moneta.
Infatti non é che uno Stato immetta liquiditá nell’economia sparandola per aria, magari con un cannone spara-banconote (le monete farebbero troppo male credo). In realtá lo Stato prima di tutto si auto-finanzia per mettere in moto attivitá produttive e fornire servizi, il che attiva l’economia creando occupazione e quindi benessere. Poi finanzia le banche, che rilasciano crediti controllando che le credenziali dei richiedenti siano soddisfacenti (almeno in teoria, come ci insegna la storia recente), il che mette in moto altre attivitá produttive e cosí via. Non é quindi che i soldi si fiondano direttamente nelle nostre tasche di spendaccioni, ma prima passano attraverso il filtro della spesa pubblica e dell’occupazione. Fino a che il denaro circola nell’economia reale infatti, quella delle persone che lo usano per vivere, che é il motivo per cui esistono i soldi dopotutto, ció non puó che far un gran bene a tutti: tutti hanno da lavorare, con gli indubbi vantaggi sociali che ne derivano, tutti hanno da mangiare e da spendere il giusto per vivere bene. Se poi il potere d’acquisto aumenta troppo lo Stato puó sempre regolarlo per tempo aumentando un po’ le tasse. Ma non é che in origine le tasse servano allo Stato perché lui i soldi non ce li ha, visto che se li puó stampare da solo! Notate che in questo schema non esiste la parola speculazione, ossia il guadagno per guadagnare. É importante ricordarsi sempre che la moneta é infatti uno strumento, non un fine. Il suo uso deve quindi essere vincolato ad attivitá produttive o a fini sociali.

Ma mettiamo pure che la cosa ci sfugga di mano. Si guadagna tutti troppo e va a finire che i soldi non valgono piú granché. Quanto ci vorrá? Qualche annetto almeno? E fino a che punto nel momento in cui ci si rende conto di questa cosa non la si riesce a fermare? Non vale la pena provare piuttosto che morire giá di fame adesso per giocare al gioco del rigore monetario a tutti i costi? Ci rendiamo allora conto del perché una politica monetaria volta esclusivamente al controllo dell’inflazione (come é dichiaratamente quella della BCE) non ha senso? La politica monetaria é uno strumento preziosissimo per lo Stato, attraverso cui perseguire una piena occupazione e il benessere sociale. Non per controllare l’inflazione punto.


ALTRIMENTI?

La gestione in autonomia della propria politica monetaria é quindi fondamentale per permettere ad uno Stato di finanziarsi direttamente, senza ricorrere ad alternative controproducenti. É infatti essenzialmente nel momento in cui noi non abbiamo piú la nostra sovranitá monetaria che ci rimangono solo due strade per finanziare la spesa pubblica:
  1.  tartassare di tasse cittadini e imprese: in questo caso le tasse sí che servono a finanziare lo Stato, perché questo non emette piú la sua moneta e quindi la deve racimolare laddove ne trova. Va da sé che i cittadini spenderanno meno perché dovranno tirare la cinghia e le imprese perderanno capacitá produttiva, percui l’economia é destinata a rallentare;
  2. oppure indebitarsi presso privati (mercati finanziari), cui dovremo pagare interessi sempre piú alti nel tempo aumentando costantemente il debito pubblico, che é un vero debito solo nel momento in cui si contrae con dei privati. Non lo sarebbe in assoluto infatti se fosse contratto con la propria banca centrale, che é parte dello Stato stesso, percui l’uso stesso della parola debito sarebbe fuorviante.

Se la cosa sfugge di mano, va a finire che si arriva perfino a tagliare la spesa pubblica. Ma va? Suona quasi familiare...


CONCLUSIONE

Ora, é chiaro che se per un profano come me basta informarsi un po’ per mettere in fila queste cose, i nostri professoroni le sanno perfettamente sin dall’inizio. E allora? Cosa dovremmo pensare di lorsignori? Malafede o idiozia?

