Puó sembrare complicato ma non lo
é. Del resto io non sono di certo un economista. Consiglio quindi vivamente a chiunque
di leggerseli, non fosse altro per evitare di farsi prendere in giro ogni
giorno dai sacerdoti della liturgia economica. Una volta che si capiscono le
cose non ci si fa piú prendere in giro. Capisco peró, sono sicuro, che non
tutti troveranno né il tempo né la voglia di farlo. Mi pare peró che siano cose
talmente importanti che voglio provare qui a fornire una versione stringata ed
elementare di quanto viene descritto. Mi scuseranno i meglio informati per le
approssimazioni o le inesattezze (errori direi di no, ma in ogni caso invito
chi ne veda a segnalarli). Lo faccio con la speranza che spiegando queste cose
nel modo semplice in cui io le ho capite, anche altre persone che hanno i miei
stessi limiti possano capirle. Spero quindi possa essere considerato per quello
che é: non una sostituzione ai due articoli, ma un tentativo di introduzione semplice,
sintetica e il piú inclusiva possibile... con esortazione finale a leggerseli
quei due benedetti articoli!
L’UNIONE MONETARIA HA SENSO SOLO SE
DANNOSA
Un’unione monetaria sopprime in
maniera forzosa le differenze di cambio tra valute, in modo da ottenere dei
cambi fissi. I cambi normalmente oscillano per stabilire un equilibrio sui
mercati tra aree strutturalmente diverse in termini di competitivitá economica.
La svalutazione da parte delle aree piú deboli all’interno di un sistema di
libero mercato é uno strumento che consente di assorbire gli shock che emergono
proprio come effetto di queste differenze strutturali. Tali differenze
includono sistema educativo, mercato del lavoro, sistema di previdenza sociale,
produttivitá, stabilitá finanziaria etc.
Imporre una convergenza a valle
di tutto questo tramite un’unificazione monetaria, senza cioé preoccuparsi di
far prima convergere tutte queste differenze, puó in realtá solo peggiorare
questi squilibri. Al contrario, cercando una integrazione di tutti questi
aspetti a monte e passando per l’adozione di un bilancio federale volto a coordinare
gli investimenti produttivi (es. in infrastrutture, ricerca...) per ottenere
una redistribuzione di competitivitá economica a livello europeo, l’unione
monetaria non sarebbe piú necessaria in quanto i tassi di cambio da sé giá convergerebbero.
Possiamo dividere l’eurozona in
due macro-aree:
- paesi centrali (forti)
- paesi periferici (deboli)
I paesi centrali sono quelli che
fanno riferimento all’area del marco, economicamente molto competitivi per via
di una gran produttivitá (che ne favorisce le esportazioni) e per questo
finanziariamente molto stabili. I paesi perfierici sono i cosiddetti PIIGS,
meno competitivi e finanziariamente piú deboli.
Nel momento in cui aree cosí diverse
adottano un regime comune di cambi fissi, all’interno di un sistema di libero
mercato e finanza scarsamente regolata, si scatena una serie ben nota di
“sfortunati eventi” che culmina in profondi periodi di crisi e nell’inevitabile
collasso. Testimonianza di ció sono numerosi casi in cui paesi in via di
sviluppo, agganciandosi a qualche regime di cambio fisso, sono stati costretti
a dichiarare bancarotta. É evidente quindi come non ci sia nulla di casuale in
tutto questo, a meno che non si voglia ignorare la storia.
SFORTUNATI EVENTI
1. Afflussi di capitali esteri
dal centro alla periferia
In un regime di libero mercato e
cambi costanti per i paesi del centro, molto produttivi e competitivi, diventa
particolarmente conveniente prestare capitali ai paesi periferici, in quanto in
questo modo possono
·
beneficiare degli interessi piú elevati che i
paesi periferici “meno affidabili” sono soliti pagare
·
creare un mercato di sbocco per la propria
produzione di beni in eccesso
Infatti gli efficientissimi paesi
centrali a paritá di costo producono beni con piú qualitá, o a paritá di
qualitá producono piú beni che quindi costeranno meno. Vedendo affluire
capitali, le banche dei paesi periferici possono concedere crediti e quindi, visto
che cresce la domanda aggregata (cioé la disponibilitá della gente a spendere),
l’economia torna a girare. Inizialmente saranno le classi abbienti a spendere comprando
beni di lusso importati, il che aumenta
ancora di piú l’afflusso di capitali esteri fino a che anche le classi meno
abbienti potranno comprare beni di prima necessitá importandoli dall’estero.
