L’esperienza la segna profondamente. Una barca in mezzo all’oceano é
un ambiente in cui non hai niente se non quello che ti sei portato, che deve
necessariamente essere poco per non appesantire. Insomma si deve fare con quello che c’é, e
quello che c’é é molto poco. A impresa compiuta, Ellen si rende conto di come noi
umani viviamo, letteralmente, nella stessa condizione: su una zattera isolata
nel mare dell’universo. Cosí come su una barca nel mezzo dell’Oceano non si
spreca niente perché tutto si puó e si deve riutilizzare, su di un pianeta
finito ha senso fare esattamente la stessa cosa. In effetti la parola rifiuto,
se guardiamo al mondo naturale, non esiste. Tutto si riutilizza in natura.
Energia e materia, tutto rientra in circolo a vari livelli. Visto che non
esiste maestro migliore da cui possiamo apprendere che non la natura stessa, in
cui ogni processo é frutto di milioni di anni di prova-ed-errore, é un
principio cui anche il mondo umano dovrebbe ispirarsi. Il concetto di
rifiuto non ha il diritto di esistere. I rifiuti sono semplicemente altre risorse.
Tornata dalla sua regata in solitario la dama Ellen (titolo di cui é stata
insignita al ritorno dal latente Impero Britannico) mette in piedi una
fondazione che porta il suo nome, con lo scopo di diffondere tramite l’educazione
e la cooperazione col mondo delle imprese e la politica la sostenibilitá e,
appunto, l’adozione di un’economia circolare.
L’economia oggi come oggi é lineare – dice dama Ellen – nel senso che
prendiamo materie ed energia all’infinito, seguendo il mito della crescita,
senza restituire niente e producendo una quantitá enorme di sprechi e rifiuti.
L’economia oggi é esponenziale – dico io, ma non solo – nel senso che piú si va
avanti piú il tasso di utilizzo/spreco di materiali ed energia aumenta, vuoi
per l’aumento della popolazione mondiale, vuoi perché fette sempre piú grandi
vogliono partecipare al gioco malsano del consumismo di cui in occidente siamo stati
protagonisti a lungo, vuoi perché la corsa al profitto a tutti i costi nel
mondo globalizzato e sempre piú competitivo lascia margini sempre minori per la
salvaguardia di altro che non sia il portafogli. Economia circolare significa
un cambio di paradigma, cioé cambiare la base comunemente accettata sulla quale
si basano le considerazioni e la sensibilitá di una societá in una certa epoca
storica. Un cambio di paradigma é una rivoluzione nella concezione del mondo.
Un cambiamento sostanziale di tutte le nostre abitudini.
Economia circolare significa che quando si prende, processa, crea
qualsiasi cosa, si deve avere giá chiaro in mente come riutilizzarne le
componenti quando questa andrá smaltita. Non lasciamoci peró ingannare, non
significa riciclaggio spinto. Va ben oltre. Intendiamoci, il riciclaggio é una
cosa fantastica e meno male che c’é. Ma é come una pezza che mettiamo a
posteriori, che non puó minimamente tappare la falla intrinseca nel nostro
sistema di produzione. Una falla concettuale se vogliamo. Le migliori soluzioni
sono infatti quelle che vengono progettate e disegnate col sistema stesso, a priori, che
sottendono al sistema e ne sono parte integrante. Soluzioni preventive, fondamenta esse stesse del sistema, ben diverse da quelle che vengono prese
per limitare i danni, forse, dopo. E molto piú efficaci. Il riciclaggio infatti riduce sí i danni, ma
solo in maniera assolutamente limitata e, in ogni caso, insufficiente. Economia
circolare significa che gli sprechi non vengono limitati o recuperati una volta
giá esistenti, ma vengono evitati in primo luogo, attraverso una piú attenta
progettazione e gestione dei processi stessi, sin dalla loro concezione.
Un esempio pratico che tutti capiranno, perché assolutamente tipico della
nostra societá. L’elettronica di consumo. Telefonini, pc, laptop, televisori,
tablet. Si tratta di articoli che sono estremamente costosi dal punto di vista
produttivo. Consumano ingenti qualitá di materie prime pregiate e non
rinnovabili (qualcuno ha mai sentito parlare del coltan e di come viene
estratto? o chi si é mai preoccupato del titanio?) ed enormi quantitá di
energia per la loro produzione. Sono qualcosa che nella nostra societá é assolutamente
indispensabile, la stessa pietra angolare della societá dell’informazione. Non
possiamo (e non dobbiamo) farne a meno. Detto questo, e prendendo i laptop ad
esempio, una volta comprati la loro vita media é di circa 3 anni. Il progresso in questo campo é veloce come in nessun altro,
le prestazioni diminuiscono o semplicemente sono sorpassate da dispositivi piú
potenti. Fin qui ci puó stare, il progresso tecnologico va avanti inesorabile.
Ma poi? Poi si buttano. Si buttano e se ne prende un altro. Dopo appena 3 anni
(in media, ci sono quelli che durano di piú, ma anche quelli che durano di
meno, o quelli che si cambiano per pura e semplice moda) dopo tutta la fatica
per estrarre materie prime sottratte alle viscere della terra, dopo tutta l’energia
(leggi petrolio) immessa dentro quei 15 pollici per produrli. Dopo tutto
questo, semplicemente, si buttano e se ne compra un altro. Altre materie
prime, altra energia. E nessuno si chiede quelli vecchi, nel frattempo passati
allo stadio di rifiuto, che fine fanno? Si riutilizza qualcosa in questi casi o
no? In teoria. In pratica? Vorrei vederlo. E dire che sono rifiuti altamente
tossici, assolutamente non biodegradabili. Vi sembra un sistema sostenibile?