Come sempre, probabilmente la veritá sta nel mezzo. Nel senso che qualcuno con tutto questo sistema ci ha fatto dei gran soldi. Ricordiamo che un sistema di questo tipo taglia i servizi ai cittadini e li dissangua di tasse, il tutto per pagare gli interessi su un debito che lo Stato ha contratto con dei privati. Tagliando i passi intermedi, significa quindi prendere la ricchezza diffusa alla base e concentrarla nelle mani di pochi privati al vertice della piramide sociale.
Ma non vogliamo essere complottisti piú di tanto. Va riconosciuto infatti che esistono in questo mondo dinamiche cosí complesse che, pur a volerlo fortemente, sfuggono al nostro controllo. Puó essere quindi che come sempre queste cose siano diventate evidenti solo ora, ma non lo fossero prima. Ognuno puó mantenere il proprio grado di scetticismo di fronte a queste affermazioni – e il sottoscritto lo manterrá in toto – eppure dopotutto é cosí. Magari l’obbiettivo era proprio quello che ci hanno venduto in origine, ossia incrementare i commerci e il turismo in Europa beneficiando di una moneta unica. Ora, io capisco che a volte i turisti possano essere un po’ rincoglioniti e si sbaglino a fare due conti, ma devo dire che i commercianti (almeno quelli che di soldi ne muovono sul serio) credevo che almeno la calcolatrice la sapessero usare. Mi sembra quindi una scusa incredibilmente semplicistica, ma magari era molto piú articolata e complessa in origine e questo é solo quello che é stato venduto a noi popolo.

Lasciamo allora stare il passato, che passato resta e la dietrologia non serve a nulla. Quello che mi interessa veramente é il futuro. La domanda ora quindi é: perché tutti continuano a negare che le cose vadano strutturalmente male perché sono marce le regole del gioco a cui stiamo giocando? E perché, al farglielo notare, tutti insistono che queste regole non si possano cambiare? E qui allora mi dispiace, ma il passato torna di stretta attualitá. Perché il discorso é esattamente lo stesso: cui prodest? A chi conviene? A noi non conviene di certo, mi sembra chiaro. Di lacrime e sangue ne stiamo versando giá anche troppe, e mi pare che a ben vedere siano perlopiú innecessarie. Quindi dovremo davvero continuare a giocare a questo massacro per molto ancora? Quei signori incravattati che ci dicono che é impossibile cambiare le cose, ci sono o ci fanno? Perché essendo una convenzione umana, con che faccia ci dicono che non si puó cambiare? E perché? Malafede o pura e semplice idiozia?








lunedì 22 ottobre 2012

Truffa?

PREMESSA NECESSARIA n. 1

Non tutti lo sanno, ma il denaro é stato inventato come mezzo di scambio tra merci. In principio si usavano piccole quantitá di materiali luccicanti e rari, per questo considerati preziosi, ma da un certo punto in poi ci si é voluto perfino evitare il fastidio di andarli a pescare lá dove fossero e si é iniziato a usare semplici pezzi di carta. Il valore di questi pezzi di carta, che chiamiamo banconote, risiede puramente sulla fiducia che le circonda. Ossia, siamo tutti d’accordo che le possiamo usare per scambiare qualsiasi tipo di merce, per questo ce le teniamo strette e le accettiamo. Purtroppo il legame é diventato cosí stretto che abbiamo iniziato a confondere il mezzo per il fine. In ogni caso il denaro, monete o banconote che siano, rimane solo un mezzo. Non racchiude nessun tipo di valore in sé. Il valore é rappresentato da quello per cui lo possiamo scambiare.


PREMESSA NECESSARIA n. 2

Lo Stato é quella unione di persone che decidono di condividere diritti e doveri. Piú o meno. Fatto sta é che certi servizi non ha senso che ognuno se li renda per sé, percui ci si organizza e li si fa una volta sola, e bene,  per tutti. Penso soprattutto a cose essenziali del tipo: acqua, energia, scuola, sanitá. Poi ci sono anche gli aiuti a chi ne ha bisogno perché sfortunato o semplicemente perché se lo merita (bambini, anziani, mamme in cinta etc.). É il famoso stato sociale, che provvede ai bisogni dei propri cittadini.


DOMANDA

Come puó lo Stato fornire ai suoi cittadini questi servizi? Semplice, visto che abbiamo detto che lo Stato é un “mettersi d’accordo” basterá mettersi d’accordo per farlo e sul come farlo. Il fatto che per farlo si debba passare attraverso la moneta é, ancora una volta, un mero accidente. Si potrebbe usare qualsiasi altro mezzo di scambio, la sostanza non cambierebbe affatto. Bisognerá scavare sottoterra per tirare fuori le risorse, bisognerá produrre energia in qualche modo, distribuire acqua, educare i ragazzi, creare ospedali e metterci dentro dei dottori capaci etc. Questo é il vero valore della questione, la moneta rimane un mezzo attraverso cui questo valore raggiunge gli utenti. Secondo questo tipo di convenzione, se lo Stato vuole fornire servizi dovrá quindi spendere moneta affinché non debbano farlo i cittadini. É la famigerata spesa pubblica.