2. Mancanza di investimenti
produttivi e divergenza della competitivitá
Questa crescita drogata dagli
afflussi di capitale estero spesso va ad alimentare una bolla immobiliare.
Questo ha l’effetto di aumentare ulteriormente la domanda aggregata (visto che
tutto l’indotto ne beneficia) e la crescita del mercato interno, senza peró
riuscire ad aumentarne la competitivitá non rappresentando un investimento
produttivo. Non riesce quindi a ristabilire l’equilibrio della bilancia
commerciale (export-import). Continuano cioé ad aumentare le importazioni dei
paesi periferici di beni prodotti nei paesi centrali, in quanto aumenta il
divario di competitivitá. Il tutto reso possibile dal libero scambio su un
mercato comune.
3. Inflazione e aumento del deficit
commerciale
Questo ha come conseguenze un
aumento dell’inflazione, dovuto al maggior potere di spesa nel paese periferico
senza che la produzione sia aumentata, oltre che una ulteriore perdita di
competitivitá economica: in un regime di cambi fissi infatti il cambio reale é
dato dal tasso di cambio meno l’inflazione. Se l’inflazione aumenta il tasso di
cambio reale diminuisce, il che di fatto rivaluta la moneta periferica e rende
piú difficili le esportazioni di beni prodotti dal paese periferico. Pertanto,
mentre le importazioni continuano ad aumentare, le esportazioni diminuiscono col risultato che il saldo é sempre piú
negativo e si entra in una spirale in cui servono sempre piú afflussi di
capitale estero.
4. Aumento del debito estero
Ogni volta che qualcuno importa
un prodotto dall’estero di fatto aumenta il debito estero. Debito estero significa debito di qualcuno (pubblico
o privato) contratto nei confronti di terzi non appartenenti allo stesso stato.
Inizialmente il debito é privato, in
quanto contratto da banche private attraverso il sistema di pagamenti
interbancario europeo, chiamato Target2. Funziona cosí:
Tu compri una mercedes, pagando
con la tua carta di credito. La tua banca provvede a trasferire l’importo sul
conto della banca tedesca. Il tutto viene peró mediato dalle relative banche
centrali (Banca d’Italia e Bundesbank), e tra di loro dalla Banca Centrale
Europea (BCE):
acquirente > banca italiana
> Banca d’Italia > BCE > Bundesbank > banca tedesca > mercedes
le frecce indicano i flussi di
capitale. Succede peró che le banche devono avere una certa riserva di
liquiditá presso la banca centrale percui, seguendo lo stesso processo a
ritroso, la banca tedesca che ora ha un surplus si offre di prestare denaro
alla banca italiana che cosí puó tornare in pari con la Banca d’Italia e questa
con la BCE. É contabilitá, ma é cosí che ogni volta che si compra un bene
importato cresce il debito delle banche nazionali nei confronti di quelle
estere.
5. Il debito da privato
diventa pubblico
Il processo continua fino a che non
emergono dubbi sulla sostenibilitá del debito e la banca rischia il fallimento.
Visto che se le banche fallissero sarebbe un disastro per tutti i clienti della
banca, normalmente lo Stato in quel caso si offre di salvare la banca
accollandosi sostanzialmente il suo debito. É allora – e solo allora – che il
problema inizia a riguardare il debito
pubblico.
6. Collasso del sistema
Il tutto continua finché si
arriva ad una situazione di palese insostenibilitá che provoca uno “stop
improvviso”. In questo caso il paese periferico si dichiara in bancarotta.
Storicamente coi paesi in via di sviluppo é qui che interviene il Fondo
Monetario Internazionale, offrendosi come prestatore a condizione che vengano
imposte politiche repressive di austeritá che garantiscano i creditori
stranieri.
