martedì 29 gennaio 2013

La crisi dell’euro é un film giá visto

Ho recentemente letto due articoli dei proff. Cesaratto e Bagnai sull’e-book “Oltre l’austeritá”, disponibile in maniera gratuita qui e che invito chiunque a prendersi il tempo di leggere. Si tratta di due articoli (al capitolo 2) che mettono in chiaro molti dei meccanismi che caratterizzano l’euro, e quindi le cause strutturali dell‘attuale crisi. Trattano della sequenza di processi macroeconomici che storicamente avvengono in un regime di libero mercato e deregolamentazione finanziaria nel momento in cui si adotta un regime di cambi fissi quale, appunto, una unione monetaria.


Puó sembrare complicato ma non lo é. Del resto io non sono di certo un economista. Consiglio quindi vivamente a chiunque di leggerseli, non fosse altro per evitare di farsi prendere in giro ogni giorno dai sacerdoti della liturgia economica. Una volta che si capiscono le cose non ci si fa piú prendere in giro. Capisco peró, sono sicuro, che non tutti troveranno né il tempo né la voglia di farlo. Mi pare peró che siano cose talmente importanti che voglio provare qui a fornire una versione stringata ed elementare di quanto viene descritto. Mi scuseranno i meglio informati per le approssimazioni o le inesattezze (errori direi di no, ma in ogni caso invito chi ne veda a segnalarli). Lo faccio con la speranza che spiegando queste cose nel modo semplice in cui io le ho capite, anche altre persone che hanno i miei stessi limiti possano capirle. Spero quindi possa essere considerato per quello che é: non una sostituzione ai due articoli, ma un tentativo di introduzione semplice, sintetica e il piú inclusiva possibile... con esortazione finale a leggerseli quei due benedetti articoli!


L’UNIONE MONETARIA HA SENSO SOLO SE DANNOSA

Un’unione monetaria sopprime in maniera forzosa le differenze di cambio tra valute, in modo da ottenere dei cambi fissi. I cambi normalmente oscillano per stabilire un equilibrio sui mercati tra aree strutturalmente diverse in termini di competitivitá economica. La svalutazione da parte delle aree piú deboli all’interno di un sistema di libero mercato é uno strumento che consente di assorbire gli shock che emergono proprio come effetto di queste differenze strutturali. Tali differenze includono sistema educativo, mercato del lavoro, sistema di previdenza sociale, produttivitá, stabilitá finanziaria etc.

Imporre una convergenza a valle di tutto questo tramite un’unificazione monetaria, senza cioé preoccuparsi di far prima convergere tutte queste differenze, puó in realtá solo peggiorare questi squilibri. Al contrario, cercando una integrazione di tutti questi aspetti a monte e passando per l’adozione di un bilancio federale volto a coordinare gli investimenti produttivi (es. in infrastrutture, ricerca...) per ottenere una redistribuzione di competitivitá economica a livello europeo, l’unione monetaria non sarebbe piú necessaria in quanto i tassi di cambio da sé giá convergerebbero.

Possiamo dividere l’eurozona in due macro-aree:
  •  paesi centrali (forti)
  •  paesi periferici (deboli)

I paesi centrali sono quelli che fanno riferimento all’area del marco, economicamente molto competitivi per via di una gran produttivitá (che ne favorisce le esportazioni) e per questo finanziariamente molto stabili. I paesi perfierici sono i cosiddetti PIIGS, meno competitivi e finanziariamente piú deboli.
Nel momento in cui aree cosí diverse adottano un regime comune di cambi fissi, all’interno di un sistema di libero mercato e finanza scarsamente regolata, si scatena una serie ben nota di “sfortunati eventi” che culmina in profondi periodi di crisi e nell’inevitabile collasso. Testimonianza di ció sono numerosi casi in cui paesi in via di sviluppo, agganciandosi a qualche regime di cambio fisso, sono stati costretti a dichiarare bancarotta. É evidente quindi come non ci sia nulla di casuale in tutto questo, a meno che non si voglia ignorare la storia.