ULTIMA PREMESSA

Mi pare giusto che le persone che vivono su di un territorio possano usufruire di ció che quel territorio ha da offrir loro. Ne deriva che uno Stato ha il diritto di usare le risorse presenti sul suo territorio, cosa piú o meno riconosciuta da tutti. E mi sembra logico pensare che possedendole ne puó disporre come meglio creda, percui é del tutto legittimo che le usi per fornire quei servizi che sono la ragione stessa della sua esistenza. In quel momento, qualora decida di fare un passo intermedio tra risorse e servizi passando per la moneta, ne deriva che lo Stato dovrebbe necessariamente essere padrone di quella moneta. Ossia, che ne possa stampare senza problemi tutta quella che gli serve per fare tutte quelle cose che fanno gli Stati.


IL DUBBIO GROSSO

Fin qui la logica teoria, per qualche motivo peró non é cosí. Per qualche motivo sarebbe dannoso che lo Stato stampi di per sé tutta la moneta che gli serve. Cioé, di risorse ne puó avere quante ne vuole, ma la moneta proprio no. Con quella proprio non funziona. Viene fuori che esiste questa cosa che si chiama debito pubblico, ossia il debito dello Stato, ossia il debito di tutti quelli che lo Stato compongono, che é quando il bilancio tra moneta emessa e moneta guadagnata é in negativo. Pura contabilitá. Quindi se il debito pubblico aumenta troppo non va bene, perché altrimenti poi chi lo ripaga? E piú si va avanti piú sará fatica restituirlo, quindi non é mica giusto nei confronti delle generazioni future, o no? Non bisogna mica essere egoisti e scaricare tutto il peso di noi spendaccioni sui poveri giovani...

E allora viene fuori che per ridurre o nei casi migliori addirittura eliminare questo debito pubblico - il famoso pareggio di bilancio - lo Stato deve limitare la spesa pubblica e anzi tassare i cittadini, ossia riprendersi parte di quei soldi che lui stesso ha stampato, oppure chiedere di comprare pezzetti di questo debito pubblico in giro, in cambio sempre di quei soldi che lui stesso ha stampato.

Ora uno si rende conto che qui c’é qualcosa che non torna non appena fa due semplici ragionamenti:
  1. Se lo Stato é padrone di stampare la propria moneta in quanto mezzo per usare le proprie risorse, perché mai si dovrebbe preoccupare di riaverne indietro dai cittadini o da chi per loro? Cioé, dire debito pubblico significa che lo Stato si sta indebitando con sé stesso, ma allora che problema c’é?
  2. Se proprio servono soldi per fornire quei servizi che rendono lo Stato uno Stato in cui vale la pena vivere, da dove dovrebbero venire fuori se non proprio dal debito pubblico, che altro non fa se non tramutarsi in servizi pubblici?

Qualcuno che ne ha viste tante diceva che a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Ebbene, il fatto che questo controllare il debito pubblico passi per una cosa cosí necessaria parrebbe proprio uno specchietto per le allodole.


LA DURA E CRUDA REALTÁ

Il fatto é che in realtá l’emissione di moneta oggi non é piú prerogativa esclusiva dello Stato, attraverso la propria banca centrale, anzi é perlopiú (fino al 95% della moneta circolante circa) di banche private che lo creano dal nulla attraverso il meccanismo della riserva frazionaria. Significa che ogni volta che concedono un prestito in realtá non toccano le proprie riserve di denaro, ma ne creano di nuovo semplicemente segnandolo come attivo sui prori libri contabili a fronte del passivo del cliente che contrae il prestito, di fatto aumentando con un gioco di prestigio il proprio capitale monetario. In questo modo concentrano la stragrande maggioranza della moneta circolante nel sistema nelle proprie casse, cosicché spesso lo Stato é costretto a indebitarsi con loro invece che con la banca centrale (che ha dei limiti nell’emissione di moneta fisica) in cambio dei propri Titoli di Stato. In questo caso il debito pubblico diventa quindi un debito vero, in quanto contratto con privati. Su di esso lo Stato dovrá perdipiú pagare un interesse, in cui oramai se ne va ogni anno la maggior parte della spesa pubblica. E addio benessere sociale.

