Il primo periodo fu davvero come tornare ad aprire gli occhi per la
prima volta. Tanto piú che, avido di conoscenza, aggiungevo continuamente dei
pezzetti nuovi al mio puzzle. Alcuni si rivelarono in seguito sbagliati, altri
soltanto inesatti. Quel che é certo é che l’effetto domino era iniziato e io
non potevo piú fermarlo. Lo sentivo dentro di me. Lo osservavo quasi, con la stesso
senso di impotenza soddisfatta di quando si guardano quelle tesserine, cosí
meticolosamente messe in fila l’una dietro l’altra, cadere e travolgersi senza
rimedio. Il mio mondo, cosí come quello di tanti altri, era stato fasullo. Ora
stavo scostando il mio velo di ignoranza per comprenderlo meglio.
Per la prima volta mi sentii padrone della mia testa per davvero. E
non potevo fare a meno di urlarlo ai quattro venti, di confrontarmi con
chiunque mi capitasse a tiro su qualsiasi argomento stessi affrontando. E il
mio campo visivo si ampliava sempre di piú. Avevo capito bene? Mi sfuggiva
qualcosa che qualcuno poteva chiarire? Ero una spugna. Poi, una volta arrivati
a una qualche conclusione, seppur necessariamente provvisoria, sentivo di
doverlo condividerlo con chi volesse. Cosí nacque stand up.
Ma da lí le cose sono cambiate, eccome. L’esercizio della scrittura si
riveló per me, come daltronde c’era da aspettarsi, terapeutico. I mille fili
confusi dei miei pensieri erano costretti a prendere forma sulla tastiera.
Percui anche quelli piú nascosti emergevano, quasi magicamente. Capitava spesso
che iniziassi a scrivere di qualcosa che poi rimaneva tra le dita per dare
spazio a qualcos’altro che sgorgava vigoroso e inaspettato da dentro. Mi ha
aiutato molto scrivere questo blog. Mettere in ordine le idee serve sempre, non
fosse altro come scusa per pensare. Giá, la meditazione. Cosa poco conosciuta e
dal suono orientaleggiante, per la quale oggigiorno di tempo non se ne trova proprio
piú. Scrivere era veramente come prendersi un po’ di tempo per fare quello. Pensare.
Vi stupirebbe cosa potrebbe succedere a chiunque di voi lo provasse, se giá non
lo avete fatto. E vi stupirebbe vedere quanti fili sparsi si riescano ad unire
cercando di vedere le cose non sempre con la lente di ingrandimento, ma a volte
anche a volo d’uccello. A volte partire da discrorsi meccanicistici é trovarsi a
discutere dei massimi sistemi. Filosofia laddove una volta c’era spazio solo per
la matematica. Ma daltronde, chi queste cose le ha inventate, giá migliaia di
anni fa sapeva bene che il loro confine é ben piú sfumato di quanto oggi ci
piace credere. Una delle conquiste piú grosse é stata infatti proprio questa: il
recuperare l’amore per il pensiero puro, che ti eleva al di sopra dei fatti
contingenti e in fin dei conti ti da la forza, se lo credi, per sostenerli.
Dopo un anno ci sará sicuramente qualcosa che é riuscito meglio e
qualcos altro peggio. Ci saranno state cose interessanti e altre noiose, o
persino inconcludenti. Ma di sicuro ogni articolo é stato un passo compiuto nella
giusta direzione per il momento in cui é stato scritto. Ma verso dove? Non lo
so, né lo sapevo quando l’ho scritto. Ma di sicuro era adatto alle sue
circostanze e a quello che avevo da dire. Perché mi ero informato sull’argomento,
perché mi toccava particolarmente, perché credevo che fosse importante per
comprendere meglio il perché ognuno dovrebbe alzarsi in piedi oggi. Ed é
curioso come ora, a guardare per un attimo all’indietro, pare che il tutto prenda
forma. Pur non avendola in origine. Come quando ci si gira all’indietro a
vedere che le tante orme che passo dopo passo hai lasciato sulla sabbia in
realtá stanno formando qualcosa di chiaro e definito.