SFORTUNATI EVENTI

1. Afflussi di capitali esteri dal centro alla periferia

In un regime di libero mercato e cambi costanti per i paesi del centro, molto produttivi e competitivi, diventa particolarmente conveniente prestare capitali ai paesi periferici, in quanto in questo modo possono
·         beneficiare degli interessi piú elevati che i paesi periferici “meno affidabili” sono soliti pagare
·         creare un mercato di sbocco per la propria produzione di beni in eccesso
Infatti gli efficientissimi paesi centrali a paritá di costo producono beni con piú qualitá, o a paritá di qualitá producono piú beni che quindi costeranno meno. Vedendo affluire capitali, le banche dei paesi periferici possono concedere crediti e quindi, visto che cresce la domanda aggregata (cioé la disponibilitá della gente a spendere), l’economia torna a girare. Inizialmente saranno le classi abbienti a spendere comprando beni di lusso importati,  il che aumenta ancora di piú l’afflusso di capitali esteri fino a che anche le classi meno abbienti potranno comprare beni di prima necessitá importandoli dall’estero.

2. Mancanza di investimenti produttivi e divergenza della competitivitá

Questa crescita drogata dagli afflussi di capitale estero spesso va ad alimentare una bolla immobiliare. Questo ha l’effetto di aumentare ulteriormente la domanda aggregata (visto che tutto l’indotto ne beneficia) e la crescita del mercato interno, senza peró riuscire ad aumentarne la competitivitá non rappresentando un investimento produttivo. Non riesce quindi a ristabilire l’equilibrio della bilancia commerciale (export-import). Continuano cioé ad aumentare le importazioni dei paesi periferici di beni prodotti nei paesi centrali, in quanto aumenta il divario di competitivitá. Il tutto reso possibile dal libero scambio su un mercato comune.

3. Inflazione e aumento del deficit commerciale

Questo ha come conseguenze un aumento dell’inflazione, dovuto al maggior potere di spesa nel paese periferico senza che la produzione sia aumentata, oltre che una ulteriore perdita di competitivitá economica: in un regime di cambi fissi infatti il cambio reale é dato dal tasso di cambio meno l’inflazione. Se l’inflazione aumenta il tasso di cambio reale diminuisce, il che di fatto rivaluta la moneta periferica e rende piú difficili le esportazioni di beni prodotti dal paese periferico. Pertanto, mentre le importazioni continuano ad aumentare, le esportazioni diminuiscono  col risultato che il saldo é sempre piú negativo e si entra in una spirale in cui servono sempre piú afflussi di capitale estero.

4. Aumento del debito estero

Ogni volta che qualcuno importa un prodotto dall’estero di fatto aumenta il debito estero. Debito estero significa debito di qualcuno (pubblico o privato) contratto nei confronti di terzi non appartenenti allo stesso stato. Inizialmente il debito é privato, in quanto contratto da banche private attraverso il sistema di pagamenti interbancario europeo, chiamato Target2. Funziona cosí:
Tu compri una mercedes, pagando con la tua carta di credito. La tua banca provvede a trasferire l’importo sul conto della banca tedesca. Il tutto viene peró mediato dalle relative banche centrali (Banca d’Italia e Bundesbank), e tra di loro dalla Banca Centrale Europea (BCE):

acquirente > banca italiana > Banca d’Italia > BCE > Bundesbank > banca tedesca > mercedes

le frecce indicano i flussi di capitale. Succede peró che le banche devono avere una certa riserva di liquiditá presso la banca centrale percui, seguendo lo stesso processo a ritroso, la banca tedesca che ora ha un surplus si offre di prestare denaro alla banca italiana che cosí puó tornare in pari con la Banca d’Italia e questa con la BCE. É contabilitá, ma é cosí che ogni volta che si compra un bene importato cresce il debito delle banche nazionali nei confronti di quelle estere.

5. Il debito da privato diventa pubblico

Il processo continua fino a che non emergono dubbi sulla sostenibilitá del debito e la banca rischia il fallimento. Visto che se le banche fallissero sarebbe un disastro per tutti i clienti della banca, normalmente lo Stato in quel caso si offre di salvare la banca accollandosi sostanzialmente il suo debito. É allora – e solo allora – che il problema inizia a riguardare il debito pubblico.