In una unione monetaria eistono
due alternative percorribili:
- Coordinamento fiscale: i paesi forti in avanzo aumentano il potere d’acquisto sul loro mercato interno, aumentando l’inflazione ed operando di fatto una rivalutazione che rende meno competitivi loro e piú competitivi i paesi periferici, invertendo cosí la situazione e fungendo da mercato di sbocco per le rinvigorite esportazioni dei paesi periferici (i paesi centrali trainano l’economia dell’unione agendo da locomotiva);
- Integrazione fiscale: é quanto avviene ad es. negli USA (ma anche in Italia dopo l’unificazione), cioé il surplus delle regioni ricche viene ridistribuito verso le regioni meno sviluppate, utilizzandosi per investimenti produttivi.
Entrambe queste politiche sono di
difficile attuazione nell’eurozona, in quanto sono palesemente in contrasto con
le politiche perseguite da sempre dai paesi forti, in particolare dalla Germania.
IL MERCATILISMO TEDESCO
Da sempre il capitalismo tedesco
si é beneficiato della propria grande produttivitá per arricchirsi perseguendo politiche
mercantiliste, ossia cercando di vedere i propri prodotti all’estero piú che
sul mercato interno. Per fare ció é necessario operare un contenimento dei
salari al ribasso in modo da limitare i consumi del mercato interno e, quindi,
l’inflazione. In un regime di cambio fisso ció corrisponde ad una svalutazione
reale che avvantaggia sul piano delle esportazioni e permette di vendere all’estero
le eccedenze di produzione. Tutto questo é ottenibile promuovendo una mentalitá
diffusa, condivisa dalla classe lavoratrice, secondo cui le esportazioni diventano
una sorta di orgoglio nazionale.
In questa situazione la Germania
si trova costantemente con la bilancia commerciale in attivo, il che le
consente di concedere prestiti ai paesi periferici e allo stesso tempo di crearsi
un mercato di sbocco privilegiato, l’eurozona. Questo inoltre potenzialmente (col
progredire delle politiche di austeritá imposte ai paesi periferici) puó offrirle
manodopera a bassissimo costo, permettendogli di aumentare ulteriormente la
propria produttivitá ed eventualmente competere sui mercati globali con le
altre potenze commerciali emergenti come la Cina.
CONCLUSIONI
Si tratta di fatto di una tattica
sleale – aver mantenuto artificialmente l’inflazione per larghi tratti al di
sotto del limite stabilito per l’eurozona del 2% va contro gli accordi – ed
egoista, in quanto si é visto come un paese forte come la Germania dovrebbe in
periodi di crisi optare per politiche di segno opposto. In realtá quindi, piú
che locomotiva, la Germania sta andando al rimorchio dei paesi periferici.
É logico che per essa tanto un
coordinamento quanto un’integrazione fiscale non possono essere vantaggiosi,
visto che annullerebbe questo gioco redditizio; una unione fiscale potrebbe invece
esserlo, rappresentando un ricatto in base al quale in cambio di una ulteriore
cessione di sovranitá ad autoritá sovranazionali, presumibilmente sotto
influenza dei piú forti proprio come lo é ora la BCE, si metterebbero in atto dubbie
politiche di solidarietá tra stati. Il tutto potrebbe in definitiva portare a
una ulteriore perdita di democrazia e stato sociale nei paesi periferici, a
beneficio dei paesi forti che disporrebbero di sempre piú manodopera a basso
costo, creandosi di fatto un deserto produttivo attorno su cui basare la
propria espansione globale.
In conclusione, l’UE é lontana dall’essere come dovrebbe una comunitá volta alla cooperazione di stati diversi
per il raggiungimento di obbiettivi comuni, essendo in realtá sempre piú
improntata alla competizione fratricida a beneficio dei piú forti. Piú che una
unione, verrebbe da dire un’annessione.
Secondo quanto visto, l’euro é di
per sé uno schiaffo della politica all’economia. Ignorando la storia (che
quindi si ripete) e i suoi avvertimenti, ha rappresentato e rappresenta una
scelta calata dall’alto e giustificata in maniera paternalistica ora dicendo
che solo cosí si sarebbe vista come necessaria l’ulteriore unione fiscale e
politica dell’Europa, altrimenti inaccettabile. Una scelta in cui lo stesso
principio di autodeterminazione democratica cede il passo agli interessi
privati.
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