In definitiva si tratta della cessione di fatto di una prerogativa dello Stato – la gestione monetaria – in mano a dei privati. Lo Stato quindi é sempre piú indebitato per compare la propria stessa moneta, che altro non é se non una convenzione per poter usare le risorse che gli appartengono di diritto. Va da sé che ció é completamente contrario al bene della collettivitá e in contrasto con lo stesso concetto di Stato, e a beneficio esclusivo delle banche. 
Pertanto il voler condannare il deficit e l’aumento di debito pubblico assimilandolo a una situazione di normale economia domestica che ognuno di noi si trova ad affrontare ogni mese equivale al distogliere l’attenzione da tutto questo. Quel che succede in realtá é che 

LO STATO PRENDE LE RISORSE CHE APPARTENGONO A TUTTI 
E LE SCAMBIA PER PEZZI DI CARTA SENZA VALORE 
CONTROLLATI DA POCHI PRIVATI, CHE NE VOGLIONO SEMPRE DI PIÚ. 
IL PROCESSO LIMITA QUINDI LA TRASFORMAZIONE 
DI RISORSE PUBBLICHE IN SERVIZI PUBBLICI, 
TRASFERENDOLE INVECE NELLE MANI DI POCHI PRIVATI 
ATTRAVERSO UN MERO STRATAGEMMA CONTABILE.

Vale la pena ricordare come ció avviene infatti senza essere vincolato da alcuna costrizione fisica, ma da pure convenzioni umane. Chi controlla la moneta quindi controlla quel collo di bottiglia attraverso cui passa lo scambio che attraverso di essa avviene, diventando proprietario di entrambi i lati dello scambio: delle risorse, di cui puó regolare la cui estrazione, e dei cittadini, a cui puó controllare l’erogazione di servizi. 

Lo Stato é quindi limitato e controllato per aver confuso un mezzo, la moneta, per il fine: trasformare risorse pubbliche in servizi pubblici. Bel trucco, non c’é che dire.


MA C’É DI PIÚ

Questa demonizzazione continua del debito pubblico gioca sul  voler mascherarlo con qualcosa di nobile e cui siamo naturalmente sensibili: la sostenibilitá. Il garantire un futuro vivibile attraverso qualche limitazione nel presente. L’effetto voluto é peró quello di riuscire a svincolare il concetto di spesa pubblica da quello di benessere sociale. La spesa pubblica é sbagliata, insostenibile. Il suo legame col benessere sociale é cosí presto dimenticato e mistificato.

Ma oltre al danno la beffa: in questo modo continua in realtá a mancare una vera sostenibilitá. E a maggior ragione, visto che l'unica preoccupazione in tempi di redistribuzione della ricchezza dal basso (lo Stato) verso l'alto (quei pochi che controllano la moneta), e in un'epoca in cui il denaro é il dio incontrastato (confusione tra mezzo e fine), l’unica sostenibilitá parrebbe essere quella di bilancio mentre tutto il resto viene sacrificato su questo altare fasullo. Un altare fasullo creato ad arte.
In questo modo non solo dimuisce la sostenibilitá ambientale della societá, si pensi alle esternalitá delle varie fase di produzione, esercizio e smaltimento, ma anche quella sociale. Per via della delocalizzazione della produzione in contesti a basso costo della mano d’opera ma in cui i diritti umani e del lavoro vengono continuamente calpestati; ma anche nel nostro stesso occidente civilizzato, in cui la demonizzazione del debito pubblico altro non fa che cancellare le conquiste sociali di decenni di lotte della societá civile.


RIASSUMENDO

La necessitá del pareggio di bilancio, di tagliare il debito pubblico, di ridurre la spesa pubblica... é una truffa che sfrutta il sentimento innato che non si possa vivere senza preoccuparsi del futuro. Ci siamo arrivati, ancora una volta, svincolandoci dalla fisica del pianeta (cui competerebbe dettare le regole di una vera sostenibilitá) per aggirarci esclusivamente sul piano delle leggi create dall'uomo. Leggi spesso volutamente complicate e astruse in modo da garantire la loro gestione ed il loro controllo esclusivo agli adepti della setta di turno. Si creano sacerdoti che governano il mondo secondo i precetti che essi solo conoscono e conservano gelosamente, e che tramandano solo agli eletti che un giorno prenderanno il loro posto. Il tutto a loro beneficio esclusivo.