6. Collasso del sistema

Il tutto continua finché si arriva ad una situazione di palese insostenibilitá che provoca uno “stop improvviso”. In questo caso il paese periferico si dichiara in bancarotta. Storicamente coi paesi in via di sviluppo é qui che interviene il Fondo Monetario Internazionale, offrendosi come prestatore a condizione che vengano imposte politiche repressive di austeritá che garantiscano i creditori stranieri.
In una unione monetaria eistono due alternative percorribili:
  • Coordinamento fiscale: i paesi forti in avanzo aumentano il potere d’acquisto sul loro mercato interno, aumentando l’inflazione ed operando di fatto una rivalutazione che rende meno competitivi loro e piú competitivi i paesi periferici, invertendo cosí la situazione e fungendo da mercato di sbocco per le rinvigorite esportazioni dei paesi periferici (i paesi centrali trainano l’economia dell’unione agendo da locomotiva);
  • Integrazione fiscale: é quanto avviene ad es. negli USA (ma anche in Italia dopo l’unificazione), cioé il surplus delle regioni ricche viene ridistribuito verso le regioni meno sviluppate, utilizzandosi per investimenti produttivi.

Entrambe queste politiche sono di difficile attuazione nell’eurozona, in quanto sono palesemente in contrasto con le politiche perseguite da sempre dai paesi forti, in particolare dalla Germania.


IL MERCATILISMO TEDESCO

Da sempre il capitalismo tedesco si é beneficiato della propria grande produttivitá per arricchirsi perseguendo politiche mercantiliste, ossia cercando di vedere i propri prodotti all’estero piú che sul mercato interno. Per fare ció é necessario operare un contenimento dei salari al ribasso in modo da limitare i consumi del mercato interno e, quindi, l’inflazione. In un regime di cambio fisso ció corrisponde ad una svalutazione reale che avvantaggia sul piano delle esportazioni e permette di vendere all’estero le eccedenze di produzione. Tutto questo é ottenibile promuovendo una mentalitá diffusa, condivisa dalla classe lavoratrice, secondo cui le esportazioni diventano una sorta di orgoglio nazionale.

In questa situazione la Germania si trova costantemente con la bilancia commerciale in attivo, il che le consente di concedere prestiti ai paesi periferici e allo stesso tempo di crearsi un mercato di sbocco privilegiato, l’eurozona. Questo inoltre potenzialmente (col progredire delle politiche di austeritá imposte ai paesi periferici) puó offrirle manodopera a bassissimo costo, permettendogli di aumentare ulteriormente la propria produttivitá ed eventualmente competere sui mercati globali con le altre potenze commerciali emergenti come la Cina.


CONCLUSIONI

Si tratta di fatto di una tattica sleale – aver mantenuto artificialmente l’inflazione per larghi tratti al di sotto del limite stabilito per l’eurozona del 2% va contro gli accordi – ed egoista, in quanto si é visto come un paese forte come la Germania dovrebbe in periodi di crisi optare per politiche di segno opposto. In realtá quindi, piú che locomotiva, la Germania sta andando al rimorchio dei paesi periferici.

É logico che per essa tanto un coordinamento quanto un’integrazione fiscale non possono essere vantaggiosi, visto che annullerebbe questo gioco redditizio; una unione fiscale potrebbe invece esserlo, rappresentando un ricatto in base al quale in cambio di una ulteriore cessione di sovranitá ad autoritá sovranazionali, presumibilmente sotto influenza dei piú forti proprio come lo é ora la BCE, si metterebbero in atto dubbie politiche di solidarietá tra stati. Il tutto potrebbe in definitiva portare a una ulteriore perdita di democrazia e stato sociale nei paesi periferici, a beneficio dei paesi forti che disporrebbero di sempre piú manodopera a basso costo, creandosi di fatto un deserto produttivo attorno su cui basare la propria espansione globale.

In conclusione, l’UE é lontana dall’essere come dovrebbe una comunitá volta alla cooperazione di stati diversi per il raggiungimento di obbiettivi comuni, essendo in realtá sempre piú improntata alla competizione fratricida a beneficio dei piú forti. Piú che una unione, verrebbe da dire un’annessione.

Secondo quanto visto, l’euro é di per sé uno schiaffo della politica all’economia. Ignorando la storia (che quindi si ripete) e i suoi avvertimenti, ha rappresentato e rappresenta una scelta calata dall’alto e giustificata in maniera paternalistica ora dicendo che solo cosí si sarebbe vista come necessaria l’ulteriore unione fiscale e politica dell’Europa, altrimenti inaccettabile. Una scelta in cui lo stesso principio di autodeterminazione democratica cede il passo agli interessi privati.




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