Credo che tutti mi siano serviti a capire meglio a come guardare il
nostro mondo di oggi e la crisi che attraversiamo. Ma credo anche che nessuno
di loro sia, preso da solo, sufficiente. E sono sicuro che mille altri ne
mancano, anche se devo dire che la cosa piú che atterrarmi mi affascina. Perché
da qualche parte si inizia sempre, ma invariabilmente non si sa mai dove si
finisce. E spesso devo dire che é proprio per questo che il gioco vale la candela.
Perché ti insegna in modo perentorio, ancora una volta, di come il fine di ogni
percorso non sia la meta, ma il viaggio. Il modo in cui metti un piede davanti
all’altro. E il capire che lo fai non per arrivare dove non sai né mai saprai. Ma
solo perché sei tu e sei lí, ora. E stai camminando che rimanere fermi non si
puó. E allora uno prima l’hai messo lá, che ancora ne vedi l’orma. L’altro lo metterai
appena piú avanti, il dove sará questione di deciderlo ora.
Dunque oggi vi parlo proprio di questo. Partendo dal ricordare quel
momento di necessitá comunicativa in cui ho iniziato a fare una cosa talmente
inutile quanto scrivere su di una pagina che probabilmente una ventina di
persone sí e no avrá mai letto. Ma non importa. Perché strada facendo mi sono
reso conto sempre di piú che l’obbiettivo principale forse non era la
comunicazione, quanto la riflessione. Se poi questa puó essere condivisa con
qualcuno, intendiamoci, tanto meglio. Ma quello che voglio dire, qui, é che non
bisogna aspettare di essere una rock star per fare qualcosa. Non bisogna
aspettare di avere l’occasione per parlare da un pulpito. Non bisogna aspettare
un treno che per quando arriverá saremo tutti ammuffiti. Non bisogna aspettare
di dimenticarsi cosa si vuole dire, o il perché. Bisogna farlo quando ci si
sente. Punto. Battere il ferro finché é caldo. Andrá a finire che é proprio lí
che nascono le cose piú interessanti.
Si parla sempre di speranza. La speranza in un futuro migliore. Dove
tutto andrá bene, alla fine. Fatto sta che, come al solito, per arrivarci
dobbiamo sacrificare il presente. Sacrificare il presente, che é l’unica cosa
che a conti fatti conosciamo, per promesse di vanagloria nutrite della migliore
delle speranze. Scrivo proprio mentre le solite previsioni di crescita
economica sono state spostate appena piú in lá. Guardacaso, come sempre, alla
fine dell’anno prossimo. Lontano, quindi, ma mai troppo da toglierci la
speranza che sia davvero possibile. O che vedremo ricompensati i nostri
sacrifici. Ci sará ancora parecchio da stringere la cinghia, miei prodi, ma ce
la faremo. Io, peró, non ci credo. Non credo nella speranza, credo in quello che
uno puó fare con le sue mani. Qui e oggi. Credo nella conoscenza prima di
tutto, quella che ti permette di agire con coscienza e in modo efficace. Quella
che, sapendo dove ci troviamo e non dove potremmo essere in futuro, ci aiuta a prendere
una buona decisione.Forse non la migliore. Sicuramente ci aiuta a non mettere
il prossimo piede in una pozza di merda per avere un giorno, chissá, una
caramella. Della speranza senza fondamento non me ne faccio niente. Io credo
nell’impegno. Quello stesso che, oggi piú che mai, ci spinge tutti a far
qualcosa per spegnere quel fuoco che ci infiamma dentro. Quello che non ci fa
girare la testa dall’altra parte e forse non ci fa nemmeno dormire la notte.
Quello che non ammette ritardi né deroghe, né tantomeno scuse. Quello che serve
a darci la certezza, non la speranza, che giá domani andrá meglio. Quello che
ti guarda negli occhi e ti chiama per nome, giorno dopo giorno, dicendoti che é
ora di alzarsi in piedi.
"La speranza è una
trappola, è una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola
inventata dai padroni, (...) state buoni, state zitti, pregate, che avrete il
riscatto nell'aldilà. State buoni,sì siete dei precari, ma tanto tra due o tre
mesi vi riassumiamo, vi daremo il posto, abbiate speranza. Mai avere la
speranza, la speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi
comanda."
Mario Monicelli
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