Gli ignoranti seguiranno ciecamente, sacrificandosi per la loro religione senza fare domande.

Questo é il mondo in cui viviamo. Per questo serve tornare a ragionare.

Per conoscere, ma anche per sapere cosa serve conoscere.






sabato 3 dicembre 2011

Il prezzo da pagare


Oggi parliamo di buon senso, e di come lo abbiamo perso senza nemmeno rendercene conto.

A titolo di esempio, parliamo di energia. Dell’energia che vorrei, per tutti. L’energia che vorrei è pulita, non inquina e viene da fonti rinnovabili. Normalmente quelli che si sforzano di essere realisti a tutti i costi qui obbiettano: si, bell’idea...ma costa troppo, quella. La risposta a questa ben nota obiezione é in effetti abbastanza semplice, ma quanto mai rivoluzionaria.

L’energia rinnovabile non é fatta per costare di meno, 
ma per essere più giusta.

Non per risparmiare soldi quindi, ma perchè semplicemente é meglio per tutti. Per tutti. E per tutta una serie di motivi. Come spesso succede, parlando troppo di qualche cosa e partendo da posizioni fondamentalmente miopi o sbagliate, si finisce per abituarcisi e si perde il vero senso delle parole. Le parole, quelle, il loro senso non lo perdono mai. Siamo noi a perderlo. 
Credo sia arrivato il momento di mettere un po’ d’ordine nelle cose.

Prima di tutto, vorrei sottolineare che i soldi sono sono uno strumento creato dall’uomo come unità di misura del valore delle cose. Non sono il valore delle cose in sé, anche se ormai sembra lo siano diventato. Dobbiamo renderci conto che il prezzo é qualcosa ben diverso dal valore. Il prezzo é un etichetta che qualcuno attacca alle cose. Il valore é qualcosa di intrinseco alle cose stesse. In realtá mi sembra che il valore vero delle cose si sia distaccato nel tempo sempre di piú dal valore che noi gli assegnamo, in termini monetari. Dovremmo allora domandarci, quali sono i criteri per cui si assegna un prezzo alle cose? E subito dopo, siamo d’accordo o stiamo forse tralasciando qualcosa?

C’é un elefante nella stanza e nessuno ne parla.

La corsa al ribasso dei prezzi, che il nostro sistema basato sul profitto esige a tutti i costi, ci spinge ad essere volutamente ciechi e sordi. Ci sono cose che semplicemente e volutamente ignoriamo a tal punto che oramai non esistono nemmeno piú. Perché se il costo dell’energia é semplicemente il prezzo che paghiamo, allora stiamo ignorando alcune cosette. Del tipo

  •           Inquinamento e salute pubblica: qui non serve dire granché, tutti lo sanno e tutti sanno che lo stanno ignorando. Chiunque ne abbia l’interesse puó documentarsi fino al vomito su tutte le conseguenze ambientali che l’estrazione di combustibili fossili o lo smaltimento di rifiuti radioattivi ha sull’ambiente. E sulla salute di quelli che in quell’ambiente ci vivono. Cito solamente a titolo di esempio il piú recente ed eclatante, il versamento di greggio nel Golfo del Messico l’anno scorso, in seguito all’incidente sulla piattaforma Deepwater Horizon. A proposito, continuate a sentirne parlare? Sará tutto a posto ormai, dico io...tutto risolto.
  •           Sicurezza nell’approvigionamento: dobbiamo continuamente essere docili e accettare compromessi con chi non dovremmo solo perché hanno il coltello energetico dalla parte del manico. Se dalla Russia per qualche motivo si chiudono i rubinetti del gas in Europa ci si gela il culo di colpo. Per non parlare del Medio Oriente. Etica e morale non dovrebbero scendere a compromessi per garantire sicurezza e qualità di vita.
  •           Guerre: necessarie per accaparrarci le materie prime di cui abbiamo bisogno, visto che sono concentrate solo in certe regioni e ne siamo talmente dipendenti che come in una crisi di astinenza le vogliamo violentemente tutte per noi e a tutti i costi.
  •           Vivere in un perenne stato si scarsezza di risorse innalza i prezzi per il beneficio di quei pochi che le controllano, conferendogli di fatto un potere smisurato che per noi uomini della strada é davvero difficile immaginare e comprendere.