In questi casi il riciclaggio ha l’efficienza che ha, la cosa
migliore sarebbe invece riusare i componenti che lo permettono, cosí come sono. Non
me ne intendo, ma direi che le componenti che vanno sostituite non includono di
certo (ad esempio) la tastiera, lo schermo, il case esterno... sono le
schede, i processori che vanno sostituiti perché sorpassati o usurati, tutto il
resto continua ad andare bene e potrebbe essere mantenuto. Perché allora questi
dispositivi non si creano in modo da poter cambiare solo le parti piú usurabili, o le parti che devono essere cambiate
spesso, ma senza toccare tutto il resto? Si risparmierebbe il fatto di doverlo
riprodurre quando in realtá non serve. Immagino poi che se queste cose
venissero progettate per durare davvero (e non solo 3 anni), la loro qualitá
sarebbe drasticamente migliore in tutti i sensi. E scordiamoci della moda per
favore, é solo una delle tante belle storie che si sono inventati per farci
comprare di piú. Un computer é un computer. Un telefono é un telefono.
Questo
significa avere un approccio circolare, ossia non appellarsi al riciclaggio di
ultima istanza, ma progettare qualsiasi cosa in modo che duri e non se ne debba
produrre un’altra uguale. Se proprio é necessario cambiare alcune parti,
incorporiamo questa necessitá nel design del prodotto, rendendone semplice la
sostituzione senza bisogno di intaccare altre parti che invece possono durare
molto di piú. Quanti materiali si risparmierebbero nella sola elettronica di
consumo? E quanta energia? E quanti rifiuti smetterebbero di esistere? E quante emissioni inquinanti?
Il concetto dell’economia circolare si puó estendere assolutamente a
tutto. Basta usare un po' di immaginazione. È un concetto che si scontra radicalmente con quello - caro alle grandi case produttrici - di “obsolescenza programmata”.
Forse non tutti ne siamo al corrente, ma in molti casi i beni di consumo
vengono progettati come intrinsecamente inferiori a quello che potrebbero
essere. Un esempio clamoroso sono le lampadine elettriche. Niente ci vieta di
produrre lampadine che durino 100 anni. Qualcuno ne ha mai vista una? Ogni
quanto vanno cambiate? O pensiamo all’industria automobilistica. Se le auto venissero
veramente prodotte per quello a cui servono certamente se ne produrrebbero
meno, perché quelle in circolo sarebbero migliori in partenza e durerebbero
molto di piú. Mi sono sempre chiesto tutte le macchine che si fabbricano nei
paesi occidentali... a chi serviranno? O andando piú nel concreto, in Italia. La
FIAT. Ma a chi serve un’altra macchina realmente in Italia? Abbiamo le cittá
piú intasate dal traffico di Europa. L’aria é irrespirabile. Ogni famiglia ha
dalle 2 alle 3 auto. Traffico ovunque che rende i trasporti pubblici
completamente inaffidabili, al pari di quelli privati. Veramente, non vi sembra
che ci siano giá abbastanza macchine in circolazione?! E allora perché se ne
fabbricano ancora? Per sostituire quelle vecchie, mi si dirá. Eccoci al punto. Un’auto
puó durare in media diciamo 15 anni. Perché si cambia in media ogni 4? Moda?
Per darsi uno sfizio? O forse perché ce le devono vendere?!
I benefici indiscutibili di un sistema economico circolare sarebbero
molta piú efficienza, molta piú qualitá nei prodotti finali, risparmio per l’utente,
diminuzione della produzione e con essa dell’uso di materiali ed energia, minor
produzione di rifiuti e inquinamento.
E le conseguenze collaterali? Meno lavoro per tutti. Il che non deve
necessariamente essere visto come un problema. Pensate solo che se non doveste
continuamente riparare, o sostituire cose che giá avete, spendereste in media di meno e potreste certamente permettervi anche di guadagnare di meno, e quindi di lavorare di meno. Magari ci
potremmo godere tutti un po’ di piú la vita. Magari. Ma pensiamo anche ai
metalmeccanici di Pomigliano che sono giá sul piede di guerra perché non c’é piú
lavoro e non si produce piú abbastanza; pensiamo a chi non riesce ad arrivare a
fine mese con la sua famiglia se non c’é lavoro. Loro sí che sembra abbiano veramente bisogno di produrre altre auto. Cosa possiamo fare a riguardo?
Questo é un altro problema, di cui parleremo (e di cui in parte abbiamo giá parlato)... un altro problema per
cui la soluzione c’é, come per tutto. In un sistema basato e progettato sul buonsenso
(e non sulla crescita) una soluzione si trova sempre, ma spesso é difficile
commentarla separatamente dalle altre, perché tutte si richiamano a vicenda.
Ma qui ora mi fermo, per il momento ricordiamoci semplicemente dei
vantaggi di un economia circolare.
Per il resto vi rimando alle prossime puntate in cui continueremo a
immaginare il nostro mondo nuovo.
Nessun commento:
Posta un commento