Un dato solo per farvi capire la fallacitá del prezzo dell’energia. Nel 2010 il governo americano ha sovvenzionato l’industria petrolifera col fine di abbassare i prezzi di vendita per qualcosa come 409 miliardi di dollari (fonte: IEA – International Energy Agency). In totale Bloomberg New Energy Finance stima che le sovvenzioni all’industria dei combustibili fossili siano state pari a 557 miliardi di dollari. Sapete quanto ha speso nello stesso anno per le rinnovabili, tutte le rinnovabili nel loro complesso, considerando gli enormi investimenti richiesti da questo settore ancora immaturo in confronto a quello petrolifero pienamente sviluppato? Considerando tutte le belle parole e le buone intenzioni costantemente sciorinate pubblicamente? 46 miliardi di dollari. 12 volte di meno.
Cosa succederebbe se questi investimenti si invertissero? Sarebbe davvero cosí diverso il prezzo da pagare? E perché non lo fanno? Sembrerebbe una strategia sensata a lungo termine, no? Chi glielo impedisce?
Sbilanciamoci ancora di piú. Consideriamo tutti quegli altri punti che non sono assolutamente compresi nel prezzo in denaro. Ambiente, salute pubblica, sicurezza, guerre. Guerre che sono un business enorme, “l’unico in cui i profitti si stimano in dollari e le perdite in vite umane” (Smedley Butler - Maggior Generale - Corpo della Marina degli Stati Uniti, 1935). Proprio un bell’affare, gran profitti.
Dobbiamo davvero continuare a ragionare solo ed esclusivamente in termini di soldi? Non vi pare che quest’attitudine ci stia rendendo ciechi e sordi alla realtá delle cose? Non vi pare che ci stiamo separando dal mondo reale, in cui pure tuttavia siamo e saremo costretti a vivere?

C´é un concetto molto interessante che viene, a volte, usato in ingegneria; si chiama Analisi del Ciclo di Vita o LCA – dall’inglese Life Cycle Assesment. É un concetto veramente rivoluzionario, a guardarlo bene, rispetto al modo in cui siamo abituati a ragionare. Si tratta di considerare l’utilità di ogni prodotto o processo, ossia qualsiasi cosa vi possa passare tra le mani o per la testa, in base ai relativi impatti che esso puó avere durante il suo intero ciclo di vita. Impatti positivi e negativi. Dalla culla alla tomba, come si dice. Alla fine tutti questi impatti si soppesano matematicamente per vedere se, dopotutto, conviene o no farlo. Un approccio che potremmo definire olistico. Forse andrebbe usato di piú.
Nel segno del piú rigoroso e imparziale metodo scientifico, quantifichiamo ogni possibile impatto positivo o negativo (sull’ambiente, la societá, la salute umana, l’economia) che la produzione, l’esercizio, la manutenzione e lo smaltimento di un qualsiasi prodotto o servizio provocheranno durante tutta la sua vita utile. Il prezzo monetario in questo senso é solo una delle tante componenti. Probabilmente non sempre la piú importante. Proviamo a fare questo esercizio mentale.

Pensiamo per un momento a tutte quelle cose prodotte in Cina che compriamo di continuo perché costano poco. Per arrivare a noi hanno dovuto viaggiare migliaia di km, usando combustibili fossili che, forse proprio perché sovvenzionati, costano poco. Tutti sappiamo peró che inquinano e che si stanno esaurendo. Per essere prodotti hanno dovuto sfruttare, a livelli per noi occidentali inaccettabili, il lavoro di persone che probabilmente non fanno altro nella loro vita. Persone-robot. Tutto questo nel prezzo di vendita non c’é. E il valore? Poca qualitá, in genere. Probabilmente si userá qualche volte e poi lo si butta e se ne compra un altro. Un nuovo rifiuto che andrá smaltito, non si sa bene come e dove.

Nuove materie prime insostituibili andate perse. Nuova energia sprecata. Altro inquinamento. Ingiustizia sociale perpetuata.

Vi pare un costo da poco?

Un’economia basata sul puro costo monetario é davvero utile per l‘